INDICE
Capitolo I – Questioni generali
1-La riconosciuta deficienza di studi sulla barbabietola
2-Difficoltŕ dirette e indirette da superare nella scelta del “materiale da selezione”
3-La scelta delle madri da effettuarsi dove le bietole sono abitualmente piů ricche?
4-La cultura nei paesi meridionali meglio assicurata come seme del nord?
5-La probabile equipollenza genetica delle “varietŕ – commerciali”
6-Se esistono effettivamente “varietŕ” commerciali di barbabietole da zucchero
7-I tedeschi fornivano alla Francia seme di qualitŕ inferiore?
8-Una singolare prevenzione contro il seme russo
9-La elevata facoltŕ germinativa e l’alta vigoria del seme italiano
Capitolo II - Lo studio delle variabilitŕ correlative
1-Correlazioni per aspetto e portamento del fogliame
2-Il fogliame nel suo complesso quantitativo
3-La tendenza delle bietole a sporgere da terra
4-La lunghezza del fittone e altri caratteri esteriori della radice
5-Peso delle radici e tenore in zucchero
6-Bietole “gemelle”
7-Correlazioni di carattere subordinato
8-Correlazioni nelle bietole porta - seme
9-Deduzioni e considerazioni sommarie
Capitolo III – La barbabietola da zucchero nei suoi rapporti con i fattori del clima italiano
1-Sulla inter – relazione dei fattori del clima
2-Centri italiani climatologicamente distinti
3-La “retrogradazione” nelle bietole italiane
4-Considerazioni sui criteri d’impostazione dei problemi relativi al miglioramento della barbabietola in Italia e il concetto delle cosiddette “razze locali”
Capitolo IV – La Beta vulgaris L. da elencarsi tra le forme autosterili?
1-La tesi di H. B. Shaw
2-Punti oscuri nelle indagini del Shaw
3-I nostri primi rilievi sul problema dell’auto – impollinazione
4-Impostazione di ricerche speciali
5-Discussione dei risultati e necessitŕ di nuovi studi
6-Per il lavoro nel campo dell’applicazione
Capitolo V – La degenerazione segue l’autofertilizzazione?
1-Il problema in riferimento alla barbabietola
2-La “degenerazione” per autofertilizzazione in altre piante
3-Le opinioni contrarie e la controversa interpretazione delle manifestazioni degenerative
4-I nostri rilievi sulla barbabietola
5-Discussione sulla comparsa di soggetti colorati nelle discendenze di bietole bianche individuate
6-Discussione sulle altre accuse all’isolamento e sugli altri presunti fenomeni di degenerazione
7-Il vigore degli ibridi od eterosi.Nostre osservazioni sulle bietole
Capitolo VI – La barbabietola da zucchero e il problema della selezione
1-Selezionisti ed antiselezionisti
2-Il progressivo miglioramento della barbabietola da zucchero
3-La faticosa ascesa: come puň essa spiegarsi di fronte agli altissimi titoli registrati pur anco dai primissimi selezionatori?
4-A quale massimo puň giungere la ricchezza di una barbabietola? Il valore ereditario delle bietole a estreme ricchezze
5-La barbabietola da zucchero puň oggi considerarsi non piů suscettibile di ulteriore perfezionamento?
6-La questione della “brusca degradazione” e del “ritorno al tipo primitivo” in mancanza di selezione
7-Nostri esperimenti di “selezione in massa”
8-Il valore in atto del metodo genealogico nelle razze pure od omogenee
9-Metodi e procedimenti non piů giustificati dalle attuali conoscenze nel campo della genetica
10-Sarebbe possibile, per la barbabietola un “experimentum crucis” di selezione?
11-Il problema del miglioramento della barbabietola corriferito alle nostre osservazioni
Capitolo VII - Le difficoltŕ della sperimentazione e la barbabietola da zucchero
1-Variazioni entro uno stesso tipo in condizioni ritenute praticamente uniformi
2-Procedura da noi seguita
3-Accorgimenti diversi
Capitolo VIII - Sul rapporto tra peso specifico delle bietole e loro contenuto in zucchero
1-La portata del procedimento
2-Proporzione normale dei soggetti per categorie e rispettiva ricchezza in zucchero
3-Probabili cause delle discordanze registrate
4-Altri importanti rilievi e necessarie cautele
5-Sommario
Capitolo IX – L’esame estivo e l’immediato trapianto del materiale da selezione
Capitolo X – La conservazione invernale delle barbabietole nella bassa valle Padana
Capitolo XI – Sull’isolamento delle bietole madri
Capitolo XII - L’accorciamento del periodo vegetativo della bietola nella tecnica dei selezionatori
QUESTIONI GENERALI
1.-La riconosciuta deficienza di studi sulla barbabietola
Quanto debbono l'industria degli zuccheri e le finanze degli Stati alle case
produttrici di seme bietola? Tale domanda che con legittimo orgoglio hanno posta
ripetutamente nei loro convegni i selezionatori della media Europea. Ma si è,
insieme, più volte deplorato che i governi abbiano troppo lasciato alla
iniziativa privata il compito di occuparsi di problemi, che pur coinvolgevano
altissimi interessi nazionali. Così nel 1910 ad Halle a S., in un'adunanza
della Società tedesca per il miglioramento delle piante, G. Frölich,
dopo avere accennato a varie questioni ancora insolute, invocava la fondazione
di un'apposita stazione, alla quale deferire un tale programma di attività,
che uno Stato non ha assolutamente il diritto di pretendere svolto da imprese
commerciali; e nella stessa occasione, A. Herzfeld, direttore dell'Istituto
degli zuccheri di Berlino, appoggiava calorosamente la proposta del relatore
(Frölich Herzfeld, 1911).
Sembra appunto un paradosso, ma è così. Sul grano e sui cereali
in genere, e persino su piante minori, esiste una bibliografia massiccia, inquadrata,
organica; la bibliografia sulla genetica della barbabietola, malgrado tutto,
malgrado che progressi sorprendenti e ammirevoli siano stati compiuti, è
ancora frammentaria e incerta. Indarno si ricerca nei più classici e
più noti trattati una disamina a fondo del tema; e i varii contributi,
che la letteratura ha recentemente registrato, non solo rappresentano altrettanti
isolati anelli di una catena ancora da formare, ma tendono piuttosto a demolire
quello che si era creduto solidissimamente costrutto, il che avremo occasione
di andare mano mano rilevando.
La barbabietola da zucchero venne in verità più osservata dall'occhio
del chimico industriale che non da quello del fisiologo e biologo, e
lo si desume dalla grande copia di studi analitici, di cui essa fu oggetto,
inspirati prevalentemente a fini industriali; ché anzi la insufficiente
competenza e la scarsa preparazione di molti sperimentatori hanno portato non
di rado a paragonare entità assolutamente irrafrontabili, il che sarebbe
assai facile documentare. E noi stessi, allorché ci siamo trovati ad
impostare sperimentalmente alcuni problemi, abbiamo dovuto riconoscere che un
orientamento si imponeva anche nella tecnica della procedura sperimentale, quasi
come chi, dovendo lavorare attorno ad una macchina, debba innanzi studiare e
allestire gli arnesi per operare su di essa.
Tre quesiti attendono pur oggi, e più che tutto, la loro soluzione
da una severa e metodica sperimentazione:
1° - Si ha nella barbabietola un processo di autoimpollinazione , o le
bietole, che si suppongono derivate da soggetti autoimpollinati, sono in realtà
il prodotto di un reciproco incrocio?
2° - Dato come verificabile un processo di autoimpollinazione, si determina
per esso una degenerazione o affievolimento del tipo con la simultanea comparsa
di soggetti aberranti?
3° - Può, in fatto, la selezione condurre a un miglioramento delle
qualità e degli attributi del tipo?
Sono, come si rileva, tre quesiti, di cui l'uno si concatena e si rende dipendente
dall'altro; mentre, presi sia singolarmente sia nel loro insieme, farebbero
crollare, se suffragati da responsi rispettivamente positivi o negativi, ogni
edificio che si appoggi sul principio fondamentale della selezione genealogica,
ridurrebbero in briciole tutto il lungo e paziente lavoro di coloro che si sono
occupati del problema del miglioramento delle barbabietole col metodo della
separazione di progenie in discendenza di determinati individui, e quindi anche
il nostro lavoro.
Senonchè saprà la così detta "scienza" fare
di più e di meglio di quanto non abbia potuto la "grande pratica"?
Od è la scienza anche qui, come altre volte, arrivata troppo tardi, per
non aggiungere, cioè, di suo, se non un po' di metodo e parecchia presunzione?
2.-Difficoltà dirette e indirette da superare nella scelta del "materiale
da selezione"
Se lo studio di ogni pianta ha offerto ed offre difficoltà e sorprese,
queste occorrono con una frequenza e in una misura che hanno talvolta dell'assillante
a chi si accinga ad affrontare lo studio del miglioramento della barbabietola
da zucchero. Compito più arduo potrebbe difficilmente prospettarsi di
quello corriferito alla valutazione di tutti gli elementi che entrano in giuoco
nel determinare l'immagazzinarsi dello zucchero nella radice: zucchero che,
soprattutto nelle nostre condizioni di ambiente, sfugge o si trasforma senza
che sia dato trattenerlo, oscilla o fluttua con variazioni percentuali di ogni
giorno, potrebbe dirsi di ogni ora.
Che cosa significa, innanzi tutto, "maturanza" delle barbabietole?
Per la grandissima parte delle piante coltivate, l'entità "prodotto"
è nettamente definita; la maturanza è, per le stesse, una maturanza
specificamente fisiologica; e quando la pianta è matura, le variazioni
nel prodotto non si differenziano sostanzialmente anche se la raccolta si effettui
parecchio tempo più tardi del normale, e le differenze del prodotto non
sono di consueto notevoli anche se il seme si affidi alla terra con intervalli
di tempo sensibilmente diversi. Maturanza delle barbabietole nel suo significato
agrario industriale è, per contrario, un non senso nel significato
fisiologico. Strettamente parlando, una barbabietola si avvicina alla maturanza
allorché i suoi semi siasi la pianta comportata come biennale
o come annuale stanno per perfezionarsi sugli scapi; e se scendiamo a
considerare una bietola a ciclo biennale giunta alla fine del suo primo anno
di vita, essa dovrebbe avere raggiunto il suo più alto grado di perfezionamento
allorquando ha accumulato nei propri tessuti la massima quantità totale
di elementi di riserva. Convenzionalmente si ammette invece che la barbabietola
sia matura nel momento in cui le radici hanno il massimo di zucchero percentuale
e il minimo di elementi minerali ed organici (impurità); ma poiché
si può dire che ogni pianta segua, a questo riguardo, una strada per
suo proprio conto, così, anche di fronte a quella che va ritenuta una
maturanza ideale, occorre badare alle grandi medie e adattarsi a inevitabili
compromessi.
Non basta: data una stessa razza o varietà commerciale di barbabietole,
non soltanto si registrano variazioni estremamente larghe da plaga a plaga,
da annata ad annata, da terreno a terreno, ma ancora, in una stessa annata e
E passando, infine, a considerare il lavoro di chi si appresti alla ricerca
di materiale "da selezione", cioè ad un esame comparativo dei
singoli soggetti di un campo, e a formulare un giudizio sopra una determinata
barbabietola , sia in rapporto al suo peso, sia in rapporto alla sua ricchezza
(tanto più quando si tratti di mettere in correlazione il peso e la ricchezza
di un soggetto con gli attributi della sua progenie), insorge una fila di interrogativi:
Per quanto sul peso e sulla ricchezza di un soggetto hanno influito il terreno,
la fertilità locale, il tempo di semina, il decorso della stagione, riferiti
al progressivo evolversi del soggetto stesso?
Quale lo spazio che la pianta occupava nel campo? Quali le variazioni progressive
nella quantità del suo fogliame?
Una bietola molto pesante denota una effettiva tendenza individuale, o non
proviene essa da una piantina trovatasi occasionalmente nel suolo in condizioni
di privilegio, così da aver potuto sopraffare in seguito soggetti circostanti?
Quali si sarebbero palesati peso e ricchezza di un determinato soggetto se
questo fosse stato escavato e analizzato un certo tempo prima, oppure, per contrario,
un certo tempo dopo?
Due bietole, che presentano all'analisi uno stesso titolo zuccherino, non
potrebbero costituire l'una un soggetto tra i più poveri di una linea
di sangue a soggetti relativamente ricchi e l'altra un soggetto dei più
ricchi tra una progenie formata prevalentemente da soggetti poveri? E quale
potrà essere il comportamento di due progenie a loro volta fatte derivare
dai due soggetti?
Quando si vogliono, partendo dagli elementi peso e ricchezza di un determinato
numero di soggetti appartenenti a progenie diverse, tracciare curve di variazione
e confrontarle successivamente tra loro, si può con certezza presumere
che le curve e i rapporti tra le medesime avrebbero palesata una uguale concordanza
se i soggetti si fossero esaminati in momenti diversi?1
1) La lunghezza delle spiche o il numero di cariossidi delle singole spiche
assunte in una medesima linea di grano, oppure la grossezza dei fagiuoli ecc.,
sono caratteri nettamente definibili ed esattamente misurabili a compiuto ciclo
della cultura. Nel caso delle barbabietole, anche supposta un'altra purezza
delle progenie, i fattori fluttuanti peso e ricchezza variano ancora in sé
stessi e talvolta in modo così brusco da togliere positivo valore alle
effettuate misurazioni, in quanto non è possibile di presumere
insistiamo su questo concetto se il momento scelto per l'esame fosse
il più propizio per la valutazione delle qualità della pianta
considerata.
La complessità e la inafferrabilità delle cause di errore e la
somma delle circostanze accidentali capaci o di esaltare o di deprimere tendenze
individuali al di là dalle normali ampiezze di variazione, alimentano
possibilità di falsi apprezzamenti nelle induzioni che si tenda a far
scaturire da un determinato materiale; e v'è di che per rendere, come
dicevamo, sommamente perplesso ed esitante chiunque si accinga ad un sia pur
paziente lavoro di separazione, a disorientarlo, a riportarlo ricorrentemente
nel buio.
Non ultima, forse, codesta la ragione per la quale la grandissima parte dei
biologi e dei genetisti si astennero dal portare personali contributi alla studio
della nostra pianta, la quale richiede e richiama tale un cumulo di mezzi e
di sacrifici, cui corrispondono risultati così incerti e fugaci, da scoraggiare
in breve e da indurre il ricercatore a "ricercare" fonti di soddisfazioni
in altri campi e lungo strade meno aspre.
3-La scelta delle madri da effettuarsi dove le bietole sono abitualmente
più ricche?
E' stata sempre viva e dominante la tendenza dei selezionatori nel portare
il centro di scelta delle madri nelle plaghe che offrono bietole più
ricche. Così nella media Europa la maggior parte delle Case selezionatrici
si è affermata in quelle regioni ove lo zucchero segna le più
alte percentuali, come nella provincia Sassone, nell' Anhalt, nella pianura
Boema verso Praga, ecc.; oppure, per le plaghe meridionali, negli altipiani
dove le bietole raggiungono egualmente titoli elevati per effetto di un clima
che ha molte analogie con quello settentrionale.
Forse uno dei motivi per i quali i selezionatori francesi non ebbero fortuna
neppure in casa propria dovrebbe ricercarsi nella prevenzione e nella diffidenza
sia di quei fabbricanti di zucchero, sia di quei coltivatori che vendono a densità,
contro un seme derivato da un materiale, quale si ha in Francia, sempre più
povero di quello della media Europea?2
2) G. Dureau stesso avvalorava recentemente questo supposto scrivendo: "Riguardo
alla questione di sapere se il suolo e il clima della Francia permettano
la produzione di semi capaci di dare bietole di alto grado, gli esperimenti
compiuti durante parecchi anni consentono di rispondere in modo affermativo"
(Dureau, 1918).
Anche per quanto riguarda il nostro Paese, si è costantemente manifestata
una corrente contraria a portare il campo di attività nelle zone dove
il raccolto non palesa abitualmente alti titoli: noi medesimi ci siano sentiti
più volte ripetere che la tale e la tal'altra provincia dovrebbero escludersi
quali centri in cui attuare un lavoro di selezione, perché in esse non
si trova se non materiale mediocre.
Aggiungasi che per una stessa plaga il selezionatore si sente attratto verso
quei poderi o quegli appezzamenti in cui le barbabietole, o normalmente per
fortunata ubicazione, od occasionalmente in una determinata annata, risultino,
ad una analisi di saggio, più ricche.
Il problema rientra, come si comprende, nel grande quadro della vecchia e
vexata quaestio, che si riferisce alla così detta eredità
dei caratteri acquisiti. Può una modificazione indotta dall'ambiente
essere trasmessa?3 Nel nostro caso: la capacità che ha una
bietola di accumulare maggiore o minore quantità di zucchero nella propria
radice, in conseguenza delle diverse condizioni di ambiente in cui la pianta
si sia trovata a vegetare, può divenire un attributo ereditario?
3) Il Middleton precisava recentemente (1918) i termini così: "Possono
i sistemi viventi essere modificati in modo che le modificazioni rimangano nelle
successive generazioni, anche se i fattori modificanti siano stati rimossi?
Possiamo noi cambiare un sistema vivente così che il cambiamento persista
nelle ulteriori generazioni?"
Per istinto, scrive E.G. Conklin, tutti siamo lamarchiani e siamo inclinati
a seguire Darwin nell'ascrivere le variabilità di ogni genere, germinali
o somatiche, a cambiate condizioni di vita.
Sottilizzando, le questioni sono, per la loro diversa impostazione di principio
e di fatto, fondamentalmente due: l'una in senso lato, l'altra in senso ristretto.
Considerato il problema nella sua più vasta comprensione, può
l'ambiente, con un processo cumulativo attraverso lo snodarsi di un numero maggiore
o minore di generazioni, determinare il formarsi di nuovi fattori genetici o
almeno modificare, vuoi in senso positivo vuoi in senso negativo, fattori preesistenti?
Oppure, sotto lo stimolo di date condizioni esteriori possono bruscamente originarsi
delle nuove forme (forme mutanti), che il selezionatore è messo così
in grado di afferrare? Facendo una ipotesi: se la cultura della barbabietola
fosse stata sino ad oggi circoscritta alla sola bassa Valle Padana, e quivi
soltanto se ne fosse praticata la selezione con gli stessi metodi, e quand'anche
per opera degli stessi uomini, e domani la coltivazione fosse trasportata nella
media Europa, le piante accuserebbero nel nuovo ambiente ricchezze egualmente
elevate quanto quelle che la pianta è già capace di registrare
in quei paesi con una selezione ivi praticata da numerosi decenni? E se la selezione
si fosse, in più, effettuata per un egual periodo in quelle plaghe nelle
quali, come vedremo, le bietole raggiungono, in conseguenza di circostanze eccezionalmente
propizie di ambiente, titoli estremamente elevati,quali risultati si potrebbero
rispettivamente annotare portando una parte di detto materiale nella media Europa
da un lato, e nella bassa Valle Padana dall'altro, in raffronto ai resultati
conseguibili con una selezione distintamente praticata nelle due plaghe?
Ridotto, invece, il quesito a più ristretto e modesto confine, si domanda:
eseguendo anno per anno la scelta del materiale in determinate zone, nelle quali
le bietole presentino, in più alto grado, in confronto ad altre zone
ma per uno stesso tipo di seme impiegato, i voluti requisiti, detto materiale
"trascina con sé" un "qualche cosa" che lo debba
rendere, senza discussione, preferibile?
Mentre il parere dei genetisti si diverge sulla questione di principio, preso
nel suo più largo significato, la grandissima parte degli studiosi, e
fra questi i più autorevoli, convengono nel non attribuire consistenza
alla concezione che, con una unilaterale e singolare interpretazione dell'aforisma
"simile genera simile", vorrebbe scorgere in una caratteristica meramente
occasionale un significato ereditario.
Tra la recisa negazione dei più eminenti studiosi del tema da una parte,
e la dominante tendenza dei selezionatori dall'altra, vi è nondimeno
una corrente che vorrebbe porsi come conciliatrice: anche ammesso, e accettato,
che le modificazioni indotte dall'ambiente non fossero ereditarie nel vero e
assoluto senso del termine, ma potessero trasmettersi solo temporaneamente (nella
peggiore delle ipotesi, per una sola generazione), non si tratterebbe pur sempre,
dal lato agronomico e industriale, di un attributo importantissimo? Praticamente
basterebbe, in tal caso, riservare la produzione del seme a quei determinati
centri più atti ad esaltare i pregi del tipo.
Comunque, manca in riguardo l'appoggio di ricerche sperimentali specificamente
istituite. Occorrerebbe almeno poter provare che i discendenti di uno stesso
stipite, divisi in due lotti, gli uni stazionati più o meno lungamente
in un ambiente dove si accumula, per andamento climatico, una notevole quantità
di zucchero nelle radici, gli altri dove lo zucchero non si accumula se non
in percentuali modeste, e ad intervalli di tempo scambiati, sono in grado di
offrire un diverso e alterno comportamento, statisticamente apprezzabile, della
loro facoltà saccarigenica. Un esperimento del genere che ora
ed è nel nostro intendimento di tentare con prove di selezione e conseguenti
raffronti fra una stazione di altopiano e una stazione di pianura non è
tuttavia, in rigore, facilmente impostabile, in quanto sarebbe estremamente
arduo di valutare tutti i così detti fattori limitanti e precisare ogni
possibile causa di errore, anche ammesso di dover partire (il che non è
agevole a provare) da un tipo puro.4
4) Pur supponendo di prendere come punto di partenza il seme di un unico individuo
(autoimpollinazione) e di dividere all'inizio il seme in due parti, in modo
da seguire le sue discendenze gemelle nelle due stazioni diverse, dato che ogni
bietola è un ibrido più o meno complesso, si potrebbero interpretare
come manifestazioni di adattamento o come modificazioni indotte dall'ambiente
taluni semplici fenomeni di disgiunzione o di prevalenza, che non avrebbero
naturalmente nulla di comune con l'eredità dei caratteri acquisiti. Codesta
distinzione poco importerebbe ad ogni modo, ci affrettiamo a soggiungerlo, dal
punto di vista applicativo.
4- La cultura nei paesi meridionali meglio assicurata come seme del nord?
Contro il principio fondamentale, affermante l'opportunità di compiere
un lavoro di selezione locale destinato a permettere di separare varietà
o razze a determinate condizioni di ambiente, starebbero, per diverse piante,
i rilievi della grande pratica, suffragati in parte dal responso della sperimentazione,
per i quali in una determinata plaga non potrebbero conseguirsi sicuri successi
culturali se non impiegando una semente prodotta in plaghe e sotto condizioni
climatiche diverse, nel quale caso il cambiamento di ambiente sembrerebbe agire
come uno stimolo.
Vi sono osservazioni documentate per il granoturco, per alcune leguminose,
e varie culture ortensi, per alcune piante boschive, ecc. Quanto alla barbabietola,
le prime constatazioni risalirebbero a vari decenni addietro: secondo Sombart
di Emersleben, i semi ottenuti sotto il clima rude del Harz in Germania darebbero
risultati migliori in climi più dolci in confronto ai semi ottenuti in
questi ultimi climi. Walkhoff a sua volta afferma che i semi provenienti dai
paesi freddi, trasportati nei paesi temperati, danno bietole più robuste
e più vigorose (Dureau, 1886)5; Geschwind e Sellier a loro
volta osservavano (1902) non essere improbabile che le barbabietole, adattatesi
ad un clima sfavorevole, siano capaci di svilupparsi in maniera più regolare
se trasportate in un clima meno rude. Lo stesso concetto abbiamo veduto espresso
da Oetken. Si tratterebbe però, anche qui, di una influenza del tutto
transitoria, la quale
5) Ci è mancata la possibilità di procurarci le memorie originali
in cui furono riferite le osservazioni dei due AA. Citati dal Dureau.
D'altra parte, e in contrapposto, è provato che i semi ottenuti al sud
hanno una facoltà germinativa e una vigoria iniziale che indarno si ricerca
nei semi prodotti al nord, codeste facoltà unicamente dipendendo dalle
diverse condizioni sotto le quali si compie la maturanza dei semi nelle rispettive
plaghe: una maturanza, cioè, tardiva e pigra nei paesi settentrionali
un abbonimento perfetto nelle plaghe del sud (Italia, bassa Ungheria, Russia
meridionale). A tale privilegio andrebbe congiunto, come è facile presumere,
quello di una maggiore resistenza della cultura agli attacchi delle forme parassitarie
che colpiscono le giovanissime piante ad accrescimento stentato: le osservazioni
di D. Hegyi (1911) con prove di raffronto tra semi ottenuti nei climi secchi
dei territori meridionali della Russia e dell'Ungheria, e semi ottenuti sotto
il clima della Germania e dell'Olanda (i primi glomeruli hanno una umidità
naturale del 10-12%, mentre negli altri l'umidità sorpassa il 18 e raggiunge
il 24%), lo avrebbero confermato in forma recisa.
Noi non abbiamo bastevoli elementi e dati personali, ma sentimmo a riprese
accusato il seme nostrale di dare piante che, dopo una promettentissima vigoria
iniziale, in deciso contrasto con la lenta evoluzione delle piantine provenienti
da seme introdotto dalla media Europa, si arresterebbero ad un dato momento
nello sviluppo, il quale proseguirebbe successivamente stentato, donde debole
produzione in peso e scarso rendimento in zucchero. Da ripetute osservazioni
(inedite) di G. Mori, sarebbe anche apparsa una assai maggiore sensibilità
alla cercospora (Cercospora bieticola Sacc.) delle culture derivate da
seme nostrale in confronto a culture con seme del nord, situate accanto in varie
zone umide della pianura friulana.
Siamo qui di fronte a manifestazioni, per opporsi alle quali vani appaiano
gli sforzi e l'indirizzo di lavoro di un selezionatore?
Specificato il dubbio (ed era prudente di accennarvi anche in questa relazione),
è necessario di raccogliere il maggior numero di fatti sperimentalmente
controllati, affinché ne derivino guida e lume alla tecnica in tempo
relativamente breve. Tutto un programma di lavoro, da noi definito fino dal
1912 con la Stazione di Vienna, per uno scambio di materiale in derivazione
da uno stesso lotto, dovette essere bruscamente sospeso nel 1914.
Va, però, comunque osservato che non possono accogliersi se non con
le più ampie riserve i presunti mutamenti di forma e di colore delle
radici, la tendenza alla biforcazione ecc., parimenti attribuiti a cambiamento
del clima, laddove sono semplicemente imputabili a fenomeni di falso adattamento
o di "vicinismo", secondo il fortunato termine di H. de Vries.6
6) "Vicinismo", secondo il significato di de Vries, è quella
degenerazione semplicemente apparente dovuta non a intime modificazioni recate
dal mutamento d'ambiente, ma unicamente attribuibile ad incroci spontanei ed
insospettati con varietà locali in conseguenza di mancate cautele od
imperizia degli sperimentatori, e che si verificano, com'è naturale,
in modo cospicuo per le piante a fecondazione incrociata. Con detto termine
il de Vries ha voluto appunto indicare il modificarsi di una varietà
sotto l'influenza di una o più varietà coltivate nelle sue vicinanze.
Uno dei più singolari esempi di vicinismo segnalati dal de Vries, e che
qui vogliamo solo ricordare, è quello del rapido "adattamento"
di una varietà di granoturco americano, "Tuscarora" di S. Louis,
a cariossidi grosse, bianche e piatte, introdotto nel ducato di Baden da Metzger
nel 1840; alla terza generazione non si riscontravano più i caratteri
del tipo americano, ma quelli della varietà indigena più diffusa.
Il Darwin presentò il caso come sorprendente dimostrazione dell'azione
diretta e pronta del clima sopra una varietà; il fatto andava invece
puramente spiegato come manifestazione di vicinismo (de Vries, 1912).
Osserveremo anche che sulla "degenerazione" dei tipi, e sulla affermata
necessità del "cambio" delle sementi in genere, si è
indubbiamente molto esagerato. L'argomento è di quelli per i quali scarseggia
in modo acuto il contributo sperimentale7 onde altre indagini s'impongono
per accertare quanto vi sia di reale, e quanto di ipotetico, di immaginario,
di arbitrariamente interpretato nei canoni che corrono tra gli agronomi e gli
agricoltori.
7) Per i cereali, osservazioni veramente probative si hanno per alcuni ibridi
che, omogenei e ben definiti in alcune località e sotto un clima e suolo
determinati, "degenerano" allorchè vengono spostati dal loro
centro che diremo d'origine. L'orzo ibrido Svanhals, stabile a Svalöf e
ivi controllato per oltre 20 anni, rimane stabile nel nord della Germania, ma
si distingue quando si tenda ad "acclimatarlo" nel nord della Francia:
la disgiunzione ne è accelerata nei terreni calcari dei dintorni di Pèronne
ed è ancora più peculiare a sud di Parigi, nella Sarthe, al punto
da rendere necessario il rinnovamento ogni anno delle sementi (L. Blaringhem,
1909 e 1918). Non meno degne della più grande attenzione sono alcune
ricerche di L. Angeloni (1906) sul tabacco, ricerche passate malauguratamente
pressochè inosservate entro e fuori il nostro Paese, se si debba desumerlo
dal silenzio che su di esse mantengono i moderni trattisti (un occasionale accenno
abbiamo trovato in Fruwirth, 1910). "Un meticcio ben costituito" concludeva
tra l'altro l'A., "trasportato da una località ad un'altra, può
subire variazioni di caratteri in dipendenza dell'attività diversa che
si svolge tra i sangui nel nuovo ambiente, e variazioni possono aversi anche
nella stessa località di dipendenza dell'andamento delle stagioni. L'ambiente
può ostacolare in diversa misura la manifestazione delle energie delle
singole razze che hanno contribuito a costituire l'ibrido. In un determinato
ambiente idoneo ad una razza, le energie dell'altra contenute in un meticcio
possono venir in parte sopraffatte". Le indagini di Angeloni, con induzioni
che risentivano naturalmente delle incertezze dell'epoca, se ripigliate oggi
con la scorta delle relativamente più vaste conoscenze in materia, dovrebbero
portare a resultanze ancora più interessanti. Variazioni analoghe si
sarebbero registrate anche per ibridi di grano, dei quali si pronosticava l'assoluta
stabilità perché supposti resultare da combinazioni di caratteri
cosiddetti recessivi, il che dimostra eredità concatenata di certi fattori
porta a imprevedute e talvolta non desiderate complicazioni: onde fu bene affermato
non essere sempre e comunque le forme di eredità "un semplice affare
di tre ad uno". In altri casi, infine, la "degenerazione" di
una varietà può occorrere quando la varietà sia costituita
dalla mescolanza di diverse razze (biotipi): introdotta la varietà in
un ambiente diverso dall'abituale, nel nuovo habitat possono prendere
più o meno rapidamente il sopravvento i biotipi che nella plaga d'origine
si trovavano in proporzione numericamente minore. Semplicemente così
si spiegherebbe anche la maggior parte degli "adattamenti" o "acclimatazioni"
di varietà. "Si è spesso preteso", scriveva al riguardo
del grano Ph. De Vilmorin, " che l'influenza del clima abbia un'azione
modificatrice sulle varietà. Io ho sempre opposto che, se il clima ha
in effetti una influenza selettiva, si è perché porta alla soppressione
delle forme meno adatte, non già che esso possa conferire l'attitudine.
In altri termini un'acclimatazione nel senso che generalmente le si attribuisce,
cioè a dire come un'abitudine lentamente acquisita sotto l'influenza
delle condizioni esteriori, non esiste" (1911).
5- La probabile equipollenza genetica delle "varietà
commerciali"
Le cifre offerte dai prospetti relativi alle prove comparative tra comuni varietà
commerciali di barbabietole da zucchero, specialmente se abbraccianti il periodo
dell'ultimo quindicennio, appaiono nel loro complesso e nelle grandi linee così
uniformi da far chiedere persino se variazioni analoghe non si sarebbero potute
nella gran parte dei casi registrare qualora in tutte le parcelle o riquadri
od appezzamenti dei singoli campi di prova si fosse distribuito il seme di una
sola "varietà".
Le ricerche più accurate e metodiche destinate a determinare in confronto
il valore industriale e colturale delle più comuni varietà di
barbabietola si debbono a K. Andrlìk e coll. della Stazione di Praga.
Orbene: un accurato esame dei dati degli AA., riferito non tanto alle medie
quanto alle cifre da cui caso per caso furono calcolate le medie stesse, permette
di tracciare una serie di interessanti grafici, che non potrebbero essere più
dimostrativi a suffragio del nostro assunto: uno di essi è riprodotto
in questa Memoria (fig.1). grafici analoghi potrebbero facilmente
costruirsi dai dati delle prove di molti altri sperimentatori, ma per non andare
al di là dei limiti concessi alla trattazione del tema, ci limitiamo
a riportarne un altro soltanto, ma parimenti assai dimostrativo, desunto dalle
prove di venti varietà commerciali compiute da J. E. W. Tracy de Bureau
of Plant Industry degli Stati Uniti d'America nel 1909 (fig. 2).
Perché, tra l'altro, si potesse parlare di varietà superiori,
o inferiori, occorrerebbe che costantemente in un medesimo terreno le ricchezze
si mantenessero, rispettivamente, più alte o più basse a sensibile
parità di produzione in peso. Che se una data varietà palesa in
certi casi un titolo medio più alto di un'altra varietà semplicemente
perché il suo peso medio è stato più basso, non può
escludersi il dubbio che, se la varietà palesatasi più ricca avesse
dato un prodotto più elevato e la varietà palesatasi meno ricca
avesse accusato una produzione più bassa, anche i titoli si sarebbero
livellati. Non solo: scorrendo le cifre riguardanti prove di un determinato
numero di varietà in annate diverse, risulta facilmente che, se un anno
è classificato primo in graduatoria un dato tipo, in un'altra annata
il primo posto è assegnato ad un altro seme: il che si deve al fatto
che se un tipo, in un complesso di medie aritmetiche, deve pur venire necessariamente
per primo, ciò può anche attribuirsi a circostanze occasionali,
di carattere più agronomico che genetico, che possono mettere in condizioni
d'inferiorità l'uno o l'altro dei semi posti a raffronto8.
8) Non sempre, ad esempio, il seme di un produttore può maturarsi in
modo perfetto: onde può accadere che lo stesso seme origini piantine
con minore vigoria iniziale, la quale giunga senza altro a determinare una permanente
condizione di inferiorità, sia pure essa fugace e temporanea o propria
di una determinata annata. L'anno appresso è appunto l'opposto che può
verificarsi. (Cfr.tra l'altro Kidd e West, 1919). Fig. 1 - Decorsi dei titoli di cinque differenti «varietà»
di barbabietole da zucchero coltivate in confronto in località diverse
(i numeri da 1 a 10, in basso, contrassegnano i vari campi di prova) ed in tre
annate in cui le medesime varietà si posero rispettivamente nei medesimi
terreni. (Da dati di K. Andrlìk e coll.)
Nulla di più naturale frattanto che i selezionatori ultimi presentatisi
alla ribalta del mercato siano in grado di offrire seme egualmente pregevole
come quello delle più antiche case produttrici. Per quanto il grosso
pubblico debba provare una certa fatica a staccarsi dall'accarezzata supposizione
che soltanto un lungo e paziente lavora permetta di nobilitare un tipo (può,
si dice un semplice soldato diventare d'improvviso generale?), non esagera affatto
"l'ultimo venuto" se dichiara di poter cedere, come dicevamo un materiale
"per niente inferiore a quello delle migliorie più rinomate provenienze".
Allorché, poi, si sente affermare : il tale tecnico di zuccherificio,
improvvisatosi "selezionatore dilettante", partendo dal materiale
della casa produttrice A o B, ha ottenuto col proprio lavoro di selezione bietole
che, a parità d'altre condizioni, in nulla si sono differenziate dai
tipi originarii, e se ne dà l'enunciazione come dimostrazione di un bel
successo conseguito, non il fatto della constatata concordanza dei resultati
deve sorprendere: occorrerebbe sorprendersi che si fosse verificato il contrario.
Con quasi assoluta certezza gli stessi resultati e quindi lo stesso successo
si sarebbero registrati anche senza "selezione".
6- Se esistano effettivamente "varietà" commerciali di
barbabietole da zucchero.
Ogni campo di barbabietole, sia pur derivanti da seme delle più note
e accreditate ditte produttrici, presenta la più disordinata mescolanza
di tipi, facilmente distinguibili, anche da un occhio non affinato da prolungate
osservazioni, per portamento, sviluppo, e colore di fogliame, e ancora per caratteri
morfologici della radice. Siffatta mescolanza di forme che è comune,
come è notorio e come rileveremo a suo luogo, a tutte le varietà
commerciali delle piante coltivate9 era stata ripetutamente
segnalata dagli studiosi dell'argomento: Townsend, 1911; Cook, 191310 ;
Pritchard, 1916, ecc.
9) La specie coltivata che presenta più strette analogie con la barbabietola
è il granoturco, per il quale G. Shull (1910) scriveva: "Quella,
che può apparire come una varietà uniforme di granoturco, è
in effetti una serie di ibridi complessi, involgenti numerosi biotipi, che possono
essere isolati dalle loro combinazioni ibride con il processo di autofertilizzazione".
10) Osserva il Cook:" Le varietà, che sono state portate al più
alto grado di uniformità per alcuni caratteri, possono continuare a dimostrare
notevoli gradi di variazione per altri aspetti. E' noto ad es. i tipi di granturco
selezionati per uniformità dei caratteri della spica palesano spesso
sensibili differenze nei caratteri vegetativi. Lo stesso dicasi per le barbabietole,
che sono state con tanta costanza selezionate per l'alto contenuto in zucchero,
ma con poco o niun riguardo per la fissazione di tipo morfo logicamente uniformi
(1913).
Nel nostro complesso lavoro di separazione di tipi abbiamo noi stessi potuto
isolare numerose progenie offerenti caratteri esteriori sorprendentemente uniformi
con gradazioni, da progenie a progenie, nettamente distinte. Ma, poiché,
come avremo occasione di notare, non si riscontrano, nell'insieme dei soggetti
di una progenie a determinati caratteri esteriori, ricchezze e pesi che li debbano
far preferire al complesso di altre progenie presentanti caratteri esteriori
dissimili, così si spiega perché nel lavoro di selezione (prevalentemente
se compiuto col metodo della fruttificazione in massa) si sia soprattutto mirato
ad innalzare l'attributo della ricchezza, sorvolando sulle caratteristiche morfologiche;
se pure il contrasto dei tipi, che si rileva tra le comuni bietole da fabbrica,
non si debba anche ascrivere alla grande plasticità delle specie, legata
alla sua dominante allogamia.
Comunque sta di fatto, ripetiamo, che nel caso speciale delle comuni barbabietole
da zucchero non si potrebbe parlare di varietà, né in senso
assoluto, né in senso relativo. Già proponemmo in passato di sostituire
frattanto al termine "varietà" quello, molto più proprio
e più rispondente, di "marca", allorché si tratti di
contraddistinguere le partite delle varie case produttrici.
7 - I tedeschi fornivano alla Francia seme di qualità inferiore?
Prospettiamo qui naturalmente il tema sotto l'esclusivo riflesso dei procedimenti
di selezione. Perché in Francia si sono sempre ottenute barbabietole
meno ricche di quelle che contemporaneamente venivano prodotte nell'Europa media?
Poteva il fatto imputarsi ad una più scadente qualità del seme
impiegato in Francia, espressamente preparato e deliberatamente ivi esportato
dalle case tedesche? Il convincimento è così profondamente radicato
in Francia che quella stampa tecnico agraria se ne è fatta ripetutamente
portavoce, soprattutto dopo il 1914. "I fornitori di seme tedesco hanno
continuato a mandare in Francia ciò che avevano di meno buono".
"Si sapeva in Germania che vi erano dei semi per la Francia e non erano
i migliori". "Il seme che la Francia riceveva dalla Germania era certo
di migliore qualità di anno in anno, ma permaneva una specie di handicap
in favore del seme che i tedeschi conservavano per sé", ecc. (Cfr.
Rendiconti Accademia di agricoltura di Francia e Riviste speciali del periodo
1914-1918).
Le accuse sono di duplice ordine e riguardano: 1° gli attributi o qualità
intrinseche o genetiche dei tipi; 2° la facoltà germinativa del
seme come attribuito a sé.
Qualità intrinseche dei tipi. - Il primo capo d'accusa ha trovato
la sua preminente ragione di materiarsi attraverso la presupposizione che la
ricchezza in zucchero della barbabietola sia in funzione del seme, e cioè
che le qualità genetiche di questo costituiscano, per il resultato finale,
un fattore soverchiante. Occorre, in argomento, considerare: che notevoli differenze
nel contenuto in zucchero si riscontrano, a seconda delle plaghe di cultura,
nella stessa Germania; che con un medesimo seme si hanno differenze che possono
raggiungere i tre gradi secondo che, ad esempio, la coltivazione si effettui
a Praga o a Vienna; che un medesimo seme in Italia può dare, nella medesima
annata, bietole a titoli altissimi, quali quelli che si hanno normalmente nei
nostri altipiani (Foligno, Fucino, ecc.) e bietole molto povere, come in certe
zone della Bassa Valle padana, senza che notevoli differenze di rendimenti in
peso giustifichino sempre il comportamento della pianta nei due casi in contrasto;
che nell'America del nord si registrano, con un medesimo seme, differenze che
hanno del paradossale secondo che la cultura si pratichi in uno oppure in un
altro Stato11, con produzioni in peso non di rado più basse
là ove anche le bietole sono molto povere (H.Wiley, 1901 e segg.); che
nella stessa Francia si possono registrare, in una determinata annata, raccolti
in quasi trecento quintali ad ettaro con una ricchezza del 17 per cento in una
zona e raccolti di un terzo più bassi con il 15 per cento in un'altra
zona (Mennesson, 1917); che ancora in Francia si sono avute annate, come il
1905, nelle quali la bietola ha potuto accusare titoli altissimi (H. Pellet,
1910, fenomeno occorso anche in via del tutto eccezionale nella bassa Valle
Padana nell'agosto 1916; che, infine, il seme tedesco può dare, se coltivato
in alcune plaghe dell'Africa del Nord (Pellet)12 e della California13,radici
con titoli molto più alti di quelli che giungano ad accusare le bietole
della Germania. Gli è che la barbabietola, per quanto riguarda la sua
facoltà di accumulare zucchero nella propria radice, è di una
sensibilità estrema alle variazioni di ambiente; essa è un delicatissimo
congegno capace di registrare variazioni, che nessuno strumento riuscirebbe
a percepire14.
11) Esperimentando con un medesimo seme J.E.W. Tracy segnalava nel 1909 percentuali
in saccarosi aggirantisi attorno all'11 a Geneva, N.Y.; al 14 a Holland, Mich.;
al 18 a East Lansing, Mich.; al 26 a Fairfield, Wash. (cfr. Tracy, 1909). Si
veggano i decorsi del grafico della fig. 2.
12) Nelle plaghe irrigue dell'Egitto il Pellet ebbe ad analizzare bietole con
un contenuto di zucchero di oltre il 25 per cento mentre radici provenienti
dallo stesso lotto di seme non accusavano in Francia più del 14 16%.
Il Pellet osserva però che le barbabietole si mantengono allo stato vegetativo
per un periodo molto più lungo di quello che va considerato come normale
nei paesi europei.
13) In una sua relazione sulla cultura della barbabietola in California Aulard
dichiarava di avere personalmente riscontrate partite di radici con oltre il
30 per cento e perfino una partita col 34 per cento (analisi eseguite con doppio
metodo). Strano è però che le bietole della California ad altissimo
contenuto in zucchero siano cariche di "impurità", che rendono
la estrazione dello zucchero assai difficile e faticosa (A.Aulard, 1916).
14) Che a determinate condizioni di ambiente rispondano le piante con differenze
quasi costanti nell'accumulo di caratteri quantitativi, non è solo con
le bietole che lo si possa brillantemente dimostrare. Le indagini, che possono
meglio e più sicuramente illuminare anche a questo riguardo, sono quelle
che hanno man mano segnalato gli studiosi dell'America del Nord, dove, per opera
di quella sapiente e mirabile organizzazione statale, l'influenza dell'ambiente
è determinata con ricerche metodiche, scegliendosi, nelle prove, il medesimo
seme. Valgono alcune cifre offerte da J.A. Clere, 1910, relative al contenuto
in glutine del frumento coltivato in località differenti: per uno stesso
tipo le quantità oscillano da un minimo di 11.7 a un massimo di 22.8
per cento. "Il contenuto in glutine - osserva lo sperimentatore- è
in gran parte, se non interamente, subordinato al clima. Frumento della medesima
varietà, ottenuto da diverse plaghe e possedente caratteristiche chimiche
e fisiche diverse, quando sia fatto vegetare in una sola e data località,
produce raccolti che nella massa presentano la stessa apparenza e la stessa
composizione. Se il frumento
Ed ancora: se le condizioni di inferiorità della bieticoltura francese
fossero state specificamente determinate dal seme di qualità inferiore
pensatamente fornito dalle case teutoniche, come mai nei raffronti compiuti
da quel Sindacato dei fabbricanti di zucchero e da quegli Istituti agrari sperimentali
non si sarebbe affermato ed imposto, se non il seme pur con tanta perizia e
diligenza apprestato da qualcuna delle case produttrici francesi, il seme di
provenienza olandese o boemo (è notorio che le case produttrici della
Boemia sino dal 1900 battevano in concorrenza quelle germaniche sul mercato
occidentale e negli Stati Uniti D'America), senza parlare del seme russo che,
negli ultimi tempi, tuttavia, che qualcuno degli stessi produttori tedeschi
fosse egli stesso vittima di falso apprezzamento circa il valore effettivo delle
proprie categorie di seme, quando si consideri che ancora oggi vi sono molti
"selezionatori", i quali seguono procedure che le più elementari
conoscenze nel campo della genetica portano a far relegare, e ne vedremo più
innanzi le ragioni, tra i ferravecchi del semplicismo.
Lo stato di inferiorità della bieticoltura francese nel periodo prebellico
dovrebbe piuttosto ricercarsi in cause d'ordine diverso, e prevalentemente attribuirsi
da un lato al clima e al terreno, e dall'altro ai meno diligenti metodi culturali,
a cominciare dalla meno buona lavorazione e preparazione del suolo, a giungere
alle più scarse apprestazioni di cure durante la vegetazione, anche in
conseguenza della scarsezza e del forte costo della mano d'opera15. Chi
ha visitato, in confronto, le plaghe bieticole dell'Europa media e occidentale,
ha dovuto constatare che già verso il Reno alla barbabietola si prodigavano
minori cure che non nella provincia sassone, e la diligenza culturale si rendeva
progressivamente meno palese verso ovest. Il che, del resto, era stato già
più volte messo in rilievo dagli stessi specialisti francesi, che non
avevano mancato di approfondire apposite indagini con inchieste sul luogo, fermate
in ampie relazioni (Cfr. E. Saillard, 1910)16.
15) Occorre rammentare che in Germania e in Austria affluivano in grande numero
lavoratori dalla Russia, al punto che speciali convenzioni erano state stipulate
tra i rispettivi paesi per regolare tale corrente di immigrazione temporanea.
16) Va notato in aggiunta che la portata delle accuse venne ulteriormente attenuta
anche da Mennesson (1919) e da Grober e Sistre (1918), col cui pensiero non
potremmo però integralmente convenire.
La cattiva germinazione del seme - Si è, inoltre, affermato e
ripetuto che i tedeschi mandavano in Francia tipi costituiti da seme ad alta
percentuale germinativa mescolato con seme vecchio ingerminabile o artificialmente
devitalizzato: in altre parole il seme per l'estero avrebbe avuto, in conseguenza
di una "sapiente" diluizione, una più bassa germinabilità
del seme conservato per l'interno. Si tratta di una forma di frode divenuta,
si può dire, consuetudinaria in tante forme di contrattazione commerciale
e che, per certi prodotti, si tenderebbe persino a fare assurgere all'altezza
di una pratica legale. Noi stessi in riguardo al seme di bietola abbiamo avuto
fra mano delle lettere e non di case tedesche soltanto, ché l'arte
della frode non conosce confini nelle quali era offerto seme vecchio
per allungare il nuovo: nella fattispecie vorremmo aggiungere che la "frode"
trova la sua istigazione nella patente irrazionalità delle clausole che
regolano la vendita del seme17, clausole che, come è notorio,
stabiliscono un minimo di germinabilità, al di sotto del quale il seme
si dichiara non commerciabile, mentre non contemplano il caso in cui un seme
abbia qualità commerciali superiori per attribuirgli un congruo sovrapprezzo.
Ma n è , d'altra parte ( ed è questo un punto fondamentale della
questione), una riduzione della percentuale di glomeruli germinabili (da 90
a 70, ad esempio) che possa portare per sé a un metodico insuccesso culturale18;
e tanto meno può lo stesso seme dichiararsi, in senso genetico, di peggiore
qualità.
Sembra frattanto, da tutto il complesso delle contingenze e dei fatti, che
si fosse di fronte a una forma di reazione, che ha portato il pensiero al di
là del reale.
17) Le clausole di Magdeburgo estendono a 14 giorni la durata del saggio di
germinazione del seme bietola con temperatura oscillante tra 20 e 30 centigradi
mentre un buon seme già alla fine del terzo o quarto giorno può
ritenersi virtualmente giudicato. Noi ci siamo sempre chiesti quale valore debba
attribuirsi, ai riguardi colturali, a dei semi che in condizioni pur così
eccezionalmente propizie e così staccantisi da quelle normalmente verificabili
in pieno campo nel periodo in cui si seminano le barbabietole, si evolvono soltanto
dopo 12-13 giorni. Con limiti così ampii come quelli consentiti dalle
vigenti norme per la determinazione del valore commerciale del seme, non è
raro che siano registrate le medesime cifre per due campioni aventi in effetti
qualità culturali molto diverse, così che le risultanze sancite
nei certificati di analisi sono del tutto incapaci di offrire un giudizio di
raffronto tra seme e seme.
18) I buoni investimenti, come è noto, si hanno in condizioni favorevoli
anche impiegando quantità di seme metà del normale; viceversa,
in condizioni sfavorevoli, anche con quantità di seme doppia del normale,
si possono avere investimenti scarsi e irregolari. D'altra parte se si fosse
trattato di una abitudine sistematica, il fatto non avrebbe mancato di richiamare,
in un lungo periodo di anni, l'attenzione degli interessati. Si può a
lungo "coltivare" una clientela con simili metodi pericolosissimi,
tanto più in vista di un'eventuale concorrenza sul libero mercato? La
storia commerciale non permetterebbe di farlo supporre.
8 - Una singolare prevenzione contro il seme russo
Quando, con la chiusura del mercato tedesco nel 1914, si impose agli Stati
Uniti la necessità di approvvigionarsi di seme bietola in Russia, si
infiltrò tra i coltivatori della confederazione Nord Americana
il dubbio che il seme russo non avesse potuto tenere testa al seme tedesco,
particolarmente per la sua capacità di rendimento in peso: dalle statistiche
risulta essere appunto notevolmente più bassa in Russia che non in Germania
la produzione di radici a parità di superficie investita.
All'assemblea dei fabbricanti di zucchero degli Stati Uniti a Los Angeles (California)
nel febbraio 1916, Truman G. Palmer, in un rapporto dal titolo "Quale è
la qualità del seme russo?", diceva: "Parecchie considerazioni
impediscono di rispondere in maniera precisa al quesito, ma non è possibile
di basarsi sul rendimento in peso, quale si ottiene in Russia, per giudicare
le qualità culturali del seme impiegato, tenuto conto dei deplorevoli
metodi di agricoltura in uso nella maggior parte della Russia, in contrapposto
agli ammirevoli metodi generalmente applicati in Germania".
In effetti le ulteriori constatazioni hanno dimostrata del tutto infondata
la prevenzione. Basti, del resto, pensare non solo alla concorrenza che da parte
del seme russo veniva da parecchio tempo, come già dicemmo, allo stesso
seme tedesco accaparravano molto seme in Russia e lo smerciavano poi come proprio.
Il seme russo, specialmente quello prodotto nelle plaghe del sud ovest,
si è sempre dimostrato un eccellente seme; e se le condizioni di trasporto
non fossero state rese estremamente difficili e penose nel 1917 e 1918, molti
insuccessi culturali non si sarebbero certamente, con quel seme, neppure da
noi registrati.
9- La elevata facoltà germinativa e l'alta vigoria del seme italiano
Se ne è giustamente parlato come di un pregio particolarissimo. L'avere
un seme prontamente germinabile e capace di dare una pianta vigorosa all'inizio
della sua prima età, costituisce una prerogativa sulla quale sarebbe
inutile d'insistere. Ma non occorre innalzare l'attributo sino a farne uno dei
più peculiari e specifici titoli di merito del seme nostrale.
L'alta energia germinativa del seme italiano costituisce, come è intuitivo,
un conseguente unico e solo delle favorevolissime condizioni sotto cui, nel
paese nostro, procede la maturanza del seme; non, frattanto, merito d'uomo,
ma esclusiva virtù di sole.
Or dunque: se l'attributo è importantissimo dal punto di vista commerciale
e tecnico culturale, non offre, né può offrire, alcun elemento
di base quando si riferisca al valore genetico del tipo: bisogna non perdere
di vista che il seme non è "un fattore secondario e accessorio;
non un fine, ma un mezzo"; né altra funzione può esso avere
se non quella di costituire un veicolo, onde i suoi attributi non possono rivelarsi
se non attraverso il materiale che da esso si origina.
Può oggi affermarsi, con l'appoggio di una prolungata osservazione,
che il seme italiano dia un raccolto che, se non superi, almeno eguali, per
qualità culturali e industriali, quello nelle stesse condizioni ottenibile
col seme prodotto nella media Europea? Il punto fondamentale è qui.
LO STUDIO DELLE VARIABILITÀ CORRELATIVE
Lo studio delle correlazioni o variabilità correlative si impone ad
ogni selezionatore per l'esame di quei rapporti diretti e indiretti che intercedono,
o si può presumere intercorrano, tra caratteri esteriori e gli interni
attributi dei soggetti, presi questi singolarmente o in blocco.
La bibliografia dell'argomento è ricchissima o varata. Noi rimanderemo,
per i concetti cardinali, ai lavori speciali, limitandoci qui a segnalare soltanto
le comunicazioni di più peculiare importanza.
E' ovvio come la opportunità di una serie di accurati e metodici rilievi
si affacciasse a noi pure. Ma poiché abbiamo dovuto presto convincerci
che uno studio biometrico completo, in verità ancora da compiersi, dovrebbe
assorbire lungamente l'attività di uno sperimentatore e quella di un
laboratorio, noi, che pur ci eravamo accinti al lavoro di buon proposito (cfr.
nostri contributi del 1913 e segg.), ci arrestammo con l'intendimento di rimandarne
la prosecuzione ad altri tempi. Insistendovi, avremmo perduto di mira il compito
precipuo che ci era stato segnato, mentre considerammo che conveniva intanto
procedere in senso inverso: prima possibilmente separare o isolare e seguire
progenie ricche e progenie povere; quindi studiarne i caratteri esteriori per
stabilirne le correlazioni eventuali.
1-Correlazioni per aspetto e portamento del fogliame
Alle memorie di Geschwind Sellier (1902) e di E. Proskowetz (in Fruwirth,
1910) vanno aggiunti alcuni ulteriori importanti contributi. L. Malpeaux (1913)
non trova una stretta correlazione tra portamento del fogliame e tenore in zucchero;
ma è logico di presumere, secondo l'A., che "le bietole a foglie
procombenti, che ricevono le radiazioni solari meno obliquamente di quelle erette,
abbiano una più elevata facoltà di accumulare zucchero nella loro
radice". F. J. Pritchard (1916) ammette che le foglie con tendenza a procombere,
e aventi picciuoli a profonda scanalatura e lembi lisci e sottili, siano in
realtà più ricche di quelle aventi caratteri opposti; però
le correlazioni sono minime, così da lasciare dubbio sul loro pratico
significato. Secondo J. Urban (1918), le progenie con fogliame verde più
o meno carico sono più produttive e più ricche di zucchero che
non quelle con fogliame pallido.
Da noi nella descrizione furono prevalentemente considerati: il portamento
generale della pianta (a fogliame eretto, o procombente, o intermedio; a fogliame
scarso o abbondante o intermedio; a corona [rosetta] di foglie regolare o asimmetrica);
il numero degli elementi della corona; la lunghezza e il peso rispettivo dei
picciuoli e dei lembi; l'area dei lembi: l'ispessimento dei picciuoli e dei
lembi (consistenza carnosa, coriacea, ecc.); la colorazione dei lembi (pallida,
verde - limoncino, verde intenso, verde plumbeo, ecc.) con superficie lucente
o matta; la forma dei lembi (raccorciati o allungati, appuntiti o rotondeggianti,
lisci od ondulati, bollosi, ricciuti, a bordi lisci o increspati); ecc.
Or quando si passi ad una analisi minuziosa di caratteri, i tipi che si presentano
sono così numerosi1, pur astraendo dalle forme intermedie
e dalle forme devianti, che l'orientarsi diviene oltre ogni credere arduo, e
imprudentissimo il concludere. Noi abbiamo voluto anche procedere a prove di
determinazione della superficie con i consueti metodi (offerenti sempre molta
approssimazione, in ispecie per i lembi bollosi e ricciuti), ed a saggi per
la comparazione della struttura anatomica dei picciuoli e lembi, ecc., ma con
risultanze costantemente incerte e contraddittorie. Va aggiunto che varii degli
elementi in causa non sono rigorosamente definiti o definibili per essere
1) Nelle tavole I-IV sono riprodotti i tipi più comuni e meno comuni
di lembi. la collezione può facilmente ricomporsi in qualunque campo
di ordinarie bietole da fabbrica. In ogni tipo più caratteristico vi
sono sfumature per intensità di colorazione, lucentezza, ispessimento
dei tessuti, numero degli elementi costituenti la corona o rosetta, portamento
generale e fisionomia del complesso della parte aerea. da notarsi, per incidenza,
che analoghe variazioni di tipi è facilissimo riscontrare anche nella
forma spontanea della bietola (la forma che vive lungo la costa occidentale
dell'Adriatico venne da noi prevalentemente esaminata).
Né basta: quand'anche si giunga a raggruppare, categoria per categoria,
un buon numero di soggetti, interviene caso per caso l'individualità
della parte ipogea: onde, a parità di più appariscenti e più
inquadrabili caratteri della parte aerea propriamente detta, si possono trovare
soggetti con testa sporgente od entro terra, di peso diverso, allungate o raccorciate,
piene o fusiformi, ecc.
Osservisi, infine, che la fisionomia del fogliame è ben lungi dall'offrire
una certa stabilità, come è già stato osservato da vari
sperimentatori, anche in passato (Kneifel, 1895: al Kneifel si deve uno degli
studi indubbiamente più documentati sul tema); e tanto più il
fenomeno si manifesta nel paese nostro dove sono così mutevoli le condizioni
esteriori, particolarmente per il fattore umidità: una pioggia pesante,
che succeda a un prolungato periodo di secco, può così modificare
i caratteri di un soggetto, da non poter questo più riconoscersi un mese
dopo. Anche un forte ritardo nel diradamento abbiamo osservato essere capace
di modificare l'abito del fogliame. E persino possono esservi in una stessa
bietola simultaneamente tipi diversi di lembi, da farli ritenere, se presentati
staccati a un osservatore, come appartenenti a soggetti di due progenie diverse.(Cfr.
tavola V)2
2) Ci troviamo qui manifestamente in presenza di un caso di disgiunzione vegetativa,
quale si ha, nella stessa bietola, nei soggetti albomaculati, ecc.
2- Il fogliame nel suo complesso quantitativo
I limiti dei rapporti tra quantità di fogliame e facoltà saccarigenica
sono stati, più ancora che i rapporti tra questa e i caratteri fisionomici
propriamente detti, oggetto di indagini sino dai primissimi tempi in cui la
barbabietola nelle vecchie plaghe di coltura stimolava gli sperimentatori alla
ricerca di tipi sempre più rispondenti alle finalità industriali.
Una strettissima correlazione positiva si è appunto universalmente intravista
ed ammessa, nelle condizioni dell'Europa media e occidentale, tra quantità
in peso di foglie di una bietola e il suo tenore in zucchero. (Cfr. fra gli
altri lavori, Plahn - Appiani, 1914). I dati più completi e globali al
riguardo sono quelli pubblicati recentemente da W. Bartos (1918) riferitisi
alla Boemia. Nelle cifre, che riportiamo, sono compendiate le medie di quinquennio
in quinquennio dei rilievi compiuti in quel paese dal 1987 al 1916:
A parte la constatazione incidentale che la percentuale in zucchero andò
nel ventennio aumentando mentre contemporaneamente si accresceva il peso delle
radici, la più stretta correlazione appare tra abbondanza di fogliame
(e rapporto peso foglie peso radice) e ricchezza in zucchero. Sono dati
che nel loro insieme e per la parte storica presentano certo il più alto
interesse. Sennonché, sol che si voglia dalle grandi medie scendere a
considerare il fogliame corriferito ai singoli soggetti, e riportarsi, in più,
alle condizioni della bieticoltura del nostro centro di osservazioni, il carattere
del peso delle foglie non offre, astrazione fatta naturalmente dai dati estremi,
una chiave sicura al selezionatore.
Avanti tutto e in via generica, perché la correlazione avesse un valore
effettivo, occorrerebbe che, a parità di peso della radice, fossero più
ricche le bietole più abbondantemente provvedute di apparato aereo. Ma
anche qui, perché il peso offrisse un esatto e razionale criterio di
comparazione, bisognerebbe che le foglie presentassero una certa uniformità
in ogni individuo: viceversa il fogliame, sia per la consistenza, sia per la
forma, sia per il colore, sia per la tendenza a procombere o ad essere eretto,
varia, come abbiamo già veduto, fortemente da individuo a individuo;
occorrerebbe frattanto compiere, fra l'altro, dei rilievi sull'area dei lembi
per un determinato peso, e dare inoltre la voluta importanza a tutti a alla
maggior parte di quegli elementi (struttura anatomica, diverso contegno di fronte
alla perdita d'acqua per traspirazione, ecc.) che possono presumibilmente influire
sul decorso del processo saccarigenico. Uno stesso peso può essere dato
poi o da un abbondante numero di foglie a sviluppo ridotto, oppure da un piccolo
numero di foglie più o meno molto espanse.
Noi abbiamo perciò cercato di procedere, per semplificare, alla divisione
in categorie di un grande numero di soggetti presentanti analogie di fogliame;
poi, categoria per categoria, a raggruppare le bietole aventi approssimativamente
lo stesso peso della radice (oscillazione massima tollerata: il cinque per cento
del peso), e fra queste, infine, gli individui offerenti analogia di forma delle
radici: la percentuale zuccherina offerta dalle radici veniva posta in correlazione
con la quantità in peso delle rispettive foglie. Tale studio era anche
destinato a stabilire eventuali correlazioni tra forma della radice e sua percentuale
in zucchero, come vedremo tra poco. Ora, le migliaia di determinazioni, complessivamente
compiute in annate diverse, non ci hanno consentito di giungere ad alcuna deduzione
precisa.
Deve aggiungersi, a maggiore dimostrazione della difficoltà di un lavoro
del genere nell'ambiente nostro, che Debitamente considerati ogni fatto e ogni elemento, ci troviamo frattanto di
fronte a uno di quei quesiti per i quali una risposta, che scaturisca da osservazioni
sperimentali, si presenta, almeno nella plaga italiana più intensamente
bieticola, non solo ardua, ma forse impossibile. Certo tra due soggetti, uno
a scarso fogliame, e un altro a fogliame abbondante ( sono i casi estremi cui
ci riferivamo dianzi), il dubbio non può sussistere; ma le stesse piante
presentano anche normalmente un peso proporzionalmente diverso nelle rispettive
radici. Riportate poi alle condizioni di suolo, le barbabietole più abbondantemente
provvedute di fogliame sono quelle vegetanti in terreni molto ricchi per fertilità
naturale o indotta, tanto più se ( come spesso i due fatti coincidono)
le stesse piante sono anche rade nel campo; ma qui l'esagerato sviluppo della
parte aerea interdice un accumulo in altezza percentuale3, quale
è, nella fattispecie, considerato.
3) Il fatto è noto ai nostri fabbricanti di zucchero, ma non di rado
hanno compiuto rilievi nello stesso senso agronomi e chimici della media Europa,
e specialmente della Francia.
Vero è che si possono trovare dei soggetti o delle intere progenie a
grande sviluppo e vigoria di fogliame anche in terreni normali; ma spesso accade
che l'eccessivo della parte aerea proceda in contrasto con quello della radice4,
oppure si tratta di soggetti o gruppi di soggetti che, nella plaga considerata,
sono ancora "immaturi" nel momento della loro utilizzazione in fabbrica
(agosto settembre). Non sempre dunque l'assimilazione (e conseguente
accumulo di riserva nel tessuto radicale) è in correlazione con l'abbondanza
del fogliame e la sua superficie totale; non è dunque sempre vero che
le bietole le più provviste di foglie siano nello stesso tempo anche
le più ricche.
4) Tra i tipi ortensi è conosciuto quello da costa o cardonetto, che,
di fronte appunto a una radice sottile e di scarso sviluppo, presenta un fogliame
abbondantissimo e sviluppatissimo
3- La tendenza delle bietole a sporgere da terra
E' opportuno anzitutto di rettificare un'opinione corrente: che la presenza,
su un appezzamento, di bietole sporgenti significhi cattiva lavorazione o scarsa
profondità raggiunta con l'aratura. L'osservazione diretta non permette
di accertare alcun rapporto tra profondità di lavoro e tendenza della
barbabietola a sporgere dal suolo5.
5) Basti tra l'altro considerare che le bietole foraggere e semizuccherine
tendono a sporgere in modo più o meno cospicuo, anche se il terreno sia
stato smosso con lavoro profondissimo.
Una maggiore percentuale di soggetti sporgenti a parità di tipo
di seme impiegato si constata invece sempre in terre naturalmente molto
fertili o copiosamente concimate con materiali organici, e soprattutto nelle
medesime terre quando l'investimento sia scarso e poco regolare e allorché
si proceda a una raccolta tardiva. A parità di condizioni poi, vi sono
soggetti che presentano più di altri una spiccata tendenza a uscire di
terra: si tratta di tendenza individuale, che si appalesa bene spesso ereditaria.
Per la storia è da ricordarsi che nei primitivi contratti di cultura
in vigore nell'Europa centrale era prescritto per la toilette della merce
da portare in fabbrica, non solo che le barbabietole fossero "scollettate"
in modo da far scomparire col taglio ogni traccia di rugosità (in corrispondenza
alla inserzione delle vecchie foglie, cioè la parte costituente la testa
propriamente detta) ma da asportare ancora ogni traccia di verde, con la quale
clausola veniva sacrificata tutta la zona fuori terra delle radici, o sporgenti
o scalzate da violente pioggie. Ad evitare inverdimenti, e quindi eccesso di
materia sottoponibile a tara, si consigliava, nelle istruzioni delle stesse
fabbriche di zucchero, di procedere ad accurate rincalzature. La parte inverdita
era infatti considerata dagli industriali molto più povera di zucchero
e per contrario più ricca di sali e di sostanze organiche, le quali causano
in realtà inconvenienti non lievi durante la fabbricazione. I contratti
italiani stessi, secondo la falsariga di quelli in vigore nelle vecchie plaghe
bieticole, riproducevano la prescrizione. Sennonché a un dato momento,
che non avremmo la possibilità stabilire, la clausola scomparve dai contratti
della media Europa; e anche nei contratti italiani si addivenne, in seguito,
alla abrogazione del comma.
Ma un punto di valore fondamentale era egualmente opportuno di chiarire: è
l'inverdimento in sé, a seguito della esposizione alla luce di una parte
delle bietole, che determina l'immagazzinarsi di dannose impurità nel
tessuto? oppure la polpa, formante il campione medio di più bietole a
zona corticale inverdita, risulta più povera in zucchero e meno pura
perché in tutto o in parte costituita da bietole più o meno sporgenti
e individualmente di meno buona qualità industriale, tanto nella parte
sporgente, quanto in quella entro terra? Una volta estratte le bietole dal suolo,
più non si fa invero distinzione tra i soggetti a zona verde dovuta alla
sporgenza e i soggetti inverditi perché scalzati dalla pioggia. Nel triennio
1912-1914 compivamo frattanto una serie di rilievi con determinazioni individuali
o con determinazioni in massa sulla composizione:
a) di bietole sporgenti, e non sporgenti, vegetanti nello stesso terreno, ma
separatamente, sia della polpa corrispondente alla zona inverdita (fuori terra)
e della zona non inverdita (entro terra dei soggetti sporgenti, sia di zone
similari (immediatamente sotto la testa e qualche centimetro più sotto)
dei soggetti completamente entro terra;
b) di bietole con tendenza a rimanere entro terra, ma espressamente scalzate
in tutto o in parte, quaranta cinquanta giorni prima dell'escavo;
c) di bietole con tendenza alla sporgenza, ma espressamente rincalzate in tutto
o in parte.
Nel caso della prova di cui in b, abbiamo voluto anche esagerare le
condizioni sino al paradosso, con scalzatura a venti centimetri, sia asportando
tutta la terra, sia togliendo la terra da una parte soltanto sulla verticale,
in modo da aversi soggetti con radici per metà inverdite, e l'altra metà
(quella riparata dal terreno) bianca; ed egualmente la rincalzatura determinazioni
erano dal nostro chimico dott. Mezzadroli compiute non solo sul saccarosio delle
bietole sporgenti era praticata tutt'attorno, oppure soltanto da un lato. Le
della polpa e del sugo e sulla densità del sugo, ma ancora sulla sostanza
secca , sulle ceneri, e sul cosiddetto azoto nocivo.
Le difficoltà insorte nel 1915 ci fecero sospendere la prosecuzione
dei saggi di cui ci riserbiamo, collo stesso dott. Mezzadroli, di rendere conto
a suo tempo. Ma già sino dal 1913 avevamo potuto accertare che, all'infuori
di un sottile strato corrispondente alla parte "corticale", nessuna
sostanziale differenza risultava tra la composizione della zona inverdita e
la zona sottostante non inverdita di una stessa barbabietola, mentre, nel confronto
tra soggetti sporgenti e soggetti non sporgenti, i primi sono, a parità
d'altre condizioni, generalmente meno ricchi, per quanto non sia raro di trovare
tra le bietole sporgenti individui più ricchi di quelli non sporgenti
dello stesso peso: intendiamo qui sempre riferirci naturalmente a soggetti del
tipo zuccherino, perché le bietole di tipo semizuccherino (a colletto
verde, o grigio, o rosa, e a polpa bianca), generalmente più o meno molto
sporgenti, sono costantemente molto meno ricche e molto meno pure.
Risalendo frattanto alla ragione della clausola sopra accennata6
se ne vede la incongruenza manifesta: si sarebbero senz'altro dovute escludere
dalle consegne le bietole inverdite, in quanto o l'imposizione dell'asportazione
della zona inverdita da un lato, oppure il suggerimento di rincalzare le barbabietole
sporgenti per farne scomparire il verde dall'altro, non giungono a far conseguire
se non in minima parte lo scopo, motivato da necessità industriali.
6) Da noi personalmente interrogati, in occasione di un nostro viaggio, alcuni
selezionatori e fabbricanti di zucchero dell'Europa centrale non ci dettero
al riguardo risposte sicure, ma i più propendevano ad ammettere che la
disposizione contrattuale doveva avere trovata la sua ragione in un movente
del tutto subordinato. siccome era lasciata ai coltivatori libertà nella
scelta del seme e vi era tra questi l'inclinazione a investire il terreno con
razze semizuccherine perché più produttive, ma che hanno appunto
la tendenza a uscire più o meno fuori terra, così con la clausola
anzidetta i fabbricanti giungevano a cautelare indirettamente sé stessi,
ad evitare cioè che i coltivatori persistessero nel sistema.
Col successivo perfezionarsi dei metodi di miglioramento dei tipi, e più
ancora con l'adozione del principio per il quale il fabbricante di zucchero
si riserbava il diritto della fornitura del seme, cadevano la portata e la forza
della clausola. P. Guex, da noi successivamente pregato di condurre per suo
conto una inchiesta, ebbe, tanto dalla Germania quanto dalla Boemia, risposte
che concordavano con le notizie raccolte da noi.
4-La lunghezza del fittone e altri caratteri esteriori della radice.
Lunghezza del fittone.- Merita di essere rievocata la polemica tra H.
Briem e Fr. Blonski risalente al 1893 1895.Sostenne ripetutamente il
Blonski che, fra più bietole dello stesso diametro in testa, le più
lunghe sono le più ricche; lo stesso sperimentatore propose anzi un arnese
per le volute misurazioni. Viceversa il Briem negò sempre ogni valore
alle argomentazioni del Blonski, basando il suo giudizio su proprie determinazioni,
dichiarando il rapporto tra ricchezza della radice e sua lunghezza assolutamente
senza regola e causale. J.Plot (1898) trova che le bietole di forma raccorciata
e tozza sono più povere. Non ci consta che la questione si stata deliberatamente
ripresa, in seguito, da altri ricercatori, così che non è possibile
di registrare ulteriori lavori sul tema sino al 1911, anno in cui appare un
contributo di E.Meyer, il quale propugna un metodo di selezione destinato a
ottenere bietole raccorciate e sporgenti, naturalmente ricche di zucchero come
quelle allungate, ma a facile estirpamento, e con poca terra aderente nei periodi
di pioggia. Il Briem però, in parte modificando le sue primitive vedute
, non crede che l'ottenere una bietola ideale, come quella vagheggiata dal Meyer,
sia cosa possibile: tendenza a sporgere da terra e forma raccorciata da un lato,
e alta ricchezza dall'altro, sono termini assolutamente inconciliabili.
Secondo C. Severin (1913), il generale convincimento che le bietole di forma
allungata e di più difficile estirpamento siano più ricche di
quelle tozze e facilmente estirpabili non troverebbe conferma nelle cifre derivanti
dalle sue indagini. Il Severin non solo insiste poi nel concetto che le bietole
più raccorciate sono di molto più facile estirpamento rispetto
a quelle più o meno allungate e fortemente aderenti al terreno (il che
l'A. ha dimostrato con prove dinamometriche), ma richiama ancora l'attenzione
dei bieticultori e dei fabbricanti di zucchero sul fatto che durante l'estirpamento
si perdono sino a 15-20 quintali per ettaro del peso totale delle radici, che
restano parzialmente sotterra in conseguenza dello stroncamento del fittone.
I nostri rilievi, condotti in parte con la procedura già sommariamente
descritta, e in parte considerando le bietole a sé (indipendentemente
cioè dal peso rispettivamente assunto dalle radici e dai caratteri delle
foglie, e anche in tal caso portati su diverse centinaia di soggetti), non ci
permettono di pronunciarci ancora in modo reciso, per quanto i nostri dati,
presi nell'insieme, ci farebbero propendere più verso il giudizio di
Blonski e Plot che non verso il Meyer e Severin. Anche dalle nostre osservazioni
risulterebbe appunto che le bietole più allungate, con testa entro terra
e di difficile estirpamento, sono in maggioranza più ricche: però
bietole egualmente ricche si trovano pure fra quelle di tipo raccorciato e di
facile estirpamento. Aggiungasi che non sempre le bietole sporgenti sono anche
insieme raccorciate e quindi di facile estirpamento: noi abbiamo discendenze
con radici molto allungate e sporgenti insieme, malgrado che codesta coincidenza
di carattere abbia quasi dell'inverosimile. Non vi è peraltro chi non
convenga sulle ragioni di portata soverchiante che impongono la necessità,
oggi sentita più che mai, di orientare il lavoro di selezione verso un
tipo non eccessivamente allungato. Ripetiamo "oggi più che mai",
in quanto la deprecata abitudine, che si va generalizzando nella bassa valle
Padana, di rimuovere le bietole dal suolo con estrattori a strappamento, porta
ad aggravare le entità della perdita di prodotto quando la terra sia
indurita, come si verificò soprattutto fra noi nelle estati secche del
1916 e 1917.
"Radicosità" 7 delle bietole Anche
la radicosità, così come la tendenza a sporgere da terra, è
da molti attribuita a scarsa profondità di lavoro del suolo: una barbabietola,
trovandosi a un dato momento a contatto con terreno sodo e non potendo perforarlo,
reagirebbe suddividendo la radice primaria in numerose radichette laterali,
e, alla raccolta, si presenterebbe, oltre che sporgente, forcuta. Anche di questo
tema, sul quale abbiamo portato egualmente il nostro esame, ci occuperemo in
apposita memoria: qui osserveremo che, a parte altre cause [quali il modo d'interramento
di materiali organici indecomposti, la soverchia umidità del suolo (Townsend,
1914)ecc.], sono, più che la profondità
7) Difficile è trovare un termine italiano che risponda a quello di
Beinigkeit. Le bietole, che i francesi chiamano racineuses, sono
dette da alcuni nostri trattatisti forcute.
Ora, mentre tutti sono d'accordo nell'ammettere gli inconvenienti offerti
dalle bietole radicose per il loro difficile estirpamento, per la maggiore quantità
di terra che portano con sé, per la maggiore difficoltà di lavaggio
in fabbrica, ecc. , le idee sono invece divise quanto alla loro ricchezza in
zucchero. E. Saillard (1912 e 1917) le avrebbe costantemente trovate meno ricche
delle bietole regolari del medesimo peso aventi pur vegetato nelle medesime
condizioni; noi, per contrario, trovammo in decisa maggioranza i soggetti forcuti
di più alta ricchezza, spesso, anzi, notevolmente più ricchi rispetto
a quelli normali.
La radicosità delle bietole è, comunque, nella grandissima parte
dei casi un carattere meramente occasionale o d'ambiente, cioè un carattere
assolutamente non ereditario; ma la eliminazione delle medesime nei lavori di
scelta per riproduzioni, che non abbiano finalità speciali o di studio,
va considerata sempre opportuna per troppo evidenti ragioni di natura tecnico
culturale e tecnico industriale.
Correlazioni tra determinati caratteri esteriori delle radici e ricchezza.-
Si ammette di solito che le bietole con solchi profondi siano più ricche
di quelle a solchi poco profondi. F.J.Pritchard (1916) conferma l'assunto di
investigatori precedenti, dichiarando di avere egli stesso trovato una correlazione
positiva tra profondità dei solchi e tenore in zucchero; in passato era
anche di moda ricercare bietole a solchi a spira (Cfr.L.Plot,1898). E' talmente
radicato nel mondo dei selezionatori e dei fabbricanti di zucchero il convincimento
che la ricchezza delle radici si possa desumere da certi caratteri esteriori,
che in uno dei più autorevoli periodici di zuccherificio si poteva leggere
(1913): "Conoscendo il campionatore il suo mestiere, egli distingue mirabilmente
le radici ricche e povere. Il volume, la consistenza, la fragilità, ecc.,
sono per lui indici sicuri" (Sucrerie Belge, n.6 pag. 126).
Noi ci sentiremmo difficilmente in grado di formulare un giudizio, all'infuori
di casi specialissimi.
5-Peso delle radici e tenore in zucchero
La correlazione tra peso della radice e ricchezza percentuale delle bietole,
come quella che maggiormente e più da vicino interessa coltivatori e
fabbricanti di zucchero ed ha, nei rapporti loro, costituito un permanente motivo
di dissidio, meriterebbe ben più ampia trattazione di quella forzatamente
imposta a questo nostro lavoro: è, infatti, generale e radicato nel pensiero
dei pratici che peso della barbabietola e rispettiva ricchezza costituiscano
due termini antinomici, e che frattanto prodotto in peso ricavabile per unità
di superficie e resa percentuale in zucchero in fabbrica procedano egualmente
in senso inverso.
Innanzi tutto occorre precisare che le due condizioni di fatto non vanno prese
necessariamente l'una in dipendenza dell'altra: basti invero considerare che
uno stesso prodotto globale in peso per unità di superficie può
aversi, in una medesima annata, tanto con bietole prevalentemente piccole, quanto
con bietole prevalentemente grosse, solo che si abbia nel primo caso un più
regolare investimento del terreno. Riportandoci poi ad annate diverse, è
ugualmente notorio che si accertano in alcuni anni alte produzioni unitarie
e materiale di buona resa in fabbrica, mentre in altre annate si lamentano insieme
scarsi raccolti e bassi titoli.
La questione del rapporto tra peso e ricchezza in bietole singolarmente considerate
deve quindi trattarsi assolutamente a sé; e, al riguardo, tra le comunicazioni
apparse dopo il 1910 alcune meritano d'essere principalmente citate.
K. Andrlìk e col. (1912) negano che vi sia un rapporto inverso tra
ricchezza in zucchero e peso della radice, eccetto casi estremi; le conclusioni
di Andrlìk e coll. venivano confermate da cifre successivamente offerte
da K. Novotny (1912). W. Oetken (1915- 1916), che ha recato uno dei più
forti e documentati contributi, conclude affermando che peso della radice e
contenuto in zucchero variano in generale indipendentemente, e che tenore zuccherino
e peso della radice possono aumentare di conserva (cfr. anche cifre di W. Bartos
relative alla Boemia). F.S. Harris e J.C. Hogenson (1916) affermano che, per
quanto non manchino le eccezioni, le piccole bietole tendono ad avere una più
alta percentuale di zucchero che non le grosse radici. F.J. Pritchard (1916)
perviene ad analoga conclusione, così argomentando per spiegare la minore
ricchezza delle bietole di grande peso:" siccome lo zucchero si immagazzina
soprattutto (ed è fatto accertato da lunga data) nelle zone concentriche
occupate dai fasci fibrovascolari, a paragone di quello che si localizza nelle
zone concentricamente alterne parenchimatose, e dato che pressappoco lo stesso
numero di zone alterne si trova tanto in bietole piccole quando in bietole grosse,
ne consegue che le bietole piccole hanno una quantità proporzionalmente
più ridotta di tessuto parenchimatoso, donde il loro più alto
contenuto in zucchero"8. Rileviamo subito che la maggioranza
degli studiosi, che affrontarono l'argomento, hanno sempre considerato i rapporti
tra peso e ricchezza in materiale derivato da un medesimo appezzamento, con
bietole che vegetarono nelle stesse condizioni: per queste bietole sta positivamente
che, nella maggior parte dei casi, peso e ricchezza della radice procedono in
senso inverso, per quanto non manchino numerose le eccezioni. Ma le condizioni
di fatto cambiano sostanzialmente allorché si raffronti materiale prelevato
in appezzamenti diversi; e i rapporti si scostano così, che non di rado
le bietole più piccole di un dato terreno palesano una ricchezza in zucchero
che equivale quella delle bietole più grosse di altri terreni. Quando
frattanto si considerino bietole alla rinfusa di provenienza diversa (ad esempio
in cumuli in fabbrica o nei depositi di carico), manca in generale, tranne che
nei casi estremi, ogni costanza di correlazione.
8) J.A.Harris esprime analogo avviso (1917)
Noi abbiamo poi anche potuto accertare che nella bassa Valle Padana, se si
presenta di regola un rapporto inverso tra peso e ricchezza nei casi in cui
le determinazioni si compiano in estate, è invece assai facile di trovare
sul medesimo terreno bietole del più alto peso aventi anche il più
alto titolo, e viceversa se le determinazioni si compiono in autunno avanzato:
la quale constatazione costituisce una ragione in più a dimostrare come
una analisi del materiale praticata nel tardo autunno possa portare un selezionatore
fuori della retta strada e ingenerare falsi apprezzamenti circa il valore dei
soggetti che egli presceglie.
Aggiungasi, per ultimo, che vi sono delle progenie nelle quali le variazioni
in zucchero tra bietole e bietole sono assolutamente minime malgrado cospicue
differenze di peso e che in altri casi sono le bietole più piccole che
accusano i più bassi titoli. Si tratta, come si vede, di rilievi i quali
non consentirebbero di accogliere in ogni caso la spiegazione offerta dal Pritchard,
alla quale accennavamo più sopra.
6-Bietole "gemelle"
Una delle correlazioni, che più ci apparve degna di nota, riguarda la
sorprendente uniformità di tipo di alcuni fra i soggetti appartenenti
a stessa progenie: si può dire che certe bietole siano state formate
con lo stesso stampo, tanto è la loro somiglianza anche in piccoli e
secondari particolari. Orbene: anche la ricchezza loro si corrisponde pure frequentissimamente.
Spesso poi la gemellarità è anche nettamente manifesta fra due
soggetti di peso diverso.
Partendo da questi soggetti e mettendoli a fruttificare in coppia, è
possibile di giungere a una più facile e più rapida separazione
od epurazione dei tipi, cioè a fissare qualche attributo sul quale e
attorno al quale è soprattutto e sostanzialmente incardinato il nostro
lavoro, e sulla cui importanza l'insistere sarebbe superfluo.
7-Correlazioni di carattere subordinato
Struttura anatomica della radice e contenuto in zucchero.- Si è
molto esagerato circa la portata della funzione del microscopio e dei servigi
che questo potrebbe rendere nella tecnica della selezione delle bietole. I più
serii studiosi, coi quali noi abbiamo avuto l'opportunità di parlare
sull'argomento, si sono trovati concordi nel dichiarare che il polarimetro e
il refrattometro offrono un mezzo di diagnosi incomparabilmente più preciso
e sicuro. Noi ne avemmo, con i nostri saggi, piena conferma. Con un esame della
struttura anatomica dei tessuti è possibile di stabilire sia da ascriversi
a un tipo povero o a un tipo ricco, con approssimazione di gradi; col polarimetro
si arriva all'approssimazione del decimo o dei due decimi di grado; né
il tempo richiesto per una determinazione polarimetrica supera quello necessario
per un esame microscopico.
Ad ogni modo va considerata a parte la questione se la compattezza del tessuto
radicale, in conseguenza della più serrata struttura, sia legata a un
carattere ereditario.
Legnosità del tessuto radicale e tendenza alla annualità.-
L'affermazione, secondo la quale le bietole legnose danno discendenti che più
facilmente montano a seme il primo anno rispetto alle non legnose, non risulta
confermata dalle nostre osservazioni. D'altra parte se detta correlazione esistesse,
una maggiore o minore legnosità dovrebbero presentarla tutte le annuali:
viceversa, mentre fra le annuali predominano effettivamente i soggetti legnosi,
si riscontrano in non piccolo numero anche soggetti che in nulla e per nulla
si differenziano dalle bietole normali a carattere biennale. Naturalmente si
deve fare astrazione dal criterio industriale, in quanto una bietola legnosa
rappresenta, senza eccezione e senza discussione, una cattiva materia prima,
che il selezionatore deve accuratamente eliminare.
Correlazioni diverse.- L'affermazione del Laskowsky, ed altri, secondo
i quali il tenore in zucchero delle radici sarebbe in correlazione positiva
col contenuto in sostanze grasse dei semi, è smentita da precise ricerche
di F. Strohmer e coll. (1894). E nessun rapporto venne trovato sussistere tra
elementi delle ceneri e ricchezza zuccherina; o almeno lo studio dei detti rapporti
non può avere, in massima, se non un valore postumo o di controllo a
consuntivo.
Noi abbiamo voluto determinare se una correlazione potesse stabilirsi tra
peso e ricchezza in zucchero delle radici da un lato e spazio a disposizione
delle singole piante nel campo dall'altro, ma senza che una guida sicura per
la pratica ne potesse derivare (1913).
8-Correlazioni nelle bietole porta seme
Ricchezza zuccherina delle madri e rispettiva produttività in seme.-
Il rapporto inverso, registrato da V. Bartos (1909), non venne confermato dagli
investigatori che successivamente si occuparono del problema. Gli studiosi,
che hanno portato ulteriori e più larghi contributi sperimentali sul
tema, sono F.J. Pritchard (1916) e F.S.Harris e J.G. Hogenson (1916), i quali
concludono di non aver trovato alcun mutuo rapporto tra peso della radice, percento
di zucchero, zucchero totale, e produzione in peso di seme. Neppur noi abbiamo
potuto, portando le nostre osservazioni su diverse centinaia di soggetti posti
a fruttificare sia isolatamente sia in massa, avvalorare il supposto del Bartos.
Inclineremmo piuttosto a sospettare una tendenza ereditaria di stipiti, ma ci
mancano ancora elementi precisi.
Soffermandoci tuttavia al concetto avanzato dal Bartos, il quesito è
molto più complesso, almeno per la nostra plaga, di quanto non possa
a primo aspetto apparire dalla semplice enunciazione dell'A. Il tempo in cui
fu eseguita l'analisi delle bietole ha una portata di prim'ordine. Da noi la
bietola ha la sua massima percentuale in saccarosio in estate; poi la percentuale
declina, mentre si accresce la quantità di zucchero totale: come stabilire
confronti? Bisognerebbe, a parità di tempo di semina e a parità
di peso, scegliere da una parte bietole diversamente ricche in estate, e dall'altra
bietole diversamente ricche d'autunno, e procedere a prove di fruttificazione
in massa; ma anche
Produttività in seme e rigoglio vegetativo.- Le bietole, le cui
energie sono state prevalentemente spese nel produrre e maturare semi, scrive
H.B. Shaw (1917) portano normalmente una moderata quantità di fogliame.
Le numerose osservazioni compiute in Italia dai nostri produttori di seme ne
recano piena conferma: ad esempio i planchons, cui in primavera non si
fa subire il trapianto, presentano un superbo rigoglio vegetativo, ma il loro
prodotto in peso è, a bilancio culturale, nella massima parte dei casi
molto ridotto. Noi non abbiamo alcun dato personale desunto da indagini espressamente
istituite.
Tendenza delle madri a mantenersi infruttifere il secondo anno, e assestamento
verso l'equilibrio biennale.- La tendenza delle bietole a mantenersi infruttifere
il secondo anno è un fenomeno notissimo e ripetutamente segnalato e tra
l'altro anche in Italia (V. Peglion, 1910). Abbiamo noi pure fatto oggetto di
studio la tendenza in parola, che in certe annate è apparsa in una cospicua
percentuale dei soggetti trapiantati. Mentre ci riserbiamo di riportare a suo
tempo i risultati delle nostre osservazioni, qui ci limiteremo a fermarci su
una correlazione che avrebbe dichiarato sussistere W. Rimpau: le bietole, tendenti
a non dare scapi fruttiferi il secondo anno, ricollocate in terra il terzo anno
produrrebbero un seme nelle cui discendenza si manifesterebbe più assestato
l'equilibrio biennale. Le nostre osservazioni non ci hanno assolutamente portato
a confermare l'assunto di Rimpau, il quale, come avremo occasione di rilevare,
non aveva certamente compreso le cause e interpretato il meccanismo del fenomeno
(Rimpau, 1880).
9-Deduzioni e considerazioni sommarie
L'uomo, anche se sotto una più nobile veste di uomo indagatore,
prefiggendosi di volere tutto spiegare, intravede leggi e regole a destra e
a manca; e facendo spesso, pur senza intenzione, piegare le cifre ai supposti
del proprio pensiero, scopre correlazioni anche là dove non sussistono
affatto9.
9) Percorrendo ampie distese di barbabietole con selezionatori di professione,
ci è occorso talvolta di vedere il selezionatore indugiarsi, e, additando
una bietola, risolutamente affermare "quella è ricca" o, additandone
un'altra "quella è povera"; e analoghi recisi giudizi sentimmo
dinanzi a bietole già escavate e allineate, al semplice esame di caratteri
esteriori delle radici.
Quando si considerino tutte le variazioni da individuo a individuo e da gruppo
a gruppo, si comprende come le determinazioni complessivamente portate su poche
decine di soggetti non possono per lo più condurre che ad apprezzamenti
unilaterali, o alla visione di mutui rapporti, che un esame di migliaia di bietole
vegetanti in diverse condizioni di ambiente avrebbe dichiarato puntellati sull'assurdo.
Va in aggiunta e in linea generica rilevato che soltanto in parte, anzi in piccola
parte, gli studi compiuti al riguardo nelle vecchie plaghe bieticole possono
fornire sicura guida alla bieticultura nostrale.
Riassumiamo osservando principalmente:
a) che l'abbondanza del fogliame, se è fattore legato all'alta
produttività in peso della radice, non è sempre indice di elevato
titolo zuccherino, ché anzi l'esagerato sviluppo delle foglie va quasi
costantemente a detrimento della ricchezza percentuale delle radici, senza contare
che, per quanto si riferisce al clima nostro, un fogliame soverchiamente lussureggiante
ed espanso può costituire un'arma pericolosa e svantaggiosa.
b) che la procombenza del fogliame denota molto spesso, ma non sempre,
una buona ricchezza, mentre il fogliame eretto è indice molto frequente
di progenie povera. Ma dato e
concesso, come dai più si presume, che la maggiore ricchezza, che si
riscontra nella grande parte dei soggetti a fogliame procombente, si debba al
fatto per cui le radiazioni luminose cadono meno obliquamente sui lembi, va
rilevato che con bietole a grande espansione vegetativa, quale assumono quasi
sempre le culture nella bassa Valle Padana in conseguenza di abbondanti precipitazioni
primaverili, tutte le foglie nella lotta per la luce tendono ad assumere una
posizione eretta, onde il carattere delle procombenza perde in atto gran parte
della propria efficienza10;
c) che gli individui a lembi fortemente ricciuti e increspati e a colore
verde intenso (carattere che si appalesa eminentemente ereditario) non presentano,
alla raccolta, nella grandissima parte dei casi, se non radici di poco peso
e, insieme, di scarsa ricchezza11;
d) che egualmente povere sono per lo più le bietole a lembi introflessi
od estroflessi (carattere egualmente trasmissibile)12
10) Tentammo nel 1915 una prova: seminammo a regolare distanza di 50 centimetri
in quadro (affinché ciascun soggetto potesse vegetare senza subire influenze
laterali) glomeruli di una progenie in cui il carattere della precombenza era
apparso fortemente fissato; e a piante già bene sviluppate furono alternatamente
applicati sostegni metallici destinati a mantenere i lembi in posizione obliqua.
Le cifre raccolte non ci consentirono alcuna deduzione. L'esperimento non fu
più ripetuto.
11) Da farsi naturalmente astrazione dal caso opposto, in cui si tratti di
bietole specificamente clorotiche.
12) Da non confondere le bietole che presentano lembi introflessi od estroflessi
per iperalimentazione (cfr.Deut.Landew, Presse n.7, 1917) con quelle in cui
il carattere è congenito.
e) che le progenie costituite da soggetti a lembi presenti superficie
brillante palesano una maggiore resistenza contro l'appassimento, rispetto a
progenie con lembi a superficie "matta";
f) che l'intensità del colore dei lembi e il grado di bollosità
o di increspamento degli stessi non offrono alcun nesso di corriferimento con
la ricchezza in zucchero delle radici;
g) che le radici di forma molto allungata, a testa fortemente entro
terra e di difficile estirpamento (tipo non desiderabile ai riguardi culturali)
sono quasi costantemente più ricche rispetto alle radici che presentano
caratteri opposti;
h) che non sempre le bietole, che hanno la tendenza a sporgere, sono
anche, insieme, di tipo raccorciato, potendosi avere abbinati in un unico soggetto
il carattere della notevole lunghezza della radice e quello della tendenza della
radice stessa a sporgere da terra;
i) che le radici di bellissimo aspetto, di forma impeccabile, sono quasi
costantemente meno ricche di quelle asimmetriche e di cattiva forma;
j) che, a parità di condizioni di suolo e di tempo di semina,
le bietole di piccolo peso sono quasi sempre più ricche di quelle di
peso elevato; ma che, esclusi i casi estremi, un rapporto deciso non sussiste
quando si raffrontino per peso e ricchezza soggetti alla rinfusa, provenienti
da terreni diversi o da semine effettuate in tempi distinti.
In complesso, e nelle grandi linee, lo studio di molte delle così dette
variabilità correlative, che potrebbe essere di non dubbio ausilio se
la scelta delle bietole si facesse esclusivamente in base ai caratteri esteriori,
cessa di avere praticamente valore dal momento che con una determinazione polarimetrica
si sorpassa il campo delle congetture per appoggiarsi al terreno sodo delle
cifre.
Infine, allora quando si passi a indagare se un esame di laboratorio consenta
una precisa risposta a questa precisa domanda:" due progenie con soggetti
che presentino caratteri morfologicamente uniformi hanno anche uniformi attributi
chimici?", indarno la risposta si attende, accezione fatta per i pochi
casi di correlazione positiva sopra elencati. Progenie a fisionomia nettamente
definita per tipo di fogliame e di radice, e con valori a così piccole
deviazioni da potersi per essi parlare di veri attributi di razza, non offrono
la chiave per alcun orientamento, al punto da far chiedere se tutto un paziente
lavoro di separazione non appaia, ai riguardi pratici, completamente frustrato:
onde si spiega perché, in fondo, i selezionatori abbiano più che
tutto, come dicevamo, basta la loro scelta graduale e successiva più
sul criterio della ricchezza delle radici che non sulla uniformità dei
caratteri esteriori.
LA BARBABIETOLA DA ZUCCHERO NEI SUOI RAPPORTI
CON I FATTORI DEL CLIMA ITALIANO
1-Sulla inter-relazione dei fattori del clima
La impostazione di un programma di indagini per lo studio dei fattori meteorologici
in riferimento ai fenomeni della vita vegetale, e per uno studio della specifica
influenza di ciascuno di essi, rimane un pio desiderio della sperimentazione.
Bisognerebbe potere sperimentare col sistema della variazione di uno soltanto
degli elementi in causa; ma l'adozione del procedimento, che tanti successi
ha permesso di conseguire nelle ricerche di laboratorio, presenta estreme difficoltà
di soluzione allorché si tratti di mettere sotto controllo l'insieme
delle manifestazioni, da cui è dominata o stimolata la pianta in pieno
campo.
Tutte le condizioni sono egualmente indispensabili - fu detto- alla produzione
di un conseguente; né vi è ragione di dare il nome di "causa"
ad uno degli antecedenti, ad esclusione degli altri. Ora, quante e quali sono
le "cause" che sfuggono al nostro controllo?.
Nel caso nostro, poi, oltre i fattori meteorologici, intervengono e pesano
i fattori agronomici, che è solo parzialmente in facoltà dell'uomo
di poter modificare. Afferrare il meccanismo inquadrare la interrelazione dei
fattori limitanti o capaci di ingenerare perturbamenti, stabilire le così
dette zone concentriche di condizioni meno favorevoli attorno ad un optimum
per ogni condizione: il compito non sembra agevole; e sarebbe il caso di chiedersi
se sia logico di pretendere dai pochi e malsicuri strumenti, che noi abbiamo
entro e fuori capanna meteorologica, quello che essi non sono assolutamente
in grado di darci. Ma se è, come venne osservato, relativamente facile
assicurarsi dei dati ed estremamente difficile d'interpretarli, ogni sforzo
che miri ad un piano metodico di rilievi ed a un armonico coordinamento di cifre
(e va qui segnalata a cagion d'onore la coraggiosa iniziativa del dott. G. Azzi
sorretta dall'autorità del prof. R. Pirotta), va salutato con compiacimento
e simpatia.
A volerci ad ogni modo limitare ai tre fattori più comunemente e più
classicamente considerati nella meteorologia applicata all'agricoltura (acqua,
luce, calore), bastano poche e brevi considerazioni.
Luce.- Al fattore luce si attribuirono per lungo tempo una portata e
un'importanza primordiali. Ma se in realtà l'assimilazione carbonica
delle piante, e quindi la formazione di idrati di carbonio, è proporzionale
alla intensità luminosa, a un dato momento un incremento della stessa
non determina aumenti ulteriori nell'assimilazione1.
1) Da un serie di ricerche recenti, la cui esposizione è preceduta da
un'ampia bibliografia, W.H.Brown e G.W.Heise (1917) concludevano appunto che
l'opinione generale, secondo cui la assimilazione carbonica nelle piante sarebbe
proporzionale alla intensità luminosa, non è dalla sperimentazione
assolutamente confermata. Un eccesso di radiazione luminosa, non è dalla
sperimentazione assolutamente confermata. Un eccesso di radiazione luminosa
è, anzi, pernicioso alla vegetazione: al punto che in qualche plaga si
usa proteggere certe culture erbacee con speciali ripari (le coltivazioni del
tabacco nella parte occidentale di Cuba si fanno all'ombra di rade tele: cfr.
H. Hasselbring, 1914) e il nostro compianto U. Ulpiani (1918) vagheggiava allo
stesso fine per il mezzogiorno d'Italia una promiscuità di culture arboree
ed erbacee. V. Rivera dimostrerebbe a sua volta, per il frumento, che i carboidrati
accumulatisi nella pianta sono in relazione col numero di ore di luce goduta
dalla pianta stessa e non con la intensità luminosa fornita (1919). Degni
di menzione, infine, altri rilievi di Young (1917), il quale trovava che in
agrumeti della California, siti in vicinanza di fabbriche di cemento, la polvere
di cemento depositata sulla pagina superiore delle foglie sottrae in alcuni
casi più dell'ottanta per cento della luce, ma che questa elevatissima
esclusione di luce non intralcia la sintesi dei carboidrati (cfr. anche Jörgensen
e Stiles, 1917).
Quanto alla barbabietola, meritano di essere citati al primo posto i rilievi
di H.W. Wiley per gli Stati Uniti d'America, rilievi che risalgono al quinquennio
1899-1903 e malauguratamente non più proseguiti. Dalle osservazioni del
Wiley era già nettamente apparso che nessuna relazione diretta esiste
tra il contenuto in zucchero delle radici
2) E' notorio come gli eliofanografi a sfera ustoria (tipo Campell) registrino
solo le ore di sole bruciante, mentre bene spesso non a queste corrisponde appunto
la maggiore attività assimilatoria delle piante, e scarse indicazioni
offrono egualmente gli eliofanografi a carta sensibile; così va acquistando
sempre maggior favore il sistema di misurazione delle radiazioni più
attive dalla entità di decomposizione di un sale organico sensibile quale
l'acido ossalico in presenza di acetato di uranio (l'acido ossalico è
decomposto dai raggi attinici del sole; e la quantità residuata dopo
l'esposizione si determina per titolazione). (Cfr. Bacon, 1910;Mc.George, 1913;
Ridway, 1918).
Negli stessi paesi della media Europa l'annata 1912, a decorso freddo, povero
di sole e piovoso, diede bietole molto più ricche di quelle che si erano
ottenute nel 1911, registrata come un'annata calda e piena di sole3.
3) Si sono volute naturalmente trovare anche qui le spiegazioni. Secondo Ernest,
la grande quantità di luce ricevuta dalle piante nel 1911 sarebbe rimasta
nei semi sotto forma di energia latente, donde la ricca vegetazione del 1912;
secondo Stoklasa, la terra fortemente illuminata nel 1911 avrebbe immagazzinato
una energia emanante radiazioni violette, suscettibili di essere ricuperate
in seguito; secondo Saillard, il 1911 (annata di scarsa produzione) fu un mezzo
maggese, del quale profittarono largamente i raccolti dell'anno successivo.
Analoghe constatazioni erano già state fatte in Francia: la maggiore
ricchezza in zucchero si ebbe nel 1898, in cui gli strumenti registrarono 957
ore di sole durante il ciclo vegetativo, contro una media di 1183 ore e un massimo
di 1236.
Il principio attivo della luce solare, almeno per quanto riguarda il contenuto
in zucchero delle bietole (scriveva il Wiley) non è presumibile l'elemento
più luminoso; le radiazioni che maggiormente stimolano l'attività
cellulare delle piante sembrano non soffrire notevole influenza limitatrice
col passaggio attraverso uno strato di vapore acqueo.
Infine, l'influenza favorevole della luce sulla vegetazione e sull'accumulo
di zucchero nelle bietole nei paesi a latitudine settentrionale sarebbe stata
da varii fisiologi attribuita non tanto alla intensità delle radiazioni,
quanto alla durata dell'insolazione o lunghezza delle giornate nei paesi stessi.
Calore.- Le osservazioni del Wiley hanno portato ad accertare una netta
relazione inversa tra temperatura e contenuto in zucchero della radice. Come
la temperatura aumenta, la ricchezza diminuisce: le linee dei grafici offerti
dal Wiley e rappresentanti il rapporto tra la temperatura e la percentuale in
zucchero formano una X quasi perfetta.
Basse temperature e alti titoli procedono insieme, le normali alte ricchezze
dei paesi settentrionali e degli altipiani vanno dal Wiley attribuite alle temperature
relativamente basse degli ambienti in parola; e poiché le più
alte temperature sono d'ordinario non disgiunte da giornate a grande insolazione,
la ragione precipua per la quale la cospicua insolazione non favorisce l'accumulo
di zucchero dovrebbe, secondo il Wiley, ricercarsi nel fatto per cui ad una
forte radiazione corrisponde sempre una temperature molto elevata: il sole esercita
in altri termini sulle foglie effetti luminosi e calorifici insieme, e traducendosi
questi effetti in una forte perdita d'acqua dalla pianta, la vegetazione subirebbe
un'azione deprimente.
Sarebbe qui però il caso di chiedersi quale potrebbe essere allora l'influenza
della irrigazione nel controbilanciare l'azione diretta e indiretta delle elevate
temperature: d'altra parte non potrebbero spiegarsi gli altissimi titoli cui
sono capaci di giungere, sia pure fugacemente, le bietole nel clima meridionale
d'Italia e le ricchezze paraboliche registrate da H. Pellet per l'Egitto. Forse
al Wiley, che non compié sempre determinazioni graduali sul proprio materiale,
può essere in qualche caso sfuggito il momento in cui le bietole avevano
raggiunto il loro maximum di zucchero per cento?
Umidità.- E' superfluo insistere nel concetto come non sia la
qualità assoluta di pioggia precipitante in una data plaga a determinare
quell'insieme di reazioni della vita vegetale, per le quali un paese si classifica
tra quelli a clima siccitoso oppure tra quelli a clima umido.
Così, se si passi ad esempio a raffrontare la quantità assoluta
di acqua che cade in una delle plaghe più classicamente bieticole della
media Europea (nella provincia Sassone) con quella più bieticola d'Italia
(la bassa valle Padana), si rileva che la media si aggira attorno ai 500 millimetri
annuali nella prima contro 800 nella seconda. Suddividendo però le precipitazioni
totali annuali nei due periodi: invernale (da ottobre a marzo) ed estivo (da
aprile a settembre) si può in media calcolare che nella provincia Sassone
il 40 per cento dell'acqua cada nel periodo invernale, e il 60 nel periodo estivo,
mentre nella bassa valle Padana la quantità totale si ripartisce pressappoco
in eguale misura nei due periodi. Quando, inoltre, si proceda a mettere in rapporto
le medie di un decennio o di un cinquantennio con i singoli decorsi annuali
da cui le media stesse scaturirono, appare che, mentre le medie delle zone dell'Europa
centrale rispecchiano con tollerabili oscillazioni gli andamenti annuali, nei
paesi del sud invece, per esservi le precipitazioni normalmente saltuarie e
capricciose, le medie derivano da estremi non di rado divergentissimi.
Né basta: partire dalla quantità di acqua di pioggia, anche se
caduta con una certa regolarità, per formulare giudizi induttivi circa
il successo di una cultura, significherebbe presumere che la pianta si sia trovata
nella possibilità di profittarne effettivamente. Or che vale che il pluviometro
registri la precipitazione grezza o lorda di qualche decina di millimetri di
acqua se, cadendo la pioggia violentemente, una non indifferente percentuale
si disperda per scorrimento e per drenaggio, o se un vento caldo e secco, che
segua alla precipitazione, provochi in breve una rapida dispersione dell'acqua
caduta? Il problema della perdita dell'acqua per evaporazione (e traspirazione),
variabilissima secondo il decorso del tempo, rare volte viene dai meteorologi
studiato di conserva con quello dei decorsi delle precipitazioni, mentre sotto
il riflesso ecologico la portata del parallelo appare in tutta la sua efficienza;
né deve dimenticarsi che le precipitazioni rugiadose non esercitano sulla
economia idrica dei vegetali e del suolo una netta influenza tanto per sé,
ché si tratta di somme modestissime, quanto perché durante le
notti di condensazione la quantità d'acqua evaporata o traspirata si
riduce pressoché a zero, mentre nelle notti nuvolose (specialmente se
Una pioggia pesante può sinanco determinare indirettamente una perdita
d'acqua maggiore di quanto non si sarebbe verificato se la pioggia non fosse
sopravvenuta4.
4) Se ad es. la pioggia batte in primavera un appezzamento non ancora coperto
di vegetazione all'indomani di una sarchiatura, la superficie del terreno si
comprime così da disperdere rapidamente una quantità d'acqua ben
più elevata di quella che sarebbe evaporata se la capillarità
non fosse stata bruscamente ristabilita; il che è occorso a noi di constatare
reiteramente . E' uno di quei casi in cui un'impresa apparentemente buona si
risolve in perdita perché un elemento impreveduto di uscita ha rovesciato
la situazione del bilancio.
Non hanno, infine, trascurabile valore i fattori culturali, quali i lavori,
la lotta contro le malerbe, le varietà impiegate più o meno resistenti
al secco o capaci di costituire una determinata quantità di materia vegetale
a spese di una quantità d'acqua molto minore rispetto ad altre varietà
del medesimo tipo, ecc..
E, a sua volta, un fogliame vigoroso ed espanso, costituitosi sotto un regime
di abbondanti precipitazioni, può diventare, col sopravvenire di un prolungato
periodo di secco, un organo pericoloso e dannoso per la economia della pianta.
Concludendo.- Non è dunque da meravigliarsi se H. Pellet, dai
dati delle distribuzioni delle pioggie di varie plaghe europee per un periodo
decennale, sia considerando i dati per l'intera annata, sia raggruppandoli per
i sette mesi di vegetazione (aprile - ottobre), dichiari di non aver trovato
relazioni con le rispettive produzioni, eccettochè per un'annata (1910)
e se altrettanto dichiari per i dati delle temperature e se il Saillard (1914)
per i centri bieticoli francesi concluda egualmente nello stesso senso, e se
il Wiley ed altri sperimentatori siano giunti ad analoghe affermazioni per le
ore di sole, e via via. All'infuori dei casi estremi, in cui uno dei fattori
appaia soverchiante la serie di dati e le induzioni che dai medesimi si possano
trarre non hanno sinora palesato nella pratica e nella maggior parte delle contingenze
se non un ben limitato valore5.
5) Noi pure provvedemmo, sin dall'inizio del funzionamento della nostra stazione,
i più usuali strumenti di registratori per comuni osservazioni, e mano
mano andammo completando la serie. Ci auguriamo che analoghi rilievi metodici,
sotto gli auspici dell'Ufficio centrale di meteorologia e con le chiare drettiva
tracciate da G. Azzi, vengano iniziati nelle altre plaghe più caratteristiche
dalla nostra Penisola.
2- Centri italiani climatologicamente distinti
Al più importante centro di cultura della barbabietola da zucchero in
Italia (quello che corrisponde, come ci occorse già ripetutamente di
rilevare, alla basse valle Padana, dove si coltivano i tre quinti della totale
superficie del Paese) altri centri climatologicamente distinti vanno contrapposti:
quello degli altipiani dell'Italia centrale (Fucino e Foligno principalmente),
dove barbabietola e industria, sia pure a espansione ristretta, si sono già
da lungo tempo affermate, e quello che corrisponde alla Sicilia e ad altre zone
del Mezzodì, il quale terzo centro ha sinora registrato dei semplici
tentativi.
La fisionomia estiva della barbabietola nella bassa valle Padana.- Nella
quasi totalità delle culture non si irriga; e si tratta di terre che
alla irrigazione, in grandissima maggioranza, non si presterebbero. E siccome
vi decorrono estati solitamente aride e calde, non di rado dopo primavere copiosamente
piovose, aspra ed impari è la lotta che la cultura deve quasi ogni anno
sostenervi. In certe annate e per certi periodi, tutti i fattori del tempo sembrano
concorrere e cospirare a deprimere la vegetazione: non pioggie ricorrenti, ma,
per converso, intensa evaporazione, da cui il terreno, in mancanza di condensazioni
non giunge a sottrarsi la stessa notte. La pianta reagisce dapprima con l'appassimento
dei lembi nelle più calde ore del giorno, e a breve andare con la più
o meno completa perdita dell'apparato aereo. Sono venti, trenta, e più
giorni di vita stentata, se non di assoluta inazione; e la pianta, anche vegetante,
rimane per lunghe ore paralizzata nelle sue funzioni. Indarno il sole lascia
la sua traccia sugli strumenti del meteorologo; dato e pur concesso che l'attività
assimilatrice fosse strettamente legata alla intensità luminosa, sarebbe
sempre energia che per la cultura andrebbe fatalmente perduta. Sopraggiungono
poi, con un brusco mutamento di ciclo meteorico, pioggie abbondanti e prolungate,
mitigatrici dell'alidore, per le quali le piante escono a vita nuova, ma a cui
indubbiamente è connessa una delle prime cause di inferiorità
dell'industria italiana per l'improvviso e rapido precipitare dei titoli del
raccolto, con differenze che hanno superato in certe campagne persino i cinque
gradi! (Cfr. A. Aducco, 1903).
Le culture degli altipiani.- Le condizioni di ambiente e i metodi di
cultura e di sfruttamento industriale delle barbabietole sui nostri altipiani
offrono sorprendenti punti di contatto con le condizioni di clima e di cultura
dei paesi dell'Europa media, anche per le più alte abituali ricchezze
ivi segnate dalle bietole e per la mancanza quasi sempre riscontrata di retrogradazioni
anche nel tardo autunno.
La decisa specifica influenza dell'altitudine nel controbilanciare gli effetti
delle basse latitudini era stata già posta brillantemente in rilievo
dal Wiley, dalle cui osservazioni appare non solo che le linee rappresentanti
la latitudine corrono nella stessa direzione delle linee rappresentanti il contenuto
in zucchero delle bietole (nel senso che, quanto più bassa è la
latitudine, tanto più bassa è la percentuale di zucchero delle
radici), ma ancora che vi è una tendenza delle altitudini a compensare
il naturale effetto deprimente delle basse latitudini. In altri termini, mentre
i più deprimenti effetti sul contenuto delle bietole in zucchero sono
prodotti dalla combinazione della bassa latitudine e della bassa altitudine,
le più favorevoli condizioni per ottenere una bietola ricca di zucchero
sono assicurate dalle alte altitudini di conserva con le alte latitudini. I
dati, che si possono desumere dal materiale offerto dal Wiley, ci permettono
di ricavare un prospetto che racchiude gli elementi accertati per quattro delle
Stazioni di prova rispettivamente poste negli Stati del Kentucky, di Washington,
della Virginia, e di New York:
L'influenza della latitudine osserva il Waley può avere
due componenti: la lunghezza del giorno e il grado di temperatura. La maggior
durata della insolazione è stata più volte dichiarata come la
causa precipua dei più alti titoli che raggiungono le bietole nei Paesi
a latitudine nordica (ed insieme causa delle più alte purezze); ma poiché
non può essere invocata la stessa determinante per gli altipiani a basse
latitudini (la lunghezza del giorno è di 14 ore e 14 minuti a Blacksburg,
e di 14 ore e 18 minuti a Lexington), si può affermare che, tanto per
i Paesi a latitudine settentrionale, quanto per le plaghe in altopiano, il componente,
che ha valore assolutamente preminente, è rappresentato dalla bassa temperatura.
Uno studio a fondo sul tema merita d'essere compiuto anche per i nostri altipiani.
La barbabietola da zucchero e l'Italia del Mezzogiorno.- I tentativi
per diffondere la coltivazione della barbabietola da zucchero nelle plaghe più
meridionali del nostro Paese non ebbero, come dicemmo, sino ad oggi fortuna.
A prescindere da tutte le note difficoltà d'ordine generico, che si sono
opposte finora all'affermarsi in quelle plaghe di una agricoltura intensiva,
il problema per la barbabietola, così come per altre piante erbacee di
grande cultura, prevalentemente un problema di distribuzione di pioggie o di
disponibilità d'acqua.
La possibilità di coltivare la barbabietola da zucchero nelle terre
irrigue dei nostri Paesi meridionali è stata recisamente dimostrata dalle
prove condotte per annate diverse in Sicilia (agro Siracusano) da E. Arnao (1914),
con constatazioni che ripetono da vicino quelle resultanti dalle esperienze
compiute da G.B. Cucovich ed E. Mameli Cubeddu (1896) in Sardegna (Cagliari).
Rileva tuttavia a questo proposito A. Borzì (1917), riferendo di alcune
sue importanti osservazioni sperimentali nell'agro Palermitano, che nelle terre
irrigue della Sicilia non potrebbe la barbabietola coltivarsi con profitto sino
a che nelle stesse condizioni altre piante si appalesano nettamente e senza
confronto più redditizie. Il dilemma è, così rigidamente
posto nei suoi termini, onde occorre accertare se speciali accorgimenti nei
metodi di cultura non potrebbero mettere le piante in condizioni di trarre il
necessario profitto dalle acque di pioggia, in quei mesi appunto in cui le precipitazioni
occorrono normalmente, in modo da garantire alla pianta lo svolgimento di una
vegetazione regolare, anche a decorso abbreviato o scostantesi da quello consueto.
Le forme di adattamento potrebbero essere diverse:
a) Semina in febbraio marzo: lasciare le piante in terra nel
periodo della mancanza di pioggia per metterle in grado di avvantaggiarsi delle
prime precipitazioni estivo - autunnali, e consentire ad esse un secondo mezzo
ciclo di sviluppo; escavo alla fine d'autunno. Sorge il quesito: le giornate
di calore e di sole, che si protendono sino al tardo autunno nei paesi meridionali,
sono in grado di permettere alla pianta non solo di crescere di peso, ma ancora
di ricostituire la sua riserva di zucchero perduta all'atto della emissione
delle nuove foglie dopo il trascorso lungo periodo di ibernazione estiva? Alcune
ricerche, già compiute al riguardo, non autorizzerebbero a dare corpo
a tale congettura.
b) Semina in autunno per far fruire le piante dei propizi tepori autunnali
sino all'approssimarsi delle meno favorevoli giornate d'inverno, segnanti un
sia pur lieve arresto di vegetazione, la quale ripiglierebbe tuttavia in primavera
sino al maggio giugno successivo. L'idea della semina autunnale è
quella che si affaccia come più naturale ad ognuno che, a conoscenza
della singolare distribuzione delle pioggie nei paesi del sud, si accinga ivi
a tentare la coltivazione delle barbabietole. Ma sorge anche qui un interrogativo:
l'arresto di vegetazione durante l'inverno, per quanto blando, non potrebbe
stimolare le piante a emettere scapi floriferi già in aprile maggio,
nel qual caso la radice, rimanendo sottile e assumendo consistenza legnosa,
più non sarebbe industrialmente utilizzabile? Il clima della Sicilia
e dell'ultima parte della penisola non è, infatti, ancora così
meridionale da non segnare, come ad es. lungo la costa mediterranea dell'Africa,
la minima interruzione di sviluppo, e da permettere quindi alle piante di conservarsi
allo stato vegetante od infruttifere pur nell'anno appresso a quello della semina.
C. Vesely, che aveva tentato prove di semina in Sardegna, e al quale noi avevamo
esposto lo stesso dubbio, ci confermava in seguito la avvenuta comparsa del
fenomeno, in presenza del quale il concetto delle semina autunnali cadrebbe
senz'altro.
A. Borzi preconizza, infine, per la Sicilia un altro metodo: quello della semina
in gennaio e della raccolta in maggio giugno. I resultati finora conseguiti,
e non si minuscole superfici soltanto, si appaleserebbero molto promettenti.
3-La "retrogradazione" nelle bietole italiane
Intendiamo riportarci, sempre ai riguardi del nostro assunto, soprattutto alla
plaga della bassa valle Padana, in cui il fenomeno della "retrogradazione"
si verifica normalmente da fine agosto in avanti. La "retrogradazione"
va poi considerata nei suoi due aspetti distinti (che, però, si fondono
sempre e coesistono in uno stesso individuo): retrogradazione apparente,
per la quale la quantità assoluta o totale di zucchero non diminuisce
(o può anzi accrescersi più o moneo notevolmente), ma si abbassa
la quantità percentuale; retrogradazione effettiva, che corrisponde
a una vera e propria perdita di zucchero, per cui non si abbassa soltanto la
ricchezza percentuale, ma ancora lo zucchero totale. I quesiti che, in ogni
caso, si attaccano al concetto di retrogradazione nei suoi termini generici,
sono diversi, ed è strettamente necessario passarli in rassegna e singolarmente
valutarli in quanto non disgiungibili dal Una forte poggia, soprattutto incogliendo bietole completamente, o quasi,
sguarnite di fogliame, riesce ad abbassare immediatamente il titolo zuccherino,
prima ancora cioè che le piante abbiano incominciato a rivegetare? I
fabbricanti di zucchero sono pressoché unanimi nell'affermarlo: basterebbe
una pioggia, anche leggera, a fare abbassare immediatamente il tracciato dei
diagrammi in fabbrica. Si tratterebbe qui, evidentemente, di una semplice diluizione
di succhi, ossia di una diminuzione di densità per effetto dell'assorbimento
dell'acqua. Rigorosamente occorrerebbe poter lavorare, trascorsi due o tre giorni
dalla pioggia, le bietole di determinati appezzamenti per i quali una lavorazione
di confronto fosse stata eseguita immediatamente prima della pioggia. I tecnici
delle nostre fabbriche, che non possono avere né il tempo materiale né
la tranquillità per attendere a ricerche del genere, tanto più
quando ferve febbrile il lavoro della campagna, non ci hanno potuto fornire
cifre ma elementi o rilievi semplicemente induttivi. Del resto, anche la letteratura
esotica è poverissima di contributi sulla materia [non potemmo prendere
visione se non di un rapporto di E. Saillard (1913) e di un altro di C.E. Beusel
(1917), ma ancor essi imprecisi]6.
6) Scrive il Beusel: " Ebbi l'opportunità di compiere un rilevo
nel sud della California dopo una pioggia pesante di 137 millimetri caduta alla
fine di settembre quando la maggior parte delle bietole coltivate in San Ferdinando
Valley aveva raggiunto la maturanza. Per un periodo di due settimane innanzi,
il peso medio per acre della zona era stato registrato in 8.73 tons, con il
19.98 per cento di zucchero, mentre nel periodo immediatamente successivo alla
pioggia il peso si innalzò a 10.03 tons per acre, e il titolo in zucchero
si abbassò al 17.59 per cento. La quantità totale di zucchero
rimase identica: esso s'è semplicemente distribuito sopra una maggiore
quantità di sugo, che naturalmente aumenta il peso della bietola in diretta
proporzione della quantità di acqua assorbita".
Altri A. A., come il Vile (Bull.96 pag.53), pure vi accennano, ma vagamente.
Il fatto indubbiamente sussiste per le bietole che siano incolte dalla pioggia,
allorché i loro tessuti hanno più o meno perduto il loro turgore
senz'essere tuttavia giunte a quello stadio di avvizzimento per cui ogni vitalità
del protoplasma debba ritenersi irrimediabilmente spenta e l'organismo si avvii
verso il disfacimento: ma per le bietole ancora guarnite di una discreta corona
di foglie, e con tessuto radicale ancora apparentemente turgido e sodo, il fenomeno
si verifica egualmente? Noi abbiamo voluto compiere alcune prove nel 1913 e
nel 1914, procedendo ad abbondanti innaffiamenti (con quantità d'acqua
corrispondente ad una precipitazione di 80 90 millimetri) su striscie
alterne, e determinando o a gruppi, o individualmente (col metodo della sondatura
sul posto), immediatamente prima dell'innaffiamento e due o tre giorni dopo,
saccarosio e Brix ottico (con il refrattometro); ma i risultati sono stati incerti
e contraddittorii. Va non di meno e ad ogni modo incidentalmente osservato che
ci troviamo di fronte a un problema molto delicato, trattandosi di stabilire,
fra l'altro, se e quali trasformazioni possa subire il saccarosio nella compagine
stessa della radice, prima che si determinino correnti verso i centri di richiamo:
donde possibile di false interpretazioni sul decorso del fenomeno.
Le bietole perdono zucchero in seguito alla emissione di nuove foglie?
Malgrado che nel campo dei fisiologi la questione fosse considerata assolutamente
come res judicata, alcuni anni addietro l'argomento fu sollevato e ampiamente
e vivacemente discusso in seno alla Associazione dei chimici zuccherieri di
Francia. "Lo zucchero si forma nella radice; le foglie non funzionano,
tutt'al più, che da organi epuratori"; "quando una bietola
ripullula, non è lo zucchero delle radici che serve alla produzione delle
nuove foglie"; "l'organo non può nello stesso tempo fare dello
zucchero e distruggerlo"; "se la ricchezza percentuale diminuisce,
lo zucchero totale aumenta costantemente; lo zucchero, una volta immagazzinato
nella radice, più non può uscire da essa", e via via (cfr.
rapporti e verbali in Bulletin de l'Association des chimites de sucrerie
et distillerie, 1912-13 e 1913-14).
Si soggiungeva, a mo' di corollario, che neppure la sfogliatura fa abbassare
la ricchezza zuccherina, e che anche le stesse barbabietole al loro secondo
anno di vita, cioè quando emettono gli scapi e si preparano a produrre
seme, non perdono zucchero totale. Superfluo notare che contro siffatte argomentazioni
si levarono, in seno alla stessa Associazione, le voci dei fisiologi.
Era logico che anche noi ci sentissimo comunque indotti a intraprendere una
serie di osservazioni in una plaga, come la nostra, nella quale la quantità
di fogliame delle bietole, in conseguenza della irregolare distribuzione delle
pioggie, può subire delle variazioni enormi, raramente verificabili altrove.
Complessivamente esaminammo, nelle annate 1913-1915, oltre tremila soggetti,
quasi tutti con doppia sondatura. In apposite memorie, nelle quali trovansi
anche descritti i procedimenti e i metodi speciali adottati, riportammo dati
e conclusioni, a loro volta suffragati da ulteriori rilievi compiuti nel successivo
1916, e ancora inediti.
Sieno dunque le foglie organi di sintesi, o si considerino, come vorrebbe qualcuno,
quali organi "epuratori di linfa", la perdita effettiva di zucchero
in seguito all'emissione di nuove foglie venne anche da noi, se pur ve ne fosse
stato bisogno, nettamente dimostrata e confermata. L'asportazione delle foglie,
mano mano che si originano, esalta la perdita: onde il dubbio emesso, "e
a una produzione di nuove foglie corrisponda in realtà una attenuazione
della riserva dello zucchero immagazzinato nella radice", ha nei fatti
una completa smentita.
Senonché: tra soggetti vegetanti nelle stesse condizioni, è la
perdita dello zucchero proporzionale alla espansione rispettivamente assunta
a un dato momento dal fogliame dei singoli soggetti? Una foglia ripullulante,
che cresce dapprincipio a spese dei materiali di riserva, diviene a un dato
istante un organo attivo e perciò quindi, in bilancio, un elemento perturbatore.
Ben altro è, frattanto, e ben più complesso codesto studio di
quello che semplicemente si proponga un accertamento della perdita di zucchero
in conseguenza della graduale soppressione di nuove foglie! Le numerosissime
nostre determinazioni, compiute specialmente nel 1916 e 1917, non ci hanno permesso
di afferrare alcun rapporto.
Quando, per mancanza o scarsità di pioggie estivo - autunnali, non
verificandosi il fenomeno della rivegetazione, le bietole si mantengono lungamente
con un fogliame ridottissimo o quasi nullo, si verifica egualmente un abbassamento
del titolo zuccherino nelle radici? In altre parole, è solo il fenomeno
della rivegetazione che provoca la retrogradazione della barbabietola nel periodo
estivo autunnale? L'abbassamento del titolo deve esclusivamente imputarsi
al consumo di riserve per la formazione di nuove foglie? L'osservazione permette
di rilevare che perdita di zucchero si ha nella bietola anche indipendentemente
dalla ripullulazione. Nel 1916, e in forma meno cospicua nel 1917, non si ebbero
che scarsissime pioggie estivo autunnali, e quasi affatto rivegetazione,
e, ciò nonostante, fu registrata una forte depressione nel tenore in
saccarosio. La perdita dello zucchero dovrebbe attribuirsi, in tal caso, alla
continuata attività respiratoria, non controbilanciata da corrispondente
assimilazione fogliare?
Potendo, per eccezionale favorevole andamento della stagione, le bietole
conservare vigoroso e attivo il proprio
Fra le annate dell'ultimo decennio merita di essere registrata, per la bassa
valle Padana, quella del 1912, nella quale la ricchezza in zucchero delle bietole
segnò quasi dovunque, nelle grandi linee, una sorprendente stabilità
dai primi di agosto a fine campagna. Ad essa va in reciso contrasto il decorso
della campagna 1910.
Dall'esame dei dati riferentesi al decorso delle precipitazioni del 1912 cade
l'affermazione che le pioggie estivo autunnali in sé e per sé
a provocare la rapida degradazione delle bietole: altrimenti, non solo non si
potrebbero giustificare gli elementi offerti dalla campagna 1912, ma non si
potrebbe neppure spiegare perché nei paesi bieticoli dell'Europa centrale
le bietole segnino da luglio in avanti un costante aumento nel tenore zuccherino,
malgrado che la pioggia ivi ricorra con grande regolarità lungo tutto
il periodo vegetativo.
Le bietole che, pur incolte da pioggie estivo autunnali, ripullulano
con scarsissima energia, o si manifestano senz'altro ribelli a germogliare,
come si comportano? E come, per converso, si comportano i soggetti che rivegetano
con grande vigoria? Allorché la riarsa terra di un appezzamento a
barbabietole pressoché sguarnite di foglie viene, dopo un lungo periodo
di secco, copiosamente innaffiata da una pioggia, le bietole si scuotono dal
letargo e il campo sollecitamente si copre di verde: ma, mentre vi sono soggetti
che rivegetano con singolare energia, in altri la ripullulazione è scarsa;
in altri, addirittura nulla.
Ai primi di ottobre del 1916, procedevamo nel tenimento "Tassina"
del cav. Luigi Nagliati, nei pressi di Rovigo, al alcune pesature di carattere
puramente occasionale, in un appezzamento nel quale avevamo già in agosto
picchettati, per ulteriori confronti, numerosi soggetti. Ecco alcune cifre che
derivano dall'esame di 626 bietole:
Le cifre che abbiamo riportato non debbono né intendono avere altro
valore che quello di dimostrare quanto diversamente si comportino le singole
bietole di un campo anche dopo le pioggie estivo autunnali. L'analisi
delle rispettive radici eseguita, per errore, soltanto in duecentonovantadue
soggetti, non ci permise di accertare alcun rapporto tra espansione assunta
dal fogliame e ricchezza in zucchero.
Scendendo però a considerare partitamente le barbabietole che non ripullulano
o ripullulano con debolissima energia, varie osservazioni del 1917 ci consentirono
di stabilire che si tratta per lo più di soggetti già così
provati dalla siccità da essere incapaci di reagire allo stimolo del
brusco cambiamento di regime: ora, se detti soggetti non presentano i tessuti
in via di dissolvimento, offrono nei primi tempi all'analisi una ricchezza in
generale superiore rispetto alle bietole con fogliame più o meno vigorosamente
ripullulato, e la loro ricchezza si mantiene relativamente e rispettivamente
più elevata in prosieguo, almeno in una certa proporzione dei soggetti.
E' un bene o un male che le piante non rivegitino?
Notammo, inoltre, che i soggetti, che palesavano una manifesta tendenza a ripullulare
con grande vigoria, hanno pure una evidente predisposizione a rivegetare dopo
i trapianti estivi. E parimenti accade se si proceda a una sfogliatura ripetuta
periodicamente, tenendo conto di volta in volta del peso delle foglie tolte
da ogni singolo soggetto: a parità di peso della radice, successivamente
controllato allo escavo, vi sono bietole che danno costantemente alla bilancia
un peso di foglie triplo e quadruplo rispetto ad altri soggetti vegetati nelle
medesime condizioni.
Analoghe tendenze, nell'un senso o nell'altro, si notano non soltanto sporadicamente
nelle bietole di un campo, ma ancora, non di rado, nella gran parte dei soggetti
di determinate progenie. Così osservammo che le bietole di certe progenie
hanno evidente tendenza a emettere germogli nei silos durante la conservazione
invernale, mentre altre progenie palesano una opposta tendenza. Sono dunque
in giuoco, in ogni caso, così distinti caratteri da portare a presumere
essere gli stessi caratteri legati a fattori ereditari? Non ci è ancor
possibile di rispondere con positivi elementi di fatto.
I soggetti, che mantengono il loro fogliame relativamente vigoroso tra bietole
in grandissima parte spoglie di vegetazione, sono soggetti ancora "immaturi"?
o si tratta di resistenza individuale? E in quest'ultimo caso la tendenza potrebbe
essere ereditaria? Non abbiamo a tutt'oggi dati sufficienti che ci consentano
di rispondere a questa importantissima domanda, la quale in senso contrario
ha stretta analogia con l'altra precedentemente specificata.
Assai scarse sono ancora le nostre osservazioni per dedurre che si tratti,
almeno per certi soggetti, di un fattore individuale capace di trasmettersi
in una progenie. Le cause esteriori od accidentali che possono permettere ad
un individuo di conservare più o meno vigoroso il proprio fogliame, sono
troppo diverse perché sia possibile di colpire facilmente nel segno.
Anche qui occorre frattanto partire da un numero ragguardevole di soggetti,
e il problema si fa allora tecnicamente complesso.
Una sfogliatura parziale potrebbe costituire, in certe annate, un beneficio
per la cultura? Quando per pioggie insistenti, sopravvenute nel maggio
giugno, le bietole abbiano assunto uno sviluppo fogliare eccessivo, e al periodo
Può una bietola, dopo aver emesso nuove foglie e perduta una certa
quantità di zucchero, ricostituire le sue riserve in modo da raggiungere
la ricchezza primitiva, e, in più, sorpassarla anche in percentuale?
Questo quesito ha manifeste linee di contatto con quello precedente. Occorrono,
per la voluta dimostrazione, prove dirette e indirette; ed alcuni frammentari
contributi già noi stessi recammo al riguardo. Tra l'altro, procedendo
nell'estate del 1914 all'estirpamento, immediata pesatura ed analisi, e immediato
e successivo trapianto di un notevole numero di bietole per lasciare le medesime
in terra altri due mesi e più, indi riescavarle, ripesarle e rianalizzarle,
rilevammo non solo un più ragguardevole aumento di peso e un corrispondente
aumento dello zucchero totale (entrambi gli aumenti strettamente proporzionati
allo sviluppo assunto dal fogliame dopo il trapianto), ma ancora, in un certo
numero di soggetti, un aumento di ricchezza percentuale (1915). Il caso è
però, riteniamo, raramente verificabile nella bassa valle Padana.
Asportando la testa (colletto) alle bietole senza rimuoverle dal terreno,
le radici si mantengono vitali? E impedendo, con l'adozione dello stesso procedimento,
alle piante di rivegetare, le radici serbano intatta la riserva di zucchero
immagazzinato nei loro tessuti? Questo quesito ci venne anni addietro formulato
da G. Mori e da U. Casalicchio. Se la retrogradazione si deve alla emissione
di nuove foglie dopo le pesanti pioggie settembrine, impedendo alle piante di
rivegetare con un procedimento molto sommario, quale quello di asportare ad
esse la sommità in corrispondenza alla superficie rugosa, si potrebbe
della radice formare un magazzino inviolabile di zucchero? Naturalmente, col
procedimento in parola si dovrebbe rinunciare alla prospettiva di un ulteriore
aumento di peso del raccolto.
Parendoci il principio degno del più attento esame, almeno dal lato
della curiosità che esso presentava, fummo indotti a intraprendere una
serie di indagini nel 1914 e 1915, che ripetemmo ancora nel 1917. Provammo,
in confronto, gli effetti della decapitazione, sia su bietole abbondantemente
innaffiate immediatamente innanzi la scollettatura e, più tardi, in periodi
successivi, sia non innaffiando; in certi casi scollettando con taglio orizzontale
sotto la parte rugosa, in altri casi sbucciando a calotta la testa sempre corrispondentemente
alla parte rugosa. Complessivamente furono analizzate parecchie centinaia di
individui ma, non avendo potuto completare le osservazioni destinate a chiarire
alcuni punti del problema, abbiamo creduto opportuno di tenere in sospeso i
dati sino ad ora raccolti.
In complesso e rotondamente, ecco quanto potemmo rilevare. Alla brusca decapitazione,
dalla larga zona di superficie messa allo scoperto tosto trasuda succo, ma in
lieve quantità, e variabile da soggetto a soggetto7.
7) Per quanto, ripetiamo, sempre molto scarso (5-6 grammi di liquido al massimo
per bietole di 500-600 grammi), in alcuni soggetti il trasudamento è
tale da aversi un tenue deflusso lungo la parete, mentre in altri soggetti il
trasudamento è nullo o quasi. Non ci parve di trovare alcuna correlazione
tra la tendenza alla trasudazione dopo la scollettatura e l'abbondanza e la
vigoria del fogliame rispettivamente prima offerta dai singoli soggetti, né
ci sembrò che si palesasse un più cospicuo deflusso nei soggetti
la cui terra circostante era stata abbondantemente innaffiata un paio di giorni
innanzi la decapitazione.
In seguito, rapidamente la superficie si cicatrizza rivestendosi di periderma
suberoso (è quanto accade allorché si asporta il consueto cilindro
di polpa per determinarne il saccarosio); in un periodo relativamente breve,
poi, il tessuto sottostante assume una intensa colorazione verde che interessa
un disco di polpa dello spessore di alcuni millimetri. Le bietole manifestano
nello stesso tempo una grande e spiccata tendenza ad emettere germogli, e, purché
solo qualche lievissima traccia di parte rugosa sia sfuggita, spuntano vigorose
una o più gemme, onde occorre ripassare i soggetti in esperimento dopo
alcuni giorni per completare lo sbucciamento e togliere eventuali anfrattuosità
dove non abbia saputo scendere nel primo passaggio l'arnese dell'operatore.
In ogni caso, malgrado la impossibilità di emettere fogliame, le radici
si mantengono egualmente turgide e vitali, così vitali da poter essere
conservate in piena terra sino al tardo autunno, non solo, ma da riprendere
contatto col terreno ad un trapianto nella primavera successiva, ed ivi rimanere
apparentemente sanissime sino ad un altro tardo autunno!
Ma quanto alla riserva dello zucchero, noi abbiamo registrato sempre
un netto e sensibile abbassamento progressivo di titolo, che dopo un mese
da fine agosto a fine settembre può arrivare ai due gradi ed oltre
(anno 1914), e da metà settembre a fine ottobre piò giungere ai
tre quattro gradi (anno 1917). Si potrebbe qui chiedere: di quanto si
sarebbe abbassato nel medesimo periodo il titolo di una stessa bietola se non
si fosse scollettata? Va contrapposto che, se la bietola non si fosse scollettata,
sarebbe presumibilmente cresciuta di peso, e mancherebbero allora gli elementi
per una rigorosa comparazione.
Come spiegare, comunque, la perdita di zucchero nel caso di bietole scollettate?
Le cause sono dello stesso ordine di quelle che portano sia ad un assottigliamento
delle riserve di zucchero in bietole conservatesi nel terreno nel periodo estivo
autunnale pur senza ripullulazione o con scarso e invariato sviluppo
fogliaceo8, sia ad una perdita percentuale in zucchero delle bietole
che si sono conservate in silos durante l'inverno, anche se nel frattempo non
abbiano ripullulato?
8) Va esclusa la perdita per dilavamento attraverso la superficie messa a nudo
dalla decapitazione, superficie che, come dicevamo, in periodo brevissimo si
suberizza.
Impedendo con l'ausilio delle irrigazioni alle bietole di perdere il proprio
fogliame, si potrebbe artificialmente reagire contro le cause che determinano
il fenomeno della retrogradazione? Il quesito così posto, lo si comprende,
si differenzia fondamentalmente dall'altro generico, che riguarda l'influenza
e i beneficii dell'acqua di irrigazione ai riflessi culturali e la possibilità
di una salda affermazione dell'industria là dove la cultura delle barbabietole
non sarebbe stata altrimenti consentita. Non si tratterebbe, in altri termini,
di discutere se con l'irrigazione si possono
La tesi ha, se vogliamo, un po' dell'accademico, e va naturalmente posta nel
mero campo delle ipotesi, in quanto è praticamente superfluo il pensare
di quale effetto sarebbe capace una causa, quando la causa non sussista; ma
l'abbiamo qui egualmente fermata, perché su di essa, a riguardo dei mezzi
per far argine agli effetti della retrogradazione, soprattutto insistette lo
studioso boemo K. Andrlìk in una conversazione che avemmo con lui nel
1910: "per opporsi alla retrogradazione", diceva appunto Andrlìk,
"non vi sarebbe altro espediente che quello di conservare il fogliame con
un'appropriata irrigazione".
Riandando a quanto abbiamo tuttavia potuto osservare negli ultimi anni nella
vallata Padana, riteniamo che neppure dottrinalmente la tesi possa sostenersi:
non sembra che debba astrarsi infatti da altri fattori, quale particolarmente
l'andamento delle temperature9.
9) Il Wiley attribuisce per es. la grande superiorità delle bietole
del Colorado, in confronto a quelle parimenti in terre irrigue di altri Stati,
alle basse temperature normali nel primo caso (1905).
Un quesito analogo è questo: Se le barbabietole potessero in una determinata
plaga coltivarsi, con garanzia di buona media, anche senz'acqua di irrigazione,
avrebbe l'industria il tornaconto, per sé, che all'irrigazione non si
ricorresse?
Nelle plaghe non irrigue della bassa valle Padana può presumersi
che le bietole più ricche in agosto presentino una ricchezza relativamente
più elevata anche nell'autunno avanzato, e viceversa? E' uno dei
più importanti, diremo anzi il più importante quesito legato al
problema in causa, trattandosi di stabilire il momento più opportuno
nel quale analizzare le bietole "da selezione". Determinazioni individuali
eseguite lasciando le bietole in posto ci hanno permesso di chiarire in modo
singolare il decorso del fenomeno. Dai nostri ripetuti rilievi è apparso
che, indipendentemente dall'andamento della stagione, che può determinare
fenomeni di carattere generico, le fluttuazioni nel fattore zucchero sfuggono
ad ogni regola, nel senso che una bietola differisce da un'altra per il tempo
nel quale raggiunge il vertice del suo massimo contenuto in zucchero, e una
bietola dall'altra per il modo col quale lo zucchero si va diluendo nella polpa
(retrogradazione apparente) o scomparendo (retrogradazione o perdita reale).
In altri termini l'analisi di una bietola eseguita in un dato momento non può
offrire alcun elemento di giudizio circa la ricchezza che la bietola stessa
avrebbe palesata se si fosse analizzata un certo tempo innanzi, oppure se la
si fosse lasciata ancora in terra a vegetare. Se effettivamente le medie in
generale degradano da agosto in avanti, costituendo anche qui le medie la risultante
di elementi variabili e spesso individui. Fu in base a codeste contestazioni
che noi credemmo utile di procedere alla scelta e alla separazione degli individui
nel periodo estivo, come esporremo più innanzi.
Le variazioni nel comportamento sono non meno notevoli se si passi anche allo
studio degli attributi di progenie diverse, prese in blocco in sé stesse,
o poste tra loro a raffronto. La perdita dello zucchero (apparente o reale)
nelle radici è molto difforme. Certe progenie presentano nel tardo autunno
caratteri tanto diversi da quelli che offrivano in agosto settembre,
da non riconoscersi più: se per l'esame delle stesse progenie si attendesse
l'ottobre novembre, si correrebbe il pericolo di svalutare e forse di
eliminare dei tipi che avrebbero offerto attributi pregevoli nel periodo della
utilizzazione effettiva delle bietole in fabbrica.
Riassumendo.- se la retrogradazione è preminentemente la espressione
di un problema di distribuzione delle pioggie o di economia di acqua, altre
cause possono agire nello stesso tempo cumulativamente o indipendentemente;
se la perdita dello zucchero nelle bietole è sempre legata alla rivegetazione
dopo le pioggie estivo autunnali, la riserva in zucchero delle radici
può assottigliarsi anche senza il sopravvento delle pioggie, e quindi
senza che occorra il fenomeno della brusca rivegetazione.
Si potranno, certo, con accorgimenti ed espedienti, ridurre le conseguenze
di una rapida e industrialmente intollerabile retrogradazione; né è
neppure estremamente improbabile che si possano trovare dei tipi nei quali la
tendenza si palesi in forma attenuata; ma sino a prova contraria, il precipitare
dei titoli della barbabietola va ritenuto, nelle condizioni di clima della Vallata
Padana, come assolutamente inevitabile. " A meno che nel vostro paese non
si sappia rinnovare il miracolo", ci diceva Andrlìk, e ci ripeterono
altri competenti e specialisti "voi italiani vi troverete nel vostro principale
centro di coltivazione quasi costantemente alle prese col fenomeno: quel fenomeno
che per noi ha solo la portata di una assoluta eccezione, qui verificandosi
un anno su dieci, mentre da voi è un anno su dieci in cui non si registri".
E in realtà la salvezza dell'industria della bassa valle Padana non
ha potuto finora concepirsi se non attraverso piegamenti alle imposizioni del
clima, cioè verso altri criteri di sfruttamento del materiale producibile:
la barbabietola da zucchero si è dovuta, in altri termini, considerare
"un'altra pianta", cioè una pianta nettamente diversa
e distinta da quella dell'Europa media. Invero, sino a che l'industria della
fabbricazione dello zucchero seguì in Italia, per il tempo della lavorazione
del prodotto, il criterio direttivo della media Europa, essa segnò un
costante e fatale insuccesso: riconosciuto essere l'ambiente, più che
la razza, che determina o favorisce l'accumularsi dello zucchero nella radice
e la sua più o meno rapida successiva scomparsa, l'industria, nella impossibilità
di adattare la pianta a sé stessa, comprese che era compito più
facile e più comodo adattare sé stessa alla pianta. Donde l'assioma
su cui tutti convennero: "occorre che le fabbriche lavorino presto e intensamente;
occorre che la totalità del raccolto sia esaurita nel periodo più
breve" (in certe annate il lavoro si compie in 40 giorni, da 1° agosto
a 10 settembre).
V'è di più: le esigenze inesorabili dell'industria richiedono
che il ciclo delle piante sia bruscamente stroncato, alle esigenze dell'industria
non solo ha trovato di che adattarsi l'agricoltura, ma senza codesta stessa
necessità industriale la bieticultura non avrebbe forse potuto affermarsi
in Italia o l'industria avrebbe dovuto piegarsi alle esigenze dell'agricoltura!
A differenza, infatti, di quanto accade nei paesi della media Europa, nei quali
è indifferente seminare il grano d'autunno o di primavera10,
sotto le condizioni del clima italiano l'esito della cultura frumentaria è
soltanto assicurato con le semine autunnali. Cosicché, se l'industria
della fabbricazione dello zucchero avesse
10) Quegli agricoltori dispongono, come è noto, di varietà così
dette scambiabili (blès alternatifs, Wechselweizen); ma, più che
ai tipi o varietà, il successo si deve all'andamento meteorologico.
Strane coincidenze del caso, per cui due situazioni, virtualmente in contrasto,
trovano in sé una reciproca e provvida conciliazione.
4.-Considerazioni sui criteri d'impostazione dei problemi relativi al miglioramento
della barbabietola in Italia e il concetto delle cosiddette "razze locali"
"Sforzarsi di avere il clima per sé, non contro si sé":
è facile impresa? e, aggiungiamo, è impresa possibile? o sono
in causa, come dicemmo, fattori climatici per loro stessa natura incoercibili,
manifestazioni contro le quali a nulla possono la forza e gli sforzi dell'uomo?
Certo, il complesso meteorologico costituisce un elemento esasperante per il
selezionatore italiano, che si trova spesso di faccia, da annata ad annata,
a decorsi così stridentemente diversi, da smarrire ogni orientamento
e ogni direttiva di azione nel proprio lavoro.
Ma poiché ad ogni modo il problema della ricerca delle così dette
"razze locali" si impone per la sua seduzione, vediamo di discutere
i termini partendo dal dato di fatto che in Italia ad eccezione delle
ristrette zone in altipiano la campagna industriale è già
chiusa quando nelle plaghe bieticole della media Europa gli stabilimenti giacciono
ancora inattivi. Viene spontaneo di pensare che, se la pianta reagisce in forma
diversa a condizioni esteriori sostanzialmente diverse, il selezionatore debba
adattare e subordinare il proprio lavoro al comportamento della pianta stessa,
in modo da metterne in potenza e in valore quelle attitudini che ne facciano
una materia prima in grado di soddisfare insieme alle esigenze dell'agricoltura
e quelle dell'industria.
Il criterio della espansione del fogliame.- Ci riallacciamo a tale riguardo
ai concetti precisati trattando delle correlazioni. E' accettato come caposaldo
assoluto nel campo dei selezionatori e degli studiosi della barbabietola che
se, come già osservammo, le bietole con più abbondante fogliame
sono anche le più ricche, tutti gli sforzi del selezionatore debbono
tendere ad esaltare detto carattere: il progressivo aumento della ricchezza
in zucchero delle radici sarebbe andato anzi di pari passo con la separazione
di soggetti più carichi di foglie. Concediamo per un istante che questo
concetto debba, nella sua massima, accettarsi senza discussione: ma può
il principio accogliersi egualmente senza discutere, allorché la barbabietola
si porti a vivere in plaghe meridionali a irregolarissima distribuzione delle
pioggie? Come abbiamo rilevato, una bietola a fogliame abbondante, quando la
temperatura sia molto elevata, e più o meno forte l'insolazione (il che
accade già non di rado alla fine di maggio nella bassa valle Padana),
offre così notevole superficie fogliare al giuoco degli agenti esterni,
così forte è la sperequazione tra acqua traspirata ed acqua assorbita
, da aversi, prima ancora della canicola, tutta la corona di lembi floscia e
prostrata, fenomeno che può talvolta prolungarsi sino alle 4-5 del pomeriggio.
E' una situazione di così palese inferiorità da far chiedere se
non fosse da un lato da preferirsi un tipo di bietola a fogliame relativamente
poco espanso e, come tale, capace di mantenersi turgido in gran parte delle
ore più calde, in modo da potere, non sospendendo la sua attività
elaboratrice, compiere in una giornata, e quindi in capo a un determinato periodo,
una maggiore quantità di lavoro. Ma se, viceversa, la primavera decorre
asciutta, e non è difficile che accada, allora non costituirebbe a sua
volta un'arma a doppio taglio un fogliame poco abbondante?
Il momento in cui effettuare la scelta del materiale. Scelta in agosto
settembre o nel tardo autunno dopo retrogradazione?- Mentre il selezionatore
può nella media Europa procedere al lavoro di scelta del proprio materiale
nel periodo che coincide con l'epoca abituale di utilizzazione delle barbabietole
in fabbrica, e cioè nel tardo autunno, nella quale epoca le bietole hanno
il loro maggiore valore industriale, la situazione si presenta con tutt'altro
e distinto aspetto nella bassa valle Padana.
Che cosa accade invero delle barbabietole seminate in marzo, ossia all'epoca
normale per la nostra plaga, allorché esse si lascino in terra fino all'ottobre
novembre? Esse hanno, particolarmente nei terreni più fertili,
perduto in gran parte la loro forma tipica: la testa è divenuta più
o meno voluminosa e sporgente; la ricchezza è generalmente abbassata
a limiti estremi, e altrettanto dicasi per la purezza. Procedere alla scelta
dei soggetti che nelle dette condizioni si palesino relativamente più
ricchi (o meno poveri), partendo dal supposto che le bietole che presentano
le più alte ricchezze in ottobre novembre, fossero relativamente
le più ricche anche in agosto settembre, e viceversa? Nostre ripetute
osservazioni ci avevano già in passato permesso di rilevare, come dicemmo,
che la percentuale in zucchero registrata da una bietola in ottobre-novembre
non è in assoluta e costante correlazione con la percentuale che quella
bietola avrebbe segnata se si fosse analizzata due o più mesi innanzi:
donde la impossibilità di un giudizio sicuro11.
11) In un campo l'accumularsi dello zucchero nelle bietole segue decorsi diversissimi
da individuo a individuo: e, per quanto le masse segnino oscillazioni medie
globali facilmente prevedibili, pur tuttavia ciascun individuo percorre una
parabola propria. Al sopravvenire delle pioggie pesanti autunnali il fenomeno
della rivegetazione si manifesta pur esso in modo differente da individuo a
individuo con conseguente diversa perdita di zucchero per la formazione di nuove
foglie, ma ad un dato momento le bietole sono in grado di ripigliare le loro
funzioni che ad esse consentono di aumentare di peso e di accumulare altro zucchero
proporzionalmente alla vigoria e alla espansione assunta da fogliame ripullulato.
L'aumento di peso può essere notevole, ma in tale caso la ricchezza percentuale
solitamente si appalesa molto bassa; viceversa una radice può presentare
nello stesso momento un titolo relativamente molto più alto, semplicemente
perché da agosto in avanti il suo peso si è soltanto modestamente
accresciuto; e può accadere in fine che una barbabietola segni in ottobre
una ricchezza perfino superiore a quella che avrebbe registrato due mesi innanzi".
(O.Munerati, G. Mezzadroli, T.V. Zapparoli, le variazioni, ecc.).
Sorse anche l'idea di seminare a maggio avanzato, in modo da avere le bietole
"mature" in ottobre-novembre; ma codesta procedura allontana manifestamente
dalle condizioni e dal regime normale, e, a rigore, dovrebb'essere esclusa.
Né il principio di portare il centro di selezione in un altopiano potrebbe
essere a sua volta logicamente e
LA BETA VULGARIS L.
DA ELENCARSI TRA LE FORME AUTOSTERILI?
1.- La tesi di H. B. Shaw.
Se era già da lungo e senza discussione accettato che nella barbabietola
non può verificarsi in natura un vero processo di autofecondazione1,
non era stato mai però sollevato dubbio di sorta circa la possibilità
che il polline del fiore di un individuo potesse fecondare gli ovuli di altri
fiori dello stesso individuo; C. Darwin, che pure annovera la Beta vulgaris
tra le piante che traggono maggiore vigoria da un processo di fecondazione incrociata
(1876), non solo non include la specie fra quelle autosterili, ma la dichiara
anzi "molto autofertile". Né la specie venne mai elencata tra
le autosterili dagli AA. Che successivamente si occuparono dello stesso suggestivo
problema, sia trattato in senso generico, sia in rapporto a piante determinate
(cfr. R.H. Compton, 1913; E.M. East, 1915; A.B. Stout, 1916,1917,1918; East
e Park, 1917; Moore, 1917). Né alcuno degli investigatori, che si accinsero
a migliorare la barbabietola col metodo genealogico, rimase esitante di fronte
alla procedura in sé e per sé medesima, né alcuno dei selezionatori
pratici poté anche lontanamente pensarvi.
1) Come è noto, il fiore della bietola è proterandrico, come
dimostrarono C. Darwin e W. Rimpau. Allorché le antere lasciano uscire
il polline, gli stigmi sono piccoli, eretti e non divengono recettivi se non
un paio di giorni dopo la schiusura del fiore, cioè quando le antere
sono avvizzite o cadute; il polline di un fiore non può perciò
fecondare l'ovario dello stesso fiore. Sorge tosto il quesito: raccogliendo
e conservando per un paio di giorni il polline di un fiore per fecondare lo
stigma, nel frattempo divenuto maturo, dello stesso fiore, è possibile
di conseguire la fertilizzazione? H. Briem avrebbe avuto resultanze positive.
H.B.Shaw, d'altro canto, dichiara (1916) di non avere potuto confermare l'assunto
di Briem: dopo avere constatato che il polline delle bietole può essere
conservato per lungo tempo, il Shaw compì una serie di prove di impollinazione
artificiale e chiusura in sacchetti di carta per determinare se alla proterandria
si poteva ovviare preservando separatamente il polline di singoli fiori, raccolto
all'atto della deiscenza delle antere, e applicando poi il polline ai rispettivi
fiori nel momento in cui i corrispondenti stigmi erano divenuti ricettivi. L'esperimento
fu compiuto con parecchie centinaia di fiori: tutti i fiori così autoimpollinati
(lo sperimentatore concludeva) rimasero sterili.
Orbene, per H.B.Shaw (1916) le dimostrazioni offerte e i dati pubblicati da
diversi e pur autorevoli sperimentatori non sono proibitive: è certo
per lo meno che il sistema, quale è nella consuetudine, di racchiudere
le bietole in isolatori di tela, non impedisce la fecondazione incrociata; il
vento e gli insetti costituiscono veicoli altrettanto efficaci quanto pressoché
insospettati di polline anche in bietole chiuse. L'A. si procurò, da
alcuni selezionatori dell'Europa centrale, dei campioni di tela, che dai medesimi
venivano adoperati allo scopo; e constatò facilmente che il polline,
trasportato dal vento, passava anche attraverso la tela a trama la più
serrata, quale corrispondeva al campione a maglia più fitta (26 fili
per centimetro) avuto dall'Europa e parimenti da lui personalmente impiegato.
Viceversa, gli scapi racchiusi in sacchetti di carta oleata, quando si sia operato
con le volute cautele ad evitare l'entrata, diretta o indiretta, di polline
estraneo, rimangono sterili.
Ma v'ha di più: ed è qui, anzi, dove la originalità e
la genialità del Shaw si sono soprattutto affermate. Gli studiosi (C.
Fruwirth, 1910; Shaw, 1916) sono d'accordo per non attribuire al vento una grande
efficienza quale agente trasportatore a distanza del polline di barbabietola,
che non si suddivide facilmente: non sono però forniti al riguardo elementi
precisi, il che è facile di comprendere per le difficoltà insite
a ricerche del genere, per le quali abbiamo noi pure in corso osservazioni.
Più efficaci e, senza eccezione, riconosciuti veicoli di polline di bietola
a distanza vanno invece considerati gli insetti, i quali potrebbero superare
anche percorsi di diversi chilometri (cfr. Wasiljew, 1912; Uzel,1913)2.
Però, siccome nella fattispecie si tratta più semplicemente di
stabilire quale contributo possa essere recato dagli insetti nella fecondazione
dei fiori di una bietola isolata mercé il polline trasportato e naturalmente
assunto da altre bietole in fioritura più o meno prossime, non è
ammissibile che di soffermarsi sugli insetti molto minuti, capaci di insinuarsi
attraverso gli interstizi della tela posta a protezione dei soggetti. Orbene:
era già stato merito del Shaw (1914) di avere rivelato come si debba
alle Thrips, tra gli agenti disseminatori di polline di bietola, una
importanza e una portata di prim'ordine: le Thrips passano agevolmente
attraverso il reticolo di una tela anche molto fitta, così da giungere
a fertilizzare i fiori di bietola ritenute al riparo dall'apporto di polline
straniero, colpendo in pieno e da tergo il selezionatore suppostosi al sicuro
da ogni sorpresa. La fecondazione in fiori inseriti su scapi racchiusi in sacchetti
di carta non si ebbe, nelle esperienze del Shaw, se non con l'inclusione di
Thrips tolte da bietole in fiore oppure per opera di Thrips penetrate
occasionalmente e furtivamente attraverso la bocca dei sacchetti non completamente
aderenti alla base degli scapi medesimi.
2) Certi insetti possono portarsi, e non sempre, come si suppone, in direzione
del vento, a distanze veramente paraboliche, sino a quindici miglia, secondo
Bishopp e Lacke (1919). Per le api il Wasiljew dà una distanza di tre
chilometri.
Lo sperimentatore volle complicare le sue ricerche determinando con vari saggi
come reagiscano gli stigmi dei fiori di una barbabietola a contatto del polline
dello stesso individuo o di altri soggetti: così il polline preso da
certi fiori di uno scapo fu posto sugli stimmi di altri fiori dello stesso scapo;
oppure il polline dei fiori di uno scapo venne portato sugli stimmi dei fiori
di un altro scapo della stessa pianta; oppure, infine, il polline dei fiori
di una pianta fu portato sui fiori di un'altra pianta. Non basta: essendovi,
nelle condizioni normali, un solo metodo di isolamento capace di preservare
una bietola in fiore dall'apporto di polline estraneo, cioè il metodo
di collocare le singole bietole molto lontane le une dalle altre, così
il Shaw effettuò anche un altro esperimento ponendo otto bietole a fruttificare
in altrettanti poderi separati da distanze di circa due miglia e in una plaga
dove notoriamente non erano coltivate altre barbabietole. Alcuni soggetti rimasero
completamente sterili, gli altri abbonirono quantità minime di seme.
Le risultanze vengono dall'A. fissate in prospetto che riportiamo:
2-Punti oscuri nelle indagini del Shaw
Va reso omaggio all'attivo sperimentatore americano per avere coraggiosamente
gettato sul tappeto una questione, sulla quale nessuno si sentiva più
ormai di dover sollevare, come dicevamo, il minimo dubbio; ed è, il suo
merito, incontrastabile, anche perché le ricerche, che andranno indubbiamente
a istituirsi, permetteranno di chiarire alcuni punti, che rimangono in ombra
più che mai.
Così: come spiegare il contrasto tra l'abbonimento di quasi il 9% di
semi con piante autoimpollinate col metodo dell'isolamento cellare e l'abbonimento
da zero a due e ventinove per cento con piante autoimpollinate col metodo dell'isolamento
spaziale? Se nel primo caso l'impollinazione fu compiuta a mano, nel secondo
caso non avrebbero dovuto agire, a maggior ragione e con maggio efficacia, il
giuoco dell'aria e l'opera degli insetti? Né potrebbe, a ragion veduta,
attribuirsi il successo alla semplice manualità operativa nel primo caso,
perché se il polline di una pianta non possiede in sé la facoltà
di fertilizzare gli ovari della stessa pianta, non può certo l'intimo
attributo essere alterato o modificato dal sistema dell'impollinazione.
E quale sarebbe stato il responso di una pianta se questa si fosse frazionata
in due o quattro parti e vi fosse stato uno scambio di polline fra i fiori degli
scapi delle rispettive metà o quarti? E se, al riguardo delle resultanze
registrate col metodo dell'isolamento spaziale, supposto che accanto ad una
determinata bietola, ove questa fu messa a fruttificare isolatamente, se ne
fossero collocate un'altra o due, in modo da garantire caso per caso uno scambio
di polline tra i soggetti dei singoli gruppi, la fertilizzazione sarebbe stata
sempre decisamente assicurata per un numero molto maggiore di ovari? A noi è
occorso, non di rado, di non ottenere seme da una bietola, pur regolarmente
giunta a piena fioritura, anche se in coppia o in gruppo con altre bietole,
senza che una spiegazione plausibile ci fosse dato di avanzare3.
Ora, pure ammettendo che tutte le ipotesi giungano a far ritenere l'assunto
di H.B. Shaw come altamente probabile, una controprova sarebbe apparsa necessaria.
3) Altri sperimentatori avevano fatta la medesima constatazione. (Cfr.Cron,
1912).
Il Show reca poi, nella sua memoria, una riproduzione fotografica nella quale
sono raffigurate diverse bietole isolate frammezzo a soggetti liberamente fruttificanti;
ma non è, come è agevole di comprendere, codesta la procedura
per mettere nelle condizioni più corrette un esperimento. Il passaggio
del polline attraverso la maglia della tela, può, infatti, compiersi
in tal modo con estrema facilità ad ogni colpo di vento. Se, viceversa,
tutte le bietole di un dato gruppo vengono isolate così come è
nel nostro sistema- le probabilità di un passaggio di polline da un isolatore
ad un altro per opera del vento vanno logicamente considerate incomparabilmente
minori. Aggiungeremo che il pericolo di un trasporto di polline per mezzo del
vento da eventuali soggetti in fioritura a distanza può sopprimersi,
o ridursi praticamente quasi a zero, sia invigilando a che bietole in fiore
non sfuggano nei paraggi dell'appezzamento nel quale sono raccolte le bietole
isolate, sia circondando, per maggior precauzione, l'appezzamento medesimo o
gli speciali riquadri di esso mediante grossi filtri vegetali.
Osservisi, inoltre, che il disegno schematico, offerto dall'A., rappresentante
un frammento del tessuto della tela isolante, non è nettamente figurativo:
più che di una trama di fibre sembra trattarsi di un reticolo metallico.
In realtà, Nella sua comunicazione, infine, il Shaw non accenna se i semi provenienti
dalle bietole isolate abbiano palesato o meno una soddisfacente germinazione
il che ha, ai riguardi del problema, come vedremo, un'importanza fondamentale
e quali potessero essere i caratteri morfologici e chimici dei discendenti
dei singoli soggetti che produssero seme.
3- I nostri primi rilievi sul problema dell'auto impollinazione.
Le nostre prime osservazioni risalgono al 1912, cioè al primo anno di
funzionamento del nostro Istituto, ma avevano finalità ben diverse e
distinte:1°) di accertare se l'autoimpollinazione determini una degenerazione
del tipo e se fosse stato possibile chiarire il meccanismo atto a interpretare
la comparsa di soggetti colorati tra le discendenze di bietole individuate a
radice bianca (cap.V); 2°) di precisare i sistemi migliori di isolamento
per assicurarsi contro una contaminazione da polline straniero. Perciò
mettemmo a fruttificare bietole zuccherine bianche alternate con foraggere colorate,
a distanza diverse, isolate o no, e per i soggetti isolati adottando tipi di
tela a maglia diversamente fitta.
Le nostre constatazioni erano fin dall'inizio assolutamente probative: la
possibilità di un trasporto di polline da bietola a bietola appariva
nella sua pienezza, in modo particolare se una foraggera colorata era lasciata
libera a fruttificare tra zuccherine bianche isolate, e neppure la tela a maglia
più fitta giungeva ad evitare la penetrazione di polline estraneo; né
la contaminazione si annullava anche nel caso in cui tutti i soggetti di un
gruppo fossero stati isolati.
Era, dunque, una preventiva netta indiretta conferma dei rilievi del Shaw,
e cioè che il vento (in particolar modo se si lasciano bietole libere
tra bietole isolate) e gli insetti minuscoli costituiscono veicoli di notevole
efficienza nella disseminazione del polline. Comparsa nel 1916 la Memoria del
Shaw, comprendemmo tosto la profondità e la gravità della osservazione
dello stesso A. (non sufficientemente ancora tenuta nel debito conto dagli studiosi
dei problemi dell'incrocio), riferentesi alla circospezione e alla prevenzione
con cui debba in massima giudicarsi, con l'elemento di incertezza recato dall'intervento
delle Thrips, una conclusione che si tenda a far scaturire da prove di
isolamento di soggetti di una specie qualsiasi.
Le constatazioni nostre tuttavia, quanto alla portata e all'entità
dell'opera dei sottili ed agili insetti quali agenti di contaminazione di bietole
isolate, porrebbero il concorso delle Thrips molto al disotto del livello
cui le colloca il Shaw: primo, perché le Thrips non sono in questa
nostra plaga numericamente abbondantissime, il che occorre invece nell'America
del Nord, in Australia, ecc., al punto di essere gli insetti in discorso classificati
fra i nemici non di rado assai dannosi delle colture in genere e della stessa
barbabietola (Shaw, 1914; White, 1916); in secondo luogo perché l'isolamento
di tutti i soggetti di un gruppo costituisce anche per sé una certa barriera
ai movimenti degli insetti stessi. Col metodo del controllo a mezzo di piante
rivelatrici, di cui diremo più innanzi, venivamo poi a formarci il convincimento
che le Thrips, a differenza di altri insetti, non sono capaci di superare
grandi distanze, il che è appunto ammesso generalmente dagli entomologi,
e neppure il Shaw lo contesta (1914).
Va, però, come aggravante, ricordato che il periodo di fioritura nelle
bietole ha una durata lunghissima (oltre quaranta giorni), onde il giuoco degli
agenti disseminatori di polline si intensifica nel tempo.
In complesso: subito fin dalle prime verifiche ci appariva intanto recisamente
dimostrato che è una mera illusione quella di ritenere quali derivati
da un processo di autofertilizzazione tutti i soggetti in discendenza
di un'unica madre isolata posta a fruttificare accanto ad altre, parimenti isolate.
Nello stesso tempo ci si affacciava l'idea di arrivare più rapidamente
ad una soddisfacente epurazione di un tipo attraverso il sistema della fruttificazione
in coppie di soggetti derivati da una stessa madre e presentati caratteri morfologici
e attributi chimici similari.
4- Impostazione di ricerche speciali
Da quanto siamo andati sommariamente notando, era naturale che la tesi affacciata
dal Show non ci trovasse scoperti; ma la necessità di più accurate
e di immediate indagini, a fine di uno specifico controllo, s'imponeva.
Due strade ci si offrivano: o isolamento spaziale oppure isolamento cellare.
Ma poiché il primo metodo presenta non lievi difficoltà allorquando
si tratti di seguire a distanza un cospicuo numero di soggetti4,
pensammo, anche per avere nei risultati una controprova, di impostare le nostre
ricerche sopra tutto appoggiandoci al sistema dell'isolamento spaziale. In ogni
caso le indagini, non scostandosi, in caposaldo, da quelle già da noi
compiute in precedenza, dovevano tendere a stabilire l'entità dell'intervento
del polline estraneo nel determinare il processo di fertilizzazione di una bietola
isolata attraverso il comportamento dei discendenti della stessa bietola riferito
alla dominanza e remissività ancorché non assoluta5,
di alcuni caratteri così decisi e così appariscenti per cui non
potesse sorgere incertezza. Codesto metodo indiretto di diagnosi, da noi messo
in valore, come dicevamo, sino dal 1912 e che abbiamo visto con eguale successo
adottato anche da altri sperimentatori (ad es. da Heribert-Nilsson, 1917, per
la segale e da Tjebbes, 1917, per la stessa barbabietola), non potrebbe offrire
una chiave più sicura.
4) Osserveremo incidentalmente che il Show pone giustamente, tra le difficoltà
che insorgono contro l'isolamento spaziale, quella di garantirsi da eventuali
contaminazioni per polline straniero proveniente da bietole ortensi qua e là
coltivate. Per accertarsi tuttavia se, o meno, l'ibridazione possa essere occorsa,
basta seguire i discendenti immediati della madre, e l'esame non può
aprire adito a dubbio; anzi, è il metodo di riprova che noi seguiamo
di abitudine.
5) Nella grande pluralità dei casi, come è noto, un carattere
è solo imperfettamente dominante, e così accade anche nel caso
di prodotti di incrocio di bietole presentanti coppie di caratteri in contrasto.
ad esempio, l'intensità del colore di un soggetto derivato dall'incrocio
di una bietola colorata (rossa o gialla) per una bianca si presente meno viva
rispetto a quella del soggetto colorato che diede origina all'ibrido: però
tra un soggetto a pelle decisamente bianca e un soggetto a pelle decisamente
colorata, anche se di una tinta meno viva di quella del tipo "puro",
la esitazione non può neppure per un istante affacciarsi.
Tra i caratteri in contrasto, che nel prodotto in prima generazione si appalesano
pressoché sempre
a) la dominanza della colorazione rossa o gialla di una radice (foraggera ed
ortense) sull'assenza del pigmento (nella zuccherina normale);
b) la dominanza della tendenza all'annualità di fronte ad un accertato
equilibrio biennale;
c) la dominanza del "tipo selvaggio" sul tipo "coltivato";
6) Le cose si complicano allorquando, come noi pure avevamo frequentemente
l'opportunità di verificare, non è più il rosso (o il giallo)m
che domina sul bianco, ma è il contrario che accade. Si tratta, qui,
di uno di quei casi così chiamati a mascheramento dell'ignoranza
del fenomeno di dominanza del recessivo. Le constatazioni e i dati da
noi raccolti a quest'ultimo riguardo sono più che mai interessanti e
curiosi; e lo studio degli attributi chimici dei soggetti in causa è
pure dei più attraenti. Ma, ad ogni modo, le eccezioni non turbano minimamente
la portata dei rilievi che ci interessano nel caso speciale, anche perché
un'analisi individuale permette di distinguere nettamente e perciò sperare
un soggetto "puro" da un soggetto ibrido.
Il carattere della dominanza segue fedelmente la regola, cioè appare
nel prodotto di prima generazione anche negli incroci reciproci7.
7) Così, se funge da impollinate un soggetto a radice colorata (rossa
o gialla) quali sono in gran parte le comuni bietole foraggere od ortensi, e
la matrice è a radice bianca (comune bietola da zucchero), il prodotto
che ne risulta ha pelle più o meno fortemente colorata: esso cioè
ripete il carattere dell'impollinante. Se funge da impollinante una bietola
a radice bianca e la matrice è un soggetto a radice colorata, il soggetto
che ne deriva ha egualmente la pelle colorata. Altrettanto dicasi nel caso dell'incrocio
tra una biennale e una annuale, tra il tipo selvaggio e coltivato ecc. Si comprende
che, nel caso di incroci tra bietole foraggere od ortensi colorate e bietole
zuccherine bianche, va qui fatta astrazione da altri caratteri quali la forma,
la tendenza a sporgere o meno, il contenuto in saccarosio e sostanze riducenti,
ecc., il cui comportamento segue in massima altre regole.
Per comodità di studio e per maggiore facilità di diagnosi e
di controllo (la tendenza all'annualità, ad es. nel caso in cui b,
può essere perturbata da condizioni esteriori, quali la natura del
terreno, il tempo di semina, l'andamento della stagione ecc.) abbiamo data larga
preferenza alle combinazioni della prima serie (a), ponendo prevalentemente
a fruttificare varii gruppi costituiti da una zuccherina bianca attorniata da
foraggere od ortensi colorate. In certi casi la zuccherina bianca isolata era
circondata da colorate, similmente isolate; in altri casi una zuccherina isolata
era posta tra colorate lasciate libere; in altri casi tanto la zuccherina quanto
i soggetti a pelle colorata, che le si mettevano d'attorno, erano lasciati a
fiorire e a fruttificare completamente liberi. Altri gruppi in corrispondenza
dovevano naturalmente servire da controprova.
Mentre ci riserbiamo di coordinare tutti i numerosi elementi ormai raccolti,
compresi i dati sulla composizione individuale dei soggetti ibridi o
puri o presunti tali (un lato codesto che è stato sempre a gran torto
trascurato nello studio della ibridazione delle bietole, così che varii
studiosi furono portati fuori strada) e di discutere e meglio precisare varie
circostanze soltanto un valore di relatività o di grande media:
Le bietole di altri gruppi costituiti secondo lo stesso criterio informativo
furono invece dislocati, in vaso8, in altrettanti giardini protetti
da edifici e a distanza variabili, ed ivi lasciate a fruttificare senza isolatore.
Qui la percentuale di discendenti colorati derivati da soggetti a radice bianca
si presentò sempre più bassa, non giungendo mai a superare il
30%.
8) Il metodo del dislocamento dei vasi offre il grande vantaggio che questi
possono essere portati a dimora solo quando le bietole cominciano a emettere
gli scapi: con la precauzione elementare di tenere a disposizione un numero
di soggetti in vaso molto superiore a quello strettamente necessario, è
possibile di formare i gruppi con bietole presentanti tendenza a una fioritura
simultanea.
Guardando al responso delle nostre prove, è logico di presumere che,
se da un soggetto a radice bianca fruttificante in così speciali condizioni,
cioè tutto attorniato da soggetti rossi, si originano individui a radice
bianca, si debba concludere essere questi individui derivati da un processo
di impollinazione tra i fiori del medesimo soggetto (fecondazione chiusa). Sarebbe,
infatti, contrario ad ogni verosimiglianza, quasi assurdo, il supporre che il
polline sia stato portato sugli stimmi della zuccherina (veicoli il vento o
gli insetti) da altre zuccherine più o meno remote, anziché dalle
colorate più o meno contigue.
Mettendo, poi, a fruttificare isolati, col metodo dell'isolamento spaziale,
dei soggetti ibridi, derivanti ad esempio da una matrice zuccherina impollinata
da una foraggera (o viceversa), abbiamo tra i discendenti registrato tanto bietole
a radice bianca tipo zuccherino quanto bietole colorate tipo foraggero: questa
comparsa di soggetti, che trova la sua elementare esplicazione in un semplice
fenomeno di disgiunzione, dovrebbe altrimenti interpretarsi ammettendo un apporto
simultaneo di polline sia da bietole zuccherine sia da bietole foraggere degli
stessi tipi di quelle che concorsero a formare l'ibrido, il che appare del tutto
inammissibile, o almeno inammissibile lo reputiamo alle nostre prove.
Aggiungasi, infine, la relativa facilità con la quale, mediante l'isolamento,
si possono separare tipi devianti (forme estratte dalle loro combinazioni complesse).
5.- Discussione dei risultati e necessità di nuovi studi
Innanzi tutto, e prendendo il problema dal punto di vista generale, esiste
una auto-incompatibilità assoluta? Gli Né potrebbe omettersi di dare il voluto peso, per la stessa barbabietola,
al fattore individuale. La divergenza delle cifre del Shaw, da ricercarsi anche
certamente nel numero relativamente molto esiguo dei soggetti su cui vennero
limitate le osservazioni, potrebbe essere in parte spiegata invocando la portata
dell'individualità, tanto più che si hanno non di rado scarsi
e cattivi glomeruli perfino da bietole poste, come si disse, a fruttificare
libere e in massa e apparentemente normali. Aggiungiamo che, dai nostri rilievi,
sembrerebbe che il carattere della tendenza alla cospicua autosterilità
oppure, viceversa, ad una relativa autofertilità, fosse da iscriversi
fra gli attributi di progenie.
Or sarebbe possibile di conciliare le conclusioni del Shaw con quelle di altri
sperimentatori e con quelle delle prove condotte, crediamo con bastevole rigore,
da noi stessi, ammettendo che anche la bietola sia una di quelle specie che
possono comportarsi come relativamente autofertili o come relativamente autosterili,
secondo le circostanze esteriori sotto le quali svolgono il loro ciclo?9.
9) Viene citato il caso della Eschscholtzia californica, completamente
autosterile nel Brasile, non completamente autosterile in Germania: semi introdotti
dal Brasile in Inghilterra diedero piante discretamente autofertili in una prima
generazione ed il fenomeno fu più appariscente in una seconda generazione;
per contro, semi ottenuti da piante autofertili in Inghilterra davano in Brasile
delle piante che, attraverso due generazioni, apparivano del tutto autosterili.
Similmente l'Abutilon Darwinii, autosterile nel nativo Brasile, è
moderatamente autofertile in Inghilterra. Nel Brasile sarebbe notevole il numero
delle specie comportantisi come autosterili. Darwin attribuirebbe il diverso
contegno all'andamento climatico, e soprattutto legherebbe la constatata autofertilità
di varie specie in Inghilterra alle più basse temperature (C. Darwin,
1876, pp. 331, 335).
Ed è la indubbia, almeno relativa o parziale, autosterilità,
legata al problema della conservazione della vigoria della forma, la quale non
potrebbe essere assicurata se non attraverso lo stimolo di una fecondazione
incrociata? Il quesito, ha stretto contatto con quello che ci accingiamo a discutere
tra breve.
Certo uno studio, già invocato anche per altre piante, comparativo e
parallelo, s'impone: soltanto così si giungerebbe a chiarire forse diverse
importantissime questioni, che vanno considerate ancora prudentemente aperte.
Un'altra serie di indagini delle quali alcune iniziate da noi medesime
si rende anche necessaria per stabilire, se sia possibile, la ragione
del diverso comportamento da individuo a individuo, se la tendenza sia ereditaria,
e se si possa, alla stregua delle scarse conoscenze che si hanno sull'argomento,
spiegare l'assoluta ingerminabilità dei semi apparentemente normali di
certi soggetti.
6.- Per il lavoro nel campo dell'applicazione
Anche, e ad ogni modo e in ogni caso, accettate le cifre offerte dal Shaw,
il concetto della così detta selezione individuale dovrebbe essere per
ciò destinata a perdere la sua fondamentale funzione; e la procedura
dell'isolamento il suo scopo e la sue efficienza? Pur concesso che una bietola
isolata e fertilizzata col proprio polline dia solo il due per cento di seme
rispetto alla quantità che essa avrebbe potuto produrre nel caso in cui
si fosse posta a fruttificare libera e in massa, e data una produzione media
di 150 grammi di seme per ogni pianta normale, il selezionatore avrebbe sempre
disponibili circa 150 grammi di seme per ogni pianta normale, il selezionatore
avrebbe sempre disponibili circa tre grammi di seme, cioè circa 150 glomeruli.
Se il seme fosse sterile ed è uno dei punti non chiariti, come
vedemmo, dal Shaw il cerchio si chiuderebbe inesorabile. Supposta, invece,
una germinabilità del 6070 per cento, si avrebbero sempre, a diradamento
effettuato,40-50 soggetti, ossia un numero più che sufficiente per giudicare
le qualità e le attitudini dei discendenti di un soggetto. Superato questo
punto critico, il lavoro camminerebbe ulteriormente da sé.
Ammesso poi di avere, col comune metodo di isolamento, una contaminazione
per vicinismo del 50-60 per cento, col procedimento da noi adottato della fruttificazione
in coppia dei discendenti da una determinata madre, si giungono a costituire
progenie le quali dovrebbero, con quasi assoluta certezza, considerarsi la reale
continuazione diretta di un determinato soggetto.
Evidentemente, non siamo in grado di affermare se, in realtà, una separazione
di progenie sia oggi feconda di resultamenti pratici; ma quanto alla
bontà della procedura dell'isolamento, integrata, sia col metodo della
fruttificazione in coppia dei discendenti di una madre, sia con l'adozione di
altri accorgimenti, di cui ci occuperemo più innanzi, la procedura stessa
non subisce, anche attraverso i rilievi di H.B. Shaw, un contraccolpo esiziale.
LA DEGENERAZIONE SEGUE L'AUTOFERTILIZZAZIONE?
Le accuse mosse contro il principio dell'isolamento, cioè contro il
processo di autofertilizzazione nella barbabietola, rientrano nel quadro della
degenerazione delle piante a fecondazione normalmente incrociata e sottoposte
a forzata autoimpollinazione e degli animali in riproduzione tra consanguinei,
problema che, come è notorio, ha trovato, tra i biologi dello scorso
secolo, il suo più forte assertore in Carlo Darwin; ed è rimasto
celebre il detto, che va conosciuto come di legge di Darwin-Kight: "La
natura aborre dalla perpetua autofertilizzazione". E sotto il termine generico
di "degenerazione" vanno appunto conglobati quei fenomeni per i quali
l'autofecondazione nelle
1.- Il problema in riferimento alla barbabietola
Mancando una bibliografia abbastanza recente sull'argomento, alla quale poterci
riferire, qui preciseremo innanzitutto, e con una certa larghezza, l'ordine
delle accuse che vennero successivamente lanciate contro il sistema nel caso
speciale della barbabietola: C. Darwin (1876), in una delle sue più note
e classiche opere, accenna anche ad osservazioni compiute sulla Beta vulgaris.
Il Darwin limitò il suo esame a pochissime piante, anzi, meglio, a tre
piante, di cui una lasciata a fruttificare da sola in un giardino, le altre
due accanto in un altro spazio chiuso. Le conseguenze dell'autofertilizzazione
si rilevarono attraverso una debole germinazione e scarsa vigoria delle piante
nel primo caso, e per una minore altezza degli scapi nel secondo anno delle
bietole derivate dallo stesso soggetto autoimpollinato; nessuna comparsa è
segnalata di soggetti a pelle colorata. Lo stesso indagatore però, in
altra parte della sua opera, non attribuisce grande valore alle sue constatazioni.
Da aggiungersi che la procedura seguita nella impostazione e nel corso dell'esperimento
non apparirebbe oggi del tutto scevra da critica. Comunque, i risultati del
Darwin non ebbero alcuna eco nel campo dei selezionatori, né discussioni
vennero sollevate in quello degli studiosi.
W. Bartos (1897) segnala una certa percentuale di soggetti a radice colorata,
rossi o gialli, tra i discendenti delle bietole comportatesi come annuali (prefiorite).
Siccome le bietole salgono a seme scalarmente, dato che in una annata vi siano
poche bietole che montino anzitempo in seme, l'autoimpollinazione è la
regola, e tra gli altri sintomi di degenerazione (ché, secondo l'A.,
la salita in seme il primo anno non sarebbe altro se non un segno degenerativo)
si verifica insieme anche la comparsa di soggetti a pelle colorata e con simultanee
forti deviazioni nella forma e in altri caratteri. Passano oltre vent'anni e
la questione viene risollevata da M. Gaillot (1919), che emette lo stesso avviso.
E. Laurent (1902) per stabilire il valore delle discendenza dei soggetti che
si appalesano all'analisi estremamente ricchi, mise a fruttificare nel 1898
isolatamente una bietola del raccolto dell'anno precedente, del peso di 480
grammi e col 23.3 per cento di zucchero: si trattava, in altri termini, di un
individuo del tutto trascendente, in quanto le più alte ricchezze registrate
nell'epoca si aggiravano tra il 17 e il 18 per cento. La bietola fu trapiantata
in un appezzamento circondato da costruzioni che la isolavano da piantagioni
vicine, né vi erano, ad informazione dell'A., bietole portaseme appartenenti
ad altre varietà nelle vicinanze, anche a grande distanza. Tra i discendenti,
il 10% presentò pelle colorata rossa o gialla; gli altri avevano la pelle
bianca come quella dei soggetti delle varietà in selezione. La ricchezza
di tutti quanti i discendenti apparve inoltre molto più bassa di quella
della madre: il soggetto più ricco segnò il 18.8%, il più
povero il 10%; il maggior numero aveva il contenuto zuccherino oscillante tra
il 12 e il 14%.
Ecco dunque dice il Laurent una pianta coltivata da lunghi anni
e i cui caratteri offrono comunemente una notevole stabilità: sopravviene
un individuo, che dal punto di vista di un attributo speciale (la ricchezza
in zucchero) costituisce una reale anomalia; e questa pianta genera discendenti,
fra i quali più del 10 % fanno ritorno a tipi primitivi rosa o gialli
da cui deriva, senza alcun dubbio, la nostra varietà coltivata. E' un
curiosissimo caso di atavismo. Ma non è tutto: il tenore in zucchero
nei discendenti presenta ugualmente variazioni profonde. Due altre bietole della
stessa varietà, analizzate nell'autunno 1898, dosavano il 23% di zucchero
e pesavano rispettivamente 520 e 600 grammi: egualmente isolate nel 1899, il
loro seme fu affidato al terreno nel 1890. I discendenti di entrambe apparvero
di una ricchezza mediocre: "una degenerazione completa delle bietole a
ricchezza zuccherina straordinaria" rileva lo sperimentatore; ma non furono
però osservate radici a pelle rosa o gialla come l'anno precedente.
H. Brien (1904) ha ottenuto 131 grammi di seme da una bietola spazialmente
isolata in un giardino, contro 300-400 grammi di media da bietole dello stesso
peso, ma fruttificanti in massa; nel primo caso il seme era più piccolo
e più leggiero, ma non a germinabilità soverchiamente bassa (64%
di glomeruli germinati).
K. Andrlìk e coll. (1908-1909) osservarono nel 1908 tra i discendenti
di bietole isolate un certo numero di soggetti a radice rossa e gialla, che
hanno ritenuto di dover considerare come manifestazione di degenerazione in
conseguenza dell'autoimpollinazione. In ulteriori ricerche il fenomeno si presentava
loro in forma ancora più cospicua: " l'influenza degenerativa"
si rese evidente non solo con la comparsa di bietole colorate (rosse e gialle),
ma ancora con un cambiamento di forma della radice e della testa, che in alcuni
soggetti era inverdita e sporgente; anche il contenuto in zucchero era abbassato;
il tessuto in molti individui legnoso, ecc.. Secondo gli AA.I fenomeni di degenerazione
sarebbero indotti anche, oltreché dall'isolamento, dalla sofferenza delle
piante, quale può aversi per soggetti cresciuti in cattive condizioni
di ambiente; e non solo sempre secondo Andrlìk e coll.
danno discendenti degeneri le bietole montate a seme il primo anno, come aveva
dimostrato W. Bartos, ma ancora gli Stecklinge o planchons di annate
nelle quali le bietole da seme, per cattivo andamento della stagione, sieno
state disturbate durante la fioritura. Successivamente l'argomento venne ripreso
da uno dei collaboratori di Andrlìk, J. Urban, che si servì delle
radici degeneri per determinarvi il saccarosio, e dalle analisi risultò
che le bietole stesse avevano una composizione intermedia tra le zuccherine
propriamente dette e le foraggere od ortensi. Da osservarsi però che
la composizione delle radici fu studiata per gruppi in massa, e non nei singoli
soggetti.
Vogelsang, il quale nel 1895 aveva propugnato l'isolamento delle èlites,
più tardi, nel 1907, pur dichiarando che non gli era ancora possibile
di pronunciarsi sulla influenza della auto impollinazione ripetuta, conveniva
che in effetti le bietole isolate danno seme a cattiva germinazione e discendenti
deboli.
H. Mette (1908) segnala a sua volta la presenza di individui colorati, rossi
o gialli, con forme che non rispondono né al tipo delle zuccherine, né
al tipo delle foraggere, e di un contenuto in zucchero sorprendentemente basso.
Sessoux (1909). In occasione di una assemblea a Lipsia della Società
agraria tedesca, discutendosi un rapporto di L. Kühle, il Sessoux, botanico
selezionatore della Case Mette di Quedlinburg, esponeva alcuni suoi rilievi:
il seme avito dai soggetti sottoposti ad isolamento forzato sarebbe discreto
come quantità, ma a difettosa facoltà germinativa; tra i discendenti,
l'A. dichiarò di avere notati numerosi soggetti a pelle colorata, talvolta
rossi, talvolta gialli, nella
G. Frölich (1911). Non v'ha dubbio dice l'A. che l'isolamento
delle bietole è dannoso. Le bietole isolate danno seme più piccolo
e leggero, a debole facoltà germinativa, e piante meno sviluppate: non
v'è paragone tra i discendenti di bietole autoimpollinate e quelli di
soggetti lasciati liberi a fruttificare in massa.
H. Cron (1912). Il selezionatore deve contrastare, col proprio lavoro e con
la propria preveggenza, le rovinose conseguenze della autoimpollinazione, in
mancanza di che si va incontro alla degenerazione del tipo; e l'A. porta al
riguardo la fotografia di una bietola che egli chiama atavica e che ha la fisionomia
di una semizuccherina. Il Cron parla anche di altre manifestazioni, che egli
ritiene sintomo di degenerazione, quali la comparsa di soggetti a due teste,
con cavità all'interno, ecc.
B. Kajanus (1913). L'isolamento delle bietole non porta affatto alla costanza
del tipo, chè anzi con il ripetuto isolamento in una data discendenza
si reca nocumento alla stabilità dei caratteri. La mancata costanza di
caratteri esteriori viene da un lato attribuita dal Kajanus alla intima tendenza
della specie al polimorfismo; la comparsa di soggetti degeneri sarebbe dovuta
alle condizioni di sofferenza in cui vengono a trovarsi i soggetti sottoposti
a isolamento.
Tritschler (1913 e 1915). In una sua relazione all'Assemblea del 1913 della
Società tedesca per il miglioramento delle piante, l'A., che si era occupato
del problema della selezione di una delle più note bietole da foraggio
(la Ackendorfer), diceva : " La barbabietola da foraggio al ripetuto isolamento
non risponde già col presentare una più desiderata costanza di
caratteri, ma piuttosto con una manifesta degenerazione, particolarmente nella
forma e nel colore"; ed ancora :" scarsa quantità di seme e
cattiva germinazione sono anche, per lo più, una conseguenza dell'isolamento".
E nel 1915 ribadiva gli stessi concetti, pressappoco ripetendo le medesime frasi:"
Con l'isolamento non si consegue un innalzamento nella costanza dei caratteri
della barbabietola da zucchero; è anzi piuttosto il contrario che sembra
verificarsi. Vi sono però delle forti variazioni da caso a caso".
E. Schribaux scrive (1915):" Per le bietole capo famiglia, la prima idea
che si affaccia al pensiero, affine di proteggerle contro la fecondazione incrociata,
è di coltivarle in grandi vasi e di isolarle al momento della fioritura,
sia in serra, sia in un ambito ben chiuso e bene illuminato. Si constata allora
una diminuzione assai notevole nella produzione del seme, ciò che appare
logico, dato il difetto di concordanza della maturità degli elementi
sessuali della pianta: il che non sarebbe ancora che un mezzo male. Ma alcuni
autori vogliono che la bietola abbia orrore della fecondazione diretta e la
degenerazione, che ne è la conseguenza, sarebbe tale da manifestarsi
talvolta con la produzione di germi colorati; e, se io vi accenno, è
nella speranza che essa susciterà nuove ricerche in vista di verificarne
l'esattezza".
E. Baur (1919) accenna incidentalmente alla barbabietola in una sua conferenza
trattando il tema generico della degenerazione come conseguenza della consanguineità
o della fertilizzazione interse di soggetti a grande affinità
di sangue: la diminuzione del vigore della barbabietola, ripetutamente verificata,
va attribuita a cause di tale natura.
M. Gaillot (1919) afferma che le bietole isolate individualmente dall'inizio
alla fine della loro fioritura non hanno dato nelle sue esperienze che un piccolo
numero di semi fertili, i quali hanno dato origine in abbondanza a bietole degeneri.
L'A. ha riscontrato principalmente bietole rosse a carne bianca e a foglie verdi
e rosse, barbabietole foraggere e ortensi, bietole "da costa" o a
"cardo bianco", bietole a foglie lanceolate e a radici forcute analoghe
a quelle della bietola selvaggia, ecc., e in piccolo numero bietole comparabili
alla madre da cui esse provenivano La stessa degenerazione si verifica quando
si isola una bietola zuccherina all'aria libera per farle portare semi Anche
ponendo due bietole sotto uno stesso isolatore o appartate all'aria libera si
possono egualmente riscontrare delle degeneri nelle discendenze. "Come
spiegare si chiede l'A.- siffatta degenerazione? La barbabietola è
normalmente una pianta a fecondazione incrociata, e la nostra barbabietola zuccherina
migliorata discende per tappe successive dalla bietola foraggera, che è
venuta essa stessa dalla bietola selvaggia. A seguito dell'isolamento, si è
verificato un processo di autofecondazione, la quale ha fatto giuocare l'atavismo
attivamente; essa ha fatto divergere i caratteri primitivamente associati nella
barbabietola zuccherina dalla quale siamo partiti; essa ci ha permesso in qualche
modo di selezionarla. Con l'incrocio si ottiene il resultato inverso".
Riepilogando: In complesso le accuse all'isolamento sono di ordine
diverso e non ugualmente concordi:
a) l'autoimpollinazione porta all'indebolimento o diminuzione di vigoria del
tipo; la quantità di seme delle autoimpollinate è scarsa e a debole
facoltà germinativa;
b) l'autoimpollinazione determina la comparsa, tra i discendenti, di soggetti
a pelle o polpa colorata (rosse o gialle) o la comparsa di soggetti a caratteri
morfologici scontantisi dal tipo o aberranti: tali soggetti vanno considerati
come degeneri e rappresentanti un ritorno alle forme primitive o ataviche;
c) la degenerazione si ha più facilmente nelle discendenze di individui
a più alti pregi, ossia dei soggetti estremamente ricchi, i quali danno
una discendenza mediocre e anomala.
Tra i mezzi più indicati ad evitare la perniciosa conseguenza dell'isolamento,
il così detto rinsanguamento o rinfrescamento del sangue con bietole
di altre progenie viene dai selezionatori considerato come il più efficace
(J. Möller, 1907). Oppure, anziché procedere all'isolamento dei
singoli soggetti, si suggerisce di mettere a fruttificare insieme, o sotto un
unico grande isolatore, o in isolamento spaziale, le 7 o 9 migliori bietole
(cfr.J.Möller, 1909; Tritschler, 1914); ma a quest'ultimo riguardo avremo
occasione di rilevare che l'espediente potrebbe accettarsi soltanto se i varii
soggetti, che concorrono a formare il gruppo, possedessero lo stesso valore
ereditario: il che assolutamente non può a priori dimostrarsi,
anzi l'osservazione dice che normalmente non è.
2- La "degenerazione" per autofertilizzazione in altre piante1
Ci limiteremo a brevi cenni per due piante, che hanno punti di contatto con
la barbabietola per la tendenza della specie alla fecondazione incrociata nelle
condizioni naturali: il mais e la segale.
1) Per quanto concerne la degenerazione per consanguineità negli animali,
rimandiamo ai lavori speciali.
Granturco. Una fioritura di lavori, dei quali taluni importantissimi,
ci hanno offerto e ci offrono gli studiosi dell'America del Nord, dove effettivamente
la coltivazione ha un posto preminente nell'economia dell'agricoltura. "Di
fronte all'importanza teoricamente proclamata dei metodi di isolamento, e mentre
selezionatori pratici vanno dimostrando il valore del sistema nel miglioramento
di molte varietà osserva G.H. Shull (1908) l'impiego di
esso nella selezione del granoturco ha trovato singolari difficoltà per
il fatto che l'autofertilizzazione si risolve in un deterioramento di tipi.
I dannosi effetti appaiono immediatamente attraverso steli più piccoli
e più deboli, spiche in minor numero e più ridotte, e per una
più manifesta suscettibilità agli attacchi del carbone (Ustilago
maydis)". East ed Hayes (1912): "In esperimenti con 30 varietà
di mais, appartenenti ai tipi più differenziati, il sistema dell'autoimpollinazione
artificiale fu adottato per un numero variabile di generazioni, da una a sette.
In ogni caso ne seguì una diminuzione del vigore vegetativo: il declinare
della vigoria consiste soprattutto in una meno rapida divisione e quindi in
un minor numero totale delle cellule o in un più lento accrescimento
delle cellule stesse". E.G. Montgomery (1912) registra prodotti che stanno
nel rapporto da uno a quattro tra piante rispettivamente derivate da un processo
di autoimpollinazione o da incrocio. D.F. Jones (1916), con osservazioni compiute
per 12 generazioni, conferma le conclusioni dei precedenti investigatori.
L'affermazione di qualche A., secondo cui, a seguito di un ripetuto processo
di autoimpollinazione, il tipo diverebbe autosterile, non trova il consenso
di tutti gli sperimentatori. Senza eccezione poi le progenie derivate da piante
autoimpollinate vanno sempre più differenziandosi nei loro caratteri
morfologici, per cui da ogni varietà di granoturco, anche apparentemente
omogenea, è possibile di separare numerose piccole specie o specie elementari,
cioè di isolarle dalle loro combinazioni ibride. Vennero anche facilmente
isolate da tutti i ricercatori progenie a caratteri devianti o abnormi.
Segale. Mentre qualche geneticista afferma che la segale può
essere sottoposta, senza danno, a un ripetuto processo di autoimpollinazione,
altri ammettono che la specie si comporti del tutto come il mais: che le piante,
cioè, divengano meschine, le cariossidi si striminziscano e la energia
germinativa si attenui. E' strano che una pianta, la quale ha pur notevole importanza
per vaste zone europee, non abbia sinora costituito l'oggetto di studi decisivi
(cfr. Fruwirth, 1910; Rümker e Leidner, 1914; Heribert-Nilsson, 1916).
3- Le opinioni contrarie e la controversa interpretazione delle manifestazioni
degenerative
Innanzitutto si osserva che il principio formulato dal Darwin non ha applicazioni
generali. "La vecchia ipotesi dice G.H. Shull- che ricercava una
spiegazione degli effetti deleterii dell'autofertilizzazione, o dell'incrocio
fra parenti a grande affinità di sangue, in una disarmonica o sbilanciata
costituzione prodotta dalla accumulazione di variazioni individuali svantaggiose,
può essere ben difficilmente sostenuta in faccia alle infinite prove
del contrario, e delle quali poche soltanto basterebbero a discreditare la vecchia
ipotesi".
E' perché, si soggiunse, vi sono piante (come le leguminose in genere,
il frumento, l'orzo, il tabacco, ecc.) che in natura sono normalmente autogame,
e che rappresentano, ciò nonostante, tipi vegetali tra i più vigorosi?
Come spiegare, inoltre, che vi siano piante che costituiscono i loro semi senza
che neppure i loro fiori si chiudano, e piante che si perpetuano partenogeneticamente?
Secondo il concetto darwiniano, la degenerazione dovrebbe avere effetti cumulativi
con il ripetersi delle generazione; ma neppure tutte le indagini compiute dal
Darwin stesso confermano le sue proprie vedute!
E riferendosi al granoturco Shull considera: "Darwin è stato profondamente
impressionato dall'osservazione che le discendenze di piante autofertilizzate
presentavano minore altezza e più debole vigoria di quelle provenienti
da un normale incrocio; ma io ho già potuto tuttavia dimostrare che questi
supposti perniciosi effetti dell'autofertilizzazione sono soltanto apparenti,
ma non reali. Lo sperimentatore aveva avuto, invero, la possibilità di
dimostrare che la "diminuzione di vigore è più cospicua nella
prima generazione, ma diviene sempre e sempre minore in ogni generazione successiva,
sino ad una raggiunta condizione, cui non corrisponde presumibilmente un'ulteriore
perdita di vigore". D.Jones ne offre (1916) una nuova conferma. Nelle prove
di East ed Hayes, ancora dopo cinque generazioni certi stipiti di granoturco
producevano raccolto elevato e di una grande uniformità, vigoroso e sano.
E. Baur, con Antirrhinum majus: Mentre alcune progenie originariamente
vigorose erano divenute già, dopo due e quattro generazioni, così
deboli da potersi coltivare in seguito solo penosamente, altre progenie meno
vigorose non avevano ancora palesato dopo sei generazioni alcuna apparente degenerazione
e indebolimento (1914).
Rappresenta, poi, il così detto affievolimento dei tipi una reale e
permanente "degenerazione" dei caratteri ereditari? Gli esperimenti
del Darwin, rileva East, consistevano principalmente nel paragonare l'altezza
delle piante: ora, diminuzione del vigore, esclusivamente legata ad una più
attenta rapidità di divisione cellulare, non significa affatto degenerazione
di caratteri. In nessun caso Darwin parla di "perdita di caratteri".
Il solo effetto della autofertilizzazione concludeva East è
dunque la diminuzione del vigore, non la degenerazione dei caratteri (1909)2
2) Quanto alla degenerazione per consanguineità negli animali, si osserva
che le affermazioni recise del Darwin derivano anche dal fatto che alla sua
epoca la teoria e il meccanismo della eredità non erano ancora stati
chiariti. " Alternatamente si è sostenuto: da un lato che la consanguineità
è la più perniciosa e distruttiva procedura, e dall'altro lato
che senza il suo possente ausilio gran parte di quello che l'allevatore ha compiuto
in passato non si sarebbe ottenuto e che essa offre altre speranze per ulteriori
progressi": così scriveva alcuni anni addietro R. Pearl, il quale
soggiungeva: "se in un esperimento, destinato a stabilire l'influenza della
consanguineità, nessun particolare effetto è osservato durante
un certo numero di generazioni, è estremamente improbabile che un effetto
sarà prodotto da un'ulteriore continuazione del metodo; e se un determinato
effetto appaia più innanzi, il caso dovrebbe essere sottoposto a severo
scrutinio per determinare se l'effetto osservato si debba realmente alla consanguineità
più che ad altra causa insospettata". Tra le ricerche compiute citeremo
soltanto: a) quelle di W.E. Castle che praticò la più stretta
consanguineità per 59 generazioni sul moscerino delle cantine (Drosophila
ampelophila), giungendo alla conclusione che, se la consanguineità
non accompagnata dalla selezione provoca generalmente una diminuzione di fecondità,
una accurata scelta per l'alta fecondità mantiene la fertilità
originaria nella razza (eguali constatazioni fece il Castle per una razza di
cavia polidattila); b) quelle di H.King, che, sperimentando con i topi
comuni, e avendo l'avvertenza di unire i migliori individui, dopo 22 generazioni
in consanguineità constatava nelle sue razze una maggior vigoria che
non nei progeneranti (1916 e 1919).
Riportandoci alla barbabietola, le voci sollevate contro le accuse al processo
di autoimpollinazione o, meglio, ai metodi di isolamento, non sono state né
forti né numerose. Knauer, Geschwind e Sellier (1902) ed altri, che trattarono
di selezione, accennano vagamente al tema3. Commentando nel 1908
i risultati e le conclusioni di K. Andrlìk e coll., H.Briem dichiarava
in pregiudiziale di non poter assolutamente convenire nel concetto che il processo
di autoimpollinazione non giovi a fissare e a esaltare i caratteri nelle barbabietole,
e quanto alla segnalata comparsa di soggetti colorati nelle discendenze delle
bietole autoimpollinate soggiungeva di non poterli affatto considerare come
sintomo di degenerazione. Kühle e Raatz affermavano a loro volta, nel 1913,
di non condividere il giudizio di Tritschler (cfr. discussione rapporto Tritschler,
1914).
3) Si è spesso attribuito scrivono ad esempio Geschwind e Sellier
alla consanguineità, cioè a dire a un allevamento molto
scrupoloso di una unica e medesima varietà ben fissata, al riparo da
ogni ibridazione, la produzione di bietole piccole, meschine, degeneri. La nostra
opinione personale nella questione, è che si è parecchio esagerata
l'importanza di questo fattore. E' innanzi tutto molto difficile di poter considerare
una varietà qualsiasi come assolutamente omogenea, e, perciò,
l'influenza della consanguineità ci sembra già molto aleatoria.
Inoltre, occorre considerare il numero dei soggetti che sono coltivati accanto
in vista della produzione del seme, la dicogamia particolare del fiore e il
lungo periodo di fioritura della pianta. In sostanza ci troviamo di fronte a
numerose barbabietole che, pur appartenendo a una sola varietà o a varietà
strettamente congiunte, posseggono una individualità propria e si incrociano
reciprocamente scambiando il loro polline, intermediari il vento e gli insetti:
questa serie di incroci basta, secondo noi, a mantenere la vitalità della
varietà considerata. Gli AA, come si vede, spostano i termini del problema,
prospettandolo da un punto di vista diverso da quello considerato da altri sperimentatori
e quale deve effettivamente essere considerato.
Là dove, però, l'assunto diviene arduo è allorché
si voglia passare alla interpretazione del fenomeno. Il primo studioso, che
abbia tentato una interpretazione per quanto riguarda gli effetti della consanguineità
negli animali è stato Ch.B. Davenport: " Quando entrambi i genitori
hanno un organo in condizioni di incompleto o imperfetto sviluppo dice
l'A. ciò accadrà anche per tutta la loro discendenza. Questo
principio spiega la persistenza o l'aumento della degenerazione nella prole
di due genitori degeneri.
La sola parte che ha in tal caso la consanguineità è di rendere
più probabile la necessaria combinazione di gameti: la degenerazione
in tal caso deriva dall'unione di due fattori negativi; ed è questa una
comune causa di degenerazione, cioè la causa per la quale talvolta, ma
non sempre, la degenerazione è conseguenza della consaguineità".
Non può concludersi - osserva a sua volta East - che consanguineità
(o autofecondazione) e affievolimento di vigore siano nella relazione di causa
ad effetto semplicemente perché sono spesso legate assieme"(1909).
E rileva ancora East: "L'apparente deterioramento delle specie a fecondazione
incrociata quando si sottopongono ad autofertilizzazione è in larga misura
e forse interamente dovuto alla perdita del vigore, che si ha attraversato la
formazione di ricombinazioni mendeliane omozigotiche e non è un effetto
dell'autofertilizzazione per sé" (1918).
La comparsa di tipi "degeneri" e abnormi viene, poi, dalla gran
parte dei biologi spiegata oggi ammettendo che certi fattori ereditari, cui
è legata la comparsa di tipi affievoliti od anomali si comportino normalmente
come recessivi, e giungendo essi, in conseguenza del processo di autofertilizzazione
o di consenguineità a combinarsi allo stato di omozigotismo, possano
rendersi palesi o "venire in superficie"4.
4) A riguardo delle forme teratologiche o devianti, che appaiono nelle discendenze
di granoturco autoimpollinato, osserva Jones (1917):" Vi sono elementi
più che abbondanti per dimostrare che molti caratteri abnormi esistono
in una specie naturalmente a fecondazione incrociata e che essi caratteri sono
recessivi. Con l'autofertilizzazione si possono isolare: progenie nane; altre
sterili; altre a steli contorti; altre a spiche fasciate; altre che si palesano
più suscettibili a malattie; altre a sistema radicale così poco
sviluppato che le piante non possono stare ritte allorchè si appesantiscono;
ecc. Tutti i caratteri citati sono recessivi, o completamente o in largo grado,
alla condizione normale; più caratteri possono essere presenti insieme
in una stessa progenie". (Cfr. anche Jones, 1918).
Senonchè E. Baur contrappone che codesta teoria, secondo la quale la
degenerazione o l'affievolimento per forzata autogamia si dovrebbe alla comparsa,
per ricombinazione, di forme recessive deboli, può essere a sua volta
fortemente investita dall'attacco della critica. Nella discendenza di una pianta
complicatamente ibrida (quale è ad esempio un soggetto di una specie
normalmente a fecondazione incrociata), sottoposta a forzata autoimpollinazione,
si devono trovare necessariamente, sia pure in piccolo numero, individui altrettanto
complicatamente ibridi (od eterozigoti) come la pianta madre ed insieme molti
individui quasi egualmente eterozigoti quanto la madre. Orbene: come accettare,
in tutti i casi, pacificamente l'ipotesi che solo l'approssimarsi all'omozigotia
debba invocarsi quale cagione dell'indebolimento di vigore, se, ad es., nelle
prove di G.H.Shull od in quelle di East ed Hayes sul granoturco, la degenerazione
è apparsa brusca ed immediata? Perché, almeno negli esperimenti
sinora compiuti, tutti i discendenti di un individuo autoimpollinato
si sono mostrati egualmente "degeneri"5? In complesso frattanto
secondo il Baur le forme di degenerazione sono state ancora troppo
poco e troppo unilateralmente sottoposte a investigazione. I fenomeni devono
essere molto più complessi di quanto si supponga, ed altri tipi di degenerazione
per autofertilizzazione o per consanguineità debbono sussistere. "Malgrado
l'abbondante letteratura sull'argomento conclude l'A. io non potrei
dire altro su questo tema" (1914).
5) E' strano che un'argomentazione così stringente non sia stata ponderata
da East nella sua Memoria del 1918, da Jones nei suoi due importanti lavori
dello stesso anno e da East e Jones nella loro Monografia del 1919.
Per conto nostro, e ai riguardi della tesi che ci sta dinanzi, richiamiamo
l'attenzione del lettore sul fatto che, sia nei lavori del Baur, sia in quelli
degli altri studiosi, che hanno cercato di interpretare il fenomeno della degenerazione
e dell'affievolimento in base ai rilievi compiuti su parecchie piante o su diverse
specie animali, indarno si ricerca un sia pur fuggevole accenno sulle cause
probabili di "degenerazione" per autoimpollinazione nella Beta
vulgaris. A prescindere dai trattatisti, rileveremo che la comparsa di bietole
colorate nelle discendenze di individuate (il presunto carattere degenerativo
più appariscente) venne interpretato dal Briem (1908) come un ritono
atavico, da Kühle e Raatz come conseguenza di un incrocio insospettato
con tipi colorati, dal Römer come fenomeno di disgiunzione (cfr. discussione
rapporto Trischler, 1914).
4-I nostri rilievi sulla barbabietola
Fermandoci, dunque, alla pianta che più ci interessa, avanti tutto è
ragionevolmente logico di ammettere che l'accusa all'isolamento così
ripetutamente lanciata, per quanto non sempre con una chiara visione del fenomeno,
dovesse avere in sé una base di assoluta verosimiglianza. Se così
grande numero di studiosi aveva accennato agli effetti perniciosi dell'autofertilizzazione
e se la convinzione è egualmente radicatissima nel campo dei selezionatori
pratici, con i quali avemmo pur noi l'opportunità di discutere, sarebbe
stato assurso di negare a priori: occorreva, invece, sperimentare.
Il tema doveva imporsi a noi, naturalmente, in quanto investe e abbraccia
tutto quanto il problema della selezione; e poiché si trattava anche,
e soprattutto, di dirimere una controversia ab imis, non sarebbe stato
concepibile affrontare sperimentalmente il cimento senza la più larga
mésse di materiale. Poteva ancora darsi, in vero, che molti sperimentatori,
per il fatto di avere portato il loro esame su un numero relativamente molto
ridotto di soggetti, si fossero trovati di fronte, casualmente e fatalmente,
a individui in maggior parte non adatti a osservazioni precise e proibitive.
Fu, così, un vero "giuoco d'azzardo" quello nel quale ci avventurammo
all'inzio del nostro lavoro.
Ci riferiamo, per l'impostazione delle prove, agli stessi criteri direttivi
che ci furono di guida per lo studio del problema dell'autosterilità
( e che già esponemmo nel precedente capitolo), con tutte le possibili
complicazioni che la gravità del problema doveva necessariamente suggerire.
Adottammo, dunque, preferibilmente, il metodo dell'isolamento a cella e subordinatamente
quello di isolamento spaziale, con bietole esclusivamente zuccherine (bianche)
oppure con bietole zuccherine in alternanza con tipi colorati (foraggere e ortensi;
ponendo i singoli soggetti separatamente isolati, oppure mettendo sotto un unico
isolatore due bietole, oppure due mezze bietole insieme entro uno stesso isolatore
e le altre due metà entro isolatori distinti; né mancammo di isolare,
per studiarne poi in confronto le discendenze, soggetti di una relativa altissima
ricchezza in zucchero e bietole poverissime; varie mezze bietole mettemmo a
fiorire e a fruttificare in pieno sole, e le altre corrispondenti metà
nelle più sfavorevoli condizioni.
Urgeva, anche, di stabilire come rispondevano le bietole a ripetuti isolamenti:
sino ad oggi, in certe progenie derivate da soggetti del 1912, l'isolamento
fu effettuato per tre generazioni (1a,1913; 2a,1915;3a,1917)
ed egualmente per tre generazioni in progenie derivate da individui del 1913
(1a,1914; 2a,1916; 3a,1918). Analogamente dicasi
per il materiale rispettivamente scelto e separatamente seguito nel periodo
1914-1917. Per la prima volta, poi, nel 1915 ponemmo a fruttificare insieme
soggetti derivati da una stessa progenie in coppia, ed altri in gruppi o famiglie.
Né potevamo trascurare le discendenze di soggetti positivamente ibridi
o presunti tali, le discendenze di bietole morfologicamente devianti o teratologiche,
di soggetti montati a seme il primo anno, ecc..
Nel seguente prospetto trovasi globalmente elencato il materiale posto a fruttificare
nelle diverse annate dal 1913 al 1918.
Non di tutto il materiale posto a fruttificare si potè raccogliere il
seme, come è naturale. Una forte percentuale delle piante si perdette
durante il ciclo (mortalità, attacco di parassiti animali) o diede scapi-rosette.
Rilievi sommarii del 1914- Nel 1914 avevamo a disposizione il materiale
derivato da bietole scelte nel 1912, poste in autofertilizzazione nel 1913.
Una giustificata preoccupazione ci tenne fino al momento dei primi escavi,
per quanto l'insieme del quadro, che ci presentava il grande appezzamento dove
il materiale stesso era stato seminato, ci avesse rassicurato circa la vigoria
di grande parte delle discendenze le loro tipiche differenziazioni.
Il numero di progenie, per cui non si era registrata alcuna nascita, relativamente
non elevato; il numero di quelle a soggetti deboli e poco sviluppati pure relativamente
esiguo: nettamente distinte le discendenze con tendenza di soggetti a salire
a seme il primo anno; nettamente distinte le discendenze i cui soggetti presentavano
determinate deviazioni o anomalie nella loro parte aerea. Quanto alla parte
entro terra, una comparsa di radici rosse si ebbe soltanto nelle discendenze
di soggetti che avevano fruttificato più o meno accanto a soggetti similmente
a radice rossa. Nessuna registrazione di radici a pelle colorata in giallo;
ma nessuna bietola gialla era stata posta l'anno innanzi a fruttificare più
o meno prossima alle zuccherine in isolatore!6 Per certe progenie
anche le radici erano, in grande o piccolo numero, abnormi e devianti stranamente,
e nello stesso senso, dal tipo; l'esame in laboratorio rilevava infine nei componenti
di altre progenie una legnosità più o meno cospicua del tessuto,
legnosità non sempre legata la fenomeno della salita in seme il primo
anno.
6) Fu anzi in base a codeste constatazioni che trovammo necessario sino da
allora di escludere nella forma la più rigorosa le bietole colorate in
fiore dalle vicinanze delle zuccherine bianche isolate.
Codeste constatazioni erano per noi, insieme, una rivelazione, una dimostrazione
ed un ammonimento. Ci pareva di avere già sufficienti elementi per affermare: 1°) che almeno alla prova di un primo isolamento non si poteva parlare
di vera o falsa degenerazione, se non riferendosi a un numero molto ristretto
di discendenze;
2°) che la comparsa di bietole colorate non avrebbe potuto spiegarsi se
non ammettendo una contaminazione dei soggetti isolati da parte di polline estraneo
derivato da individui colorati;
3°) che un trasporto di polline doveva certo, il che già notammo,
aver luogo anche da bietola a bietola, poste a fruttificare in altrettanti isolatori.
E così ci orientavamo anche verso il concetto della fruttificazione
in coppie. Non solo ma alla accennata comparsa della comunicazione di H.B. Shaw
trovavamo una valida conferma dei nostri primi rilievi come parimenti dicemmo.
Rilievi del 1915.- Furono poste in cultura, famiglia per famiglia,
le sementi derivate dalle individuate del 1913 e in autofertilizzazione nel
1914. In complesso, non si fecero osservazioni che sostanzialmente si scostassero
da quelle dell'anno precedente.
Rilievi del 1916.- Erano da attendersi principalmente per istabilire:
a) l'influenza dell'isolamento portato su una seconda generazione; b)
il valore del metodo della fruttificazione in coppie; c) l'influenza
della separazione di progenie sulla costanza dei caratteri morfologici e degli
attributi chimici.
Alcuni dei selezionatori dell'Europa centrale ci avevano soprattutto fatto
comprendere che, se le bietole colorate non ci erano apparse ad un primo isolamento,
occorreva attendersele ad una seconda generazione. Orbene: neppure ad una seconda
generazione le bietole colorate ci apparvero. Incominciarono, invece, altri
indici di "degenerazione", quali indebolimento dei tipi e tendenze
delle radici a presentarsi contorte e a fittone diviso e di scarso peso. In
qualche caso la debolezza di vigore apparve nei discendenti derivati da coppie
di una stessa progenie.
Rilievi del 1917-1918.- Conferma piena delle osservazioni delle annate
precedenti per le progenie derivate da soggetti di primo isolamento e per gran
parte delle progenie in seconda generazione. Le bietole derivate da soggetti
isolati in terza generazione palesarono, in varie delle discendenze in esame,
manifesti segni di affievolimento, ma neppure alla terza generazione uscirono
i tipi colorati.
Gli stessi fenomeni di "mancato vigore" verificammo anche per le
discendenze da coppie e gruppi formati di soggetti appartenenti a progenie a
presunto alto grado di purezza. Invece la fecondazione incrociata tra soggetti
appartenenti a progenie diverse ristabilì nella maggior parte dei casi
la vigoria del tipo.
In ogni modo però, anche nelle discendenze a debole vigore o manifestamente
"degeneri", l'uniformità fra i soggetti era quasi assoluta.
Per le varie questioni inerenti al problema è opportuno mettere in parallelo
i nostri con i rilievi degli altri sperimentatori.
5.- Discussione sulla comparsa di soggetti colorati nelle discendenze di
bietole bianche individuate
Parecchie sono le interpretazioni che vennero o che potrebbero avanzarsi per
ispiegare la comparsa dei soggetti colorati nelle discendenze di bietole zuccherine
bianche individuate. Discutiamole brevemente.
Ritorno atavico.- Alcuni autori, pur non giungendo ad attribuire ai
soggetti colorati, segnalati nelle discendenze di bietole isolate, il significato
di bietole degeneri, accettano però l'ipotesi che le barbabietole colorate
rappresentino forme di reversione o ritorni atavici (H. Briem, 1908). L'assunto
avrebbe una parvenza di fondamento qualora fosse possibile dimostrare che, effettivamente,
le bietole zuccherine coltivate bianche derivano da forme primitive colorate,
il che non crediamo sai facile compito.
Ne sarebbe concepibile di riferire il caso alla serie dei fenomeni, che recano
alla brusca apparizione di un carattere così detto latente (nel suo significato
di carattere legato a un fattore criptomero), perché, se mai, il carattere
apparirebbe in un prodotto d'incrocio7, non mai in una discendenza
diretta!
7) E' notorio che il carattere si svela appunto soltanto attraverso la combinazione
di due fattori complementari singolarmente preesistenti in latenza nei due parenti.
Fenomeno di disgiunzione? Una barbabietola, quale si ottiene da un seme
derivato da una pianta posta a fruttificare in massa accanto ad altre, è
un ibrido, o almeno deve considerarsi tale nella grandissima parte dei casi:
anzi, poiché le piante generanti potevano essere alla loro volta degli
ibridi, ne risulta che ciascuna o quasi ciascuna bietola, che noi poniamo a
fruttificare in autoimpollinazione forzata, è un ibrido più o
meno complesso. Ma anche considerando, per semplificare, la bietola quale un
ibrido di prima generazione (F2), è naturale che la sua discendenza
si disgiunga. Senonché, mentre per la normale dominanza del rosso e del
giallo sul bianco sarebbe naturale che apparissero in seconda generazione, come
recessivi, dei soggetti bianchi derivati da ibridi rossi o gialli, l'ammettere
il contrario, e, più, lo spiegarlo, non è agevole. Bisognerebbe
partire dal supposto che, eccezionalmente, dall'incrocio di una bietola bianca
con una colorata si originasse un ibrido a pelle e polpa bianca e che questo
individuo, sottoposto ad autofertilizzazione forzata, facesse apparire tra la
sue progenie disgiunta degli individui colorati; ma sarebbe allora estremamente
difficile d'interpretare il meccanismo della simultanea comparsa tanto
di bietole rosse quanto di bietole gialle. Non basta: se è vero che talvolta
occorre, come abbiamo già rilevato, di registrare, in un prodotto di
incrocio tra una bianca e una colorata, la dominanza del bianco, tenuto conto
che la bietola ibrida, per quanto a pelle bianca, palesa costantemente una bassissima
ricchezza zuccherina, essa all'analisi viene eliminata irrimediabilmente. Non
poteva frattanto essere un ibrido la bietola a 23 per cento di zucchero messa
a fruttificare isolatamente dal Laurent! A maggior ragione dovrebbe infine escludersi
la possibilità che i soggetti colorati apparissero in seconda o in terza
generazione.
La comparsa di soggetti colorati non si avrebbe sostituendo al metodo dell'autofertilizzazione
l'incrocio tra più soggetti? L'affermazione è di diversi autori:
vi è anzi chi consiglia di procedere alla soppressione degli scapi di
quelle bietole che in un dato gruppo si avviassero verso una più precoce
schiusura dei fiori per meglio assicurare un reciproco scambio di polline fra
le diverse bietole del gruppo. Valga al riguardo di considerare che se in effetti
l'incrocio porta normalmente all'occultamento di certi caratteri legati a fattori
recessivi, non si può ammettere che ciò accada per fattori normalmente
dominanti, quali quello o quelli cui corrisponde l'espressione di un colore:
onde
Caso di mutazione? La presenza di soggetti colorati potrebbe trovare
la sua spiegazione in una brusca modificazione di distinti fattori mendeliani,
il che è ammesso verificarsi in altri casi8; ma vuoi di fronte
alla forma e agli altri caratteri fisionomici delle radici supposte mutanti
(che si scostano dal tipo zuccherino per avvicinarsi a quello delle foraggere
od ortensi), vuoi di fronte al basso contenuto in zucchero delle radici stesse,
non sembra che l'ipotesi possa reggersi, nel caso speciale, su solida base.
8) Certe forme "nuove", o almeno nettamente staccantisi dal tipo
normale, sono apparse (come rileviamo incidentalmente altrove e come esporremo
in altro lavoro) anche in alcune delle nostre progenie; ma si tratta di una
serie di fatti che non dovrebbero assolutamente corriferirsi a quelli in questione
(Cfr.anche: de Vries, 1903).
Prodotto immediato di una ibridazione insospettata? Non vi è
dubbio che ci troviamo qui di fronte alla chiave di volta. Basta considerare
avanti tutto che una bietola isolata è molto più soggetta ad essere
contaminata da polline estraneo, cioè derivato da soggetti colorati in
fioritura più o meno lontani, di quel che non accada quando parecchie
bietole si trovino a fruttificare insieme. Egualmente accade anche nel caso
dei soggetti colorati in discendenza di bietole salite a seme il primo anno
(W. Bartos, 1897)9.
9) Se in prossimità delle culture di comuni barbabietole da fabbrica
esistono delle madri porta - seme di varietà foraggere od ortensi (fatto
comunissimo nelle regioni dell'Europa centrale), l'ibridazione è estremamente
facile, esposte appunto, come sono, le bietole prefiorite, a tutte le eventualità
dei soggetti isolati propriamente detti; e in conseguenza di tale non sospettato
intervento di polline "volgare", il colore appare naturalmente subito
alla prima generazione.
Ad avvalorare l'ipotesi valga il fatto che la forma stessa delle radici e
gli altri caratteri esteriori delle bietole colorate descritte come improvvisamente
apparse nelle discendenze delle bianche palesano, come dicevamo, a luce meridiana,
a chi sia un po' pratico in materia di ibridazione tra bietole, che si tratta
di soggetti derivati da un incrocio con bietole colorate rosse o gialle. Anche
la loro bassa ricchezza in zucchero, basso contenuto che venne definito da Mette
"non così alto come quello delle zuccherine, non così basso
come quello delle foraggere", ne dimostra e tradisce la natura ibrida o
intermedia. Eguali constatazioni fece Urban10.
10) Va, al riguardo, accolta l'ipotesi dell'intervento di fattoti multipli
o di fattori distinti? La questione sarà da noi sviluppata altrove.
Aggiungasi che non tutti gli sperimentatori segnalano la comparsa di colorate
(Darwin non ne parla affatto) e che neppure coloro, che accusano la comparsa
delle bietole colorate come sintomo di degenerazione, le hanno registrate in
ogni caso: Laurent ne verificò la presenza una volta su tre; Andrlìk
e collaboratori trovarono che la proporzione è molto variabile da caso
a caso.
E infine: perché, dopo averne constatata la presenza, e sia pure eseguitane
l'analisi per determinarvi lo zucchero, nessuno degli sperimentatori, che si
occuparono dell'argomento, pensò di seguire a lor volta i soggetti colorati
con processo di autoimpollinazione o con fruttificazione in sé stesse?
Non bastava definirle "bietole degeneri" o "bietole ataviche":
l'investigazione doveva e deve andare più in là. Solo attraverso
una nuova generazione si poteva stabilire la loro vera natura, desumendola dalla
entità e dal comportamento dei loro discendenti.
Riassumendo: Nelle nostre osservazioni, condotte sulle discendenze
di un numero notevolissimo di soggetti, noi non abbiamo trovato bietole colorate
né in prima, né in seconda, né in terza generazione; le
accertammo, meglio, soltanto nei casi in cui le bietole bianche in fiore avevano
a minore o maggiore distanza bietole colorate, similmente in fiore. Non in altro
modo dunque il fenomeno potrebbe spiegarsi almeno per quanto fu oggetto
dei nostri rilievi che riferendosi ad una inopinata contaminazione per
polline estraneo11. Ad ogni modo e in ogni caso va escluso che la
comparsa di soggetti a pelle colorata nelle discendenze di bianche individuate
debba interpretarsi come indice di degenerazione per forzata autoimpollinazione,
e tanto meno per forzata autoimpollinazione di bietole "trascendenti":
se Laurent avesse posto a fruttificare nel giardino di Gembloux una bietola
poverissima oppure due bietole l'una accanto all'altra, avrebbe certo egualmente
potuto, fra le discendenti, segnalare la presenza di soggetti colorati!
11) Altre osservazioni, tuttora in corso, non ci hanno ancora permesso di giungere
a conclusioni d'altro genere.
6 - Discussione sulle altre accuse all'isolamento e sugli altri presunti
fenomeni di degenerazione
La scarsa quantità di seme. Tanto nel caso in cui le barbabietole
siano messe a fruttificare con isolamento spaziale, quanto nel caso in cui l'isolamento
si effettui mantenendo i soggetti sotto speciale riparo, la quantità
di seme prodotto da una bietola isolata è molto più scarsa di
quella che si registri allorchè le piante siano lasciate a fruttificare
liberamente e in mescolanza. La tendenza all'autosterilità del tipo fa
apparire il fenomeno come naturale e pacificamente accettabile, ed è
naturale inoltre che i glomeruli di una bietola posta a fruttificare in isolatore
siano piccoli e leggeri in conseguenza delle sfavorevoli condizioni (sottrazione
di aria e di luce) cui si costrinse a vivere la pianta. Eguali conseguenze invero
si hanno e ad eguali inconvenienti si va incontro inevitabilmente come
noi avemmo più volte l'occasione di verificare anche se sotto
uno stesso isolatore si mettano insieme a fruttificare due o più soggetti,
sia appartenenti ad una medesima progenie, sia a progenie diverse. Il fatto
della scarsa quantità e della più scadente qualità di seme
ottenibile da bietole isolate non è però affatto ragione valida
per far ripudiare il sistema: a questo riguardo mandiamo alle considerazioni
già esposte in altra parte della relazione.
La difettosa germinazione del seme e un problema oscuro. Sarebbe logico
d'ammettere che l'isolamento dovesse costantemente ridurre la facoltà
germinativa e affievolire la energia iniziale delle piantine derivate da una
barbabietola isolata e, a più forte ragione, costretta a fruttificare
in isolatore. Accade, invece, che, se in certi casi la germinazione è
nulla o ridottissima, in altri casi è perfetta. Va poi recisamente escluso,
per le nostre prove, che la scarsa o mancata germinazione, registrata per i
semi derivati da diversi soggetti in annate diverse, dovesse attribuirsi a cattive
condizioni di maturanza o a cattiva conservazione del materiale.
Altre constatazioni, che si possono facilmente compiere, rendono, in aggiunta,
più complesso e più oscuro il problema. Anche i glomeruli provenienti
da piante non isolate, cioè lasciate a fruttificare in massa e quindi
poste nelle condizioni assolutamente più favorevoli, non si comportano
allo stesso modo per tutte le piante: mentre la grandissima maggioranza delle
bietole dà seme con facoltà germinativa che raggiunge il cento
per cento, vi sono dei casi in cui la germinazione è impressionantemente
scarsa; ed anche qui vanno escluse ragioni di eventuali sofferenze o cattiva
conservazione del seme per attacco di malattie (a quest'ultimo riguardo, anche
i semi di piante fortemente colpite o bruciate dalla cercospora palesano una
facoltà germinativa che non si scosta sensibilmente da quella dei semi
normali). Seme raccolto su piante vegetanti nelle stesse condizioni e offerente
uno stesso grado apparente di maturanza12, conservato allo stesso
modo, risponde in modo diversissimo alle prove di germinazione.
12) Come è notorio, il seme di bietola germina anche se la raccolta
si effettui quando i glomeruli hanno l'involucro bratteale ancora completamente
verde; per cui non può insorgere dubbio ai riflessi del problema che
ci sta comunque dinanzi.
Come, del resto, spiegare la percentuale relativamente bassa di germinazione
normalmente accertata (e commercialmente tollerata) nel seme comune, anche in
quello non essicato artificialmente, se non ammettendo esistere un diverso comportamento
tra glomeruli e glometuli delle piante che vanno insieme a costituire una partita
di seme?
E' inteso che ci riferiamo qui a seme dell'annata e non a partite commerciali
costituite da sementi vecchie e nuove fra loro mescolate13.
La registrazione di titoli relativamente molto bassi nei discendenti di
bietole ricchissime. Il fatto di avere riscontrato soggetti a titoli bassi
tra i discendenti di bietole estremamente ricche ha ingenerato e radicato il
convincimento che il fenomeno dovesse ritenersi come indice di degenerazione.
A parte la considerazione che i bassissimi titoli segnalati per alcuni degli
individui potrebbero anche molto semplicemente spiegarsi imputandone la causa
alla natura ibrida degli stessi individui (derivati da inopinata contaminazione
di polline estraneo o "volgare"), la bassa ricchezza media degli individui
derivati dai soggetti trascendenti non va interpretata se non come logica conseguenza
dell'inesistente valore ereditario di una "estrema fluttuazione".
13) Notisi che con un aggregato di semi, quale è per lo più un
glomeruolo di barbabietola, basterebbe che una sola piantina si facesse atrada
attraverso il glomerulo per conteggiare questo fra i germinati: ora, poiché
le prove di germinazione del seme commerciale ben di rado consentono di conteggiare
oltre l'80% di glomeruli germinati e, anche nel caso di seme raccolto nelle
condizioni più propizie, si rimane sempre sensibilmente al disotto del
100 per cento, le possibilità sono due: o si hanno glomeruli vuoti; o
in ciascuna piantagione vi sono individui che portano glomeruli al cento per
cento di germinazione e altri con glomeruli a germinazione più o meno
esigua. Noi abbiamo la possibilità di verificare sperimentalmente che
nella maggior parte dei casi è la seconda possibilità che trova
il suo riscontro nei fatti: le osservazioni compiute e quelle in corso saranno
oggetto, a suo tempo, di apposita nota.
Irragiungibile fissità dei caratteri morfologici.- Contrariamente
a quanto osservarono Kajanus e Trischler per le bietole foraggere, nelle nostre
prove con il tipo zuccherino il processo di autoimpollinazione ci ha portato
pressoché sempre a ridurre la variabilità dei soggetti delle singole
progenie. La fissità dei caratteri è apparsa ed appare in diverse
discendenze in modo così sorprendente (sia per la fisionomia e il portamento
della parte aerea, sia per la
14) H. Lang afferma che la Eckendorfer in allevamento puro dà origini
a diverse forme staccantisi nettamente da quella tipica e della stessa offre
una riproduzione schematica (Lang 1910): sono orme così devianti da far
sorgere persino il dubbio se non si tratti di prodotti d'incrocio con altri
tipi!
La comparsa di tipi devianti o abnormi. Almeno nella maggior parte dei
casi, le forme devianti e abnormi osservate nelle discendenze di bietole autoimpollinate
debbono semplicemente interpretarsi come forme recessive e "portate in
superficie" o "alla luce" dal processo di autofertilizzazione
di una pianta che, come abbiamo ripetutamente veduto, è un ibrido più
o meno complesso. Per lo più le forme anomale compaiono nella discendenza
che segue il primo isolamento. La barbabietola offre, anche a tale riguardo,
strette analogie col granoturco. Può, inoltre, il processo di autofertilizzazione
portare indirettamente ad un isolamento e ad una certa fissazione di "forme
mutanti"? E' quello che vedremo in altra parte del nostro lavoro. Qui ci
limitiamo a fermare in un quadro le forme da noi catalogate: è inteso
che soggetti anomali o in altra direzione devianti si trovano in proporzione
variabile nelle singole progenie, sempre però in numero relativamente
più o meno cospicuo.
per uno stesso terreno, secondo il tempo di semina (non di rado anche se compiuta
ad intervalli assai brevi) e secondo il tempo dell'estirpamento. Le resultanze
finali della coltura sono talvolta così lontane dal normale comportamento
delle altre piante comuni, da indurre il coltivatore a non attribuire la responsabilità
di uno scarso prodotto se non al seme; così strane da portare in prima
linea tra le più ricche certe "varietà" o marche che
selezionatori seriissimi offrono quali extra - produttive, oppure, viceversa,
marche spacciate come extra ricche si sono vedute alla raccolta rivelarsi
relativamente poco ricche e molto produttive. E per un medesimo tipo di seme,
affidato ad uno stesso appezzamento apparentemente molto uniforme e nel medesimo
tempo e con raccolta egualmente effettuata nello stesso momento, le variazioni
possono risultare, dall'esame di campioni prelevati anche su tratti fra loro
non lontani, così forti, da superare, come vedremo, in una stessa varietà
o marca industriale, le differenze tra due varietà o marche poste accanto
e in confronto sullo stesso terreno.
tuttavia, pur non assumendo alcun valore dal punto di vista dell'eredità
propriamente detta, non mancherebbe di offrire una notevole importanza se considerata
sotto l'aspetto agronomico o culturale.
Fig. 2 - Decorsi dei titoli di venti differenti «varietà»
coltivate in confronto nel 1909, in quattro differenti plaghe degli Stati Uniti
d'America. (Da dati di J.E.W. Tracy).
Quale la più probabile ipotesi? Vedremo quale effettivo valore possa
oggi attribuirsi al seme di quelle bietole che si fanno passare col termine
superèlites e dalle quali deriva, in seconda o in terza generazione,
il seme cosiddetto commerciale. Codeste bietole, cui s'impose anche il nome
di "grandi madri", fanno un po' l'impressione di alberi ad attributi
magici ed occulti, capaci di dare certi particolari frutti che nessun altro
al mondo giungerebbe a dare, e che i semi degli stessi frutti non potrebbero
dare. Niente di tuttociò. Il seme commerciale derivato da una determinata
categoria di "superèlites" equivale virtualmente al seme delle
"grandi ave"; e se un produttore, con uno speciale indirizzo nella
impostazione e nella tecnica del suo lavoro, riesce a fissare qualche nuovo
e peculiare attributo nel suo tipo, l'attributo passa immancabilmente, suo malgrado,
alla discendenza. E poiché il seme di un produttore viene mano mano provato
e saggiato dagli altri produttori concorrenti, l'attributo diviene in breve
attributo di tutti i tipi del commercio. Per lo stesso ordine di fatti si spiega
perché certe Case produttrici detennero per lunghi anni il primato: nel
commercio del seme di bietole zuccherine si ammetteva, dai più, un segreto
di procedura, che nessuno si sentiva di potere forzare. E coloro che "rimasero
indietro", a null'altro dovettero la loro inferiorità se non alla
ostinazione di persistere in una selezione entro il proprio materiale,
il quale doveva manifestamente essere costituito da biotipi meno pregevoli,
per cui le più alte ricchezze mano mano riscontrate non rappresentavano
che semplici fluttuazioni di un materiale omogeneo e quindi non migliorabile
con processo di selezione: un po' di seme commerciale di un altro selezionatore
più abile o più fortunato ha compiuto il miracolo, permettendo
loro di portarsi in fila d'un salto solo.
di una data varietà prodotto in data zona, e offerente caratteristiche
fisiche e chimiche assolutamente eguali, si coltivi in località differenti
e sotto condizioni climatiche diverse, produce raccolti a caratteri esteriori
molto diversi e di differentissima composizione chimica". Non tutte le
piante rispondono però allo stesso modo al variar dell'ambiente: il granturco
zuccherino, nelle prove di M.N. Straughen e C.G. Church, ha segnato per gli
Stati Uniti oscillazioni tra il 18.4 e 23.9 per cento (1909).
Tipi più comuni di lembi.
Altri tipi più comuni di lembi.
Tipi di lembi meno comuni.
Alcuni tipi devianti dal normale.
Due esempi di tipi distinti di lembi da una medesima bietola.
sottoposti a misurazione, per il che nel giudizio intervengono concetti empirici
e soggettivi.
non è a priori possibile di stabilire il momento più topico
per accingersi ai rilievi. Se le misurazioni si fanno verso la metà di
luglio, la bietola non è ancora, in significato convenzionale, matura;
se alle pesature e alle determinazioni si procede verso la fine di luglio o
ai primi di agosto, una parte delle foglie è già caduta, e sfugge,
si altera così il valore di uno degli elementi in causa; oppure un periodo
do caldo e secco, particolarmente dopo un periodo di pioggia, può arrestare
bruscamente lo sviluppo delle piante e togliere consistenza ad ogni osservazione,
nel senso che, se la stagione fosse corsa diversamente, le risultanze avrebbero
potuto essere diverse, forse antagonisticamente diverse.
di lavorazione, il tempo e il modo con cui si compiono i lavori che esercitano
la loro precipua influenza, il che era stato constatato da precedenti sperimentatori
(Saillard, 1910 e 1917; Schribaux, 1915). E' da rilevare che in ogni terreno,
qualunque ne sia la natura, qualunque sia la profondità e la esecuzione
del lavoro, quale che siasi la concimazione compiuta, un numero maggiore o minore
di soggetti radicosi o a fittone strozzato si riscontra costantemente in tutti
gli appezzamenti, intervenendo a provocare la bi- o la tripartizione
del giovane fittone lo stroncamento dello stesso per opera di insetti, per male
assestati colpi di zappa in particolar modo quando il suolo ha formato crosta.,
ecc.
con tale impostazione sperimentale non tutti gli elementi verrebbero posti in
giuoco, e la prova avrebbe sempre il suo lato empirico.
e il numero dei giorni sereni e il percento di ore di sole2: ché
anzi il più basso contenuto in zucchero è registrato proprio nella
plaga (Lexington) dove la curva segnante l'intensità luminosa raggiunge
il suo punto culminante. F. Strohmer dimostrava a sua volta che la luce diffusa
favorisce assai meglio l'elaborazione dello zucchero da parte del fogliame,
e che la luce troppo intensa è nettamente contraria al buon sviluppo
delle barbabietole. Nelle regioni nordiche d'Europa, contrariamente a quanto
è da molti creduto, le giornate radiose sono più rare che non
nei paesi del Mezzogiorno, e, ciò nonostante, le barbabietole raggiungono
limiti di estrema ricchezza.
accompagnate dal vento) l'evaporimetro segna perdite più o meno sensibili.
problema della selezione.
fogliame durante tutto il periodo estivo, si verifica parimenti una più
o meno rapida degradazione nel successivo periodo settembre ottobre,
dato che questo decorra, come consueto, piovoso? La domanda potrebbe, un
po' diversamente, formularsi così: se, per la caduta di buone e regolari
pioggie durante il primo e secondo periodo di sviluppo della cultura, le bietole
possono mantenere discretamente abbondante e vigoroso il loro apparato fogliare
durante il periodo estivo, come agiscono le pioggie settembrine e gli atri fattori
meteorologici sulla ricchezza successiva delle radici? La retrogradazione è
anche in questo caso un fenomeno inevitabile? O le cause, che tendono a determinare
una perdita di zucchero, possono essere controbilanciate da cause che agiscano
in senso contrario?
piovoso ne succeda uno di prolungata siccità, l'asportazione di un certo
numero di foglie tenderebbe a ristabilire l'equilibrio tra parte aerea e parte
radicale, e dare alle piante la possibilità di opporsi ad una esagerata
traspirazione? Il vantaggio della pratica potrebbe manifestarsi sia attraverso
un aumento di peso, sia attraverso un più soddisfacente contenuto zuccherino.
Se la questione è stata anche sollevata tra i bieticultori della media
Europa, al punto che venne persino ideato e costrutto un apposito strumento
lacero foglie, a maggior ragione il principio trova di che dover essere
considerato nella plaga nostra, come già rilevammo incidentalmente in
occasione della pubblicazione di una nostra memoria (1915).
ottenere notevoli prodotti in peso ed insieme bietole con alto contenuto zuccherino,
ma di stabilire se una barbabietola, opportunamente aiutata con l'irrigazione
a mantenere il suo apparato aereo e quindi non più costretta a ricostituire
più tardi il proprio fogliame a spese delle riserve della radice, non
solo non subisca alcuna perdita di zucchero, ma, non interrompendo la sua funzione
assimilatrice, continui ad accumulare nuovo zucchero, tanto in totale, quanto
in percentuale.
trovato maggiore tornaconto ad iniziare la lavorazione in ottobre, cioè
a dire se l'interesse dell'industria avesse portato alla necessità dell'escavo
tardivo, non lo avrebbero consentito (a prescindere da altre ovvie ragioni)
le condizioni stesse sotto cui si svolge l'industria dell'agricoltura.
rigidamente accettato: i termini si sposterebbero e deformerebbero; perderebbe
la sua stessa efficienza il caposaldo si inspira al concetto della
selezione locale; il problema si presenterebbe in qualche modo legato a un concetto
di comodità o di convenienza; l'opportunità dell'impresa dovrebbe
riguardarsi particolarmente da un punto di vista commerciale o finanziario.
Scaturiscono così frattanto le ragioni dirette e indirette per cui ci
affermammo sul metodo della scelta delle bietole da selezione nel periodo che
coincide con quello della lavorazione nelle fabbriche italiane, e cioè
nell'agosto settembre, con susseguente immediato trapianto del migliore
materiale analizzato e considerato, almeno inizialmente, più pregevole.
Si tratta di un procedimento, come si osserva, tutt'affatto speciale, completamente
fuori questione nelle plaghe della media Europa, indubbiamente rispondente a
un preciso e stringente concetto di causa ad effetto. Naturalmente, anche tale
concetto cadrebbe e perderebbe ogni valore qualora potesse dimostrarsi che con
razze di bietole zuccherifere, quali ormai si posseggono, sia del tutto indifferente
di operare in altipiano o in pianura, adoperare bietole ricche o meno ricche,
scelte in agosto o in novembre, di grande peso o di piccolo peso.
gli spazi interstiziali sono sempre occupati da un intreccio di fibre, che si
protendono libere tutt'attorno al filo ritorto e che rendono gli spazi molto
più ridotti.
dominanti6,prendemmo specialmente in considerazione:
studiosi lo negano recisamente, almeno per la grandissima maggioranza delle
specie, pur comunemente classificate tra le autosterili; e neppure, del resto,
una autoincompatibilità assoluta viene, per la bietola, affermata dal
Shaw. Ad ogni modo, anche per la barbabietola va accettato senza discussione
trattarsi di una forma di autoincompatibilità fisiologica, in quanto
gli organi maschili e femminili sono completamente formati e, come si dice,
potenzialmente funzionali; e basta infatti che due soggetti siano posti a fruttificare
accanto, perché di regola la fertilizzazione sia piena.
piante eterogame e l'unione tra individui a stretto grado di parentela negli
animali, portano a una discendenza debole o aberrante: la perdita di peso, la
diminuzione del vigore costituzionale, la tendenza alla produzione di forme
abnormi, sono, secondo il Darwin, effetti inevitabili e, col procedere delle
generazioni, cumulativi.
proporzione del 10-13%, di forma varia, scostandosi dal tipo e di basso contenuto
in zucchero. Più si spinge l'isolamento, più grande è il
numero delle bietole colorate tra le rispettive discendenze.
nella complessa serie delle possibili ricombinazioni, un certo numero di soggetti
colorati dovrebbe ricorrentemente e necessariamente apparire anche tra i prodotti
dell'incrocio.
forma della radice e persino per certe minute caratteristiche costanti in tutti
o nella gran parte degli individui discendenti da una data madre) da indurre
a domandare se si potrebbe ricercare di più in una razza pura. Quali
le ragioni di così diversi e opposti rilievi tra i nostri e quelli compiuti
dagli altri sperimentatori? Forse i tipi detti da foraggio sono più "plastici",
e quindi i loro caratteri meno fissabili?14.
Affievolimento del tipo.- Le nostre constatazioni ci permettono di convenire sulla netta distinzione fatta da
East: tra degenerazioni in senso vero e degenerazioni in senso di affievolimento o di diminuzione di vigore. E'
appunto quest'ultima forma che i nostri rilievi ci autorizzerebbero a presumere come la sola ammissibile o almeno quella
che va considerata la più probabile: una forma di "degenerazione", di fronte alla quale la relativa
autoincompatibilità dovrebbe ritenersi come mezzo dell'individuo a sottrarre ad un fatale indebolimento la propria discendenza. E',
se vogliamo, la sola forma di "degenerazione" segnalata ed intravista dal Darwin, per quanto questi abbia limitato
le sue osservazioni ad una sola generazione. Senonchè il Darwin, il quale aveva, più per divinazione che non per
virtù di esperimenti rigorosamente condotti, classificata la specie tra quelle che traggono giovamento dalla
fecondazione incrociata, spostava i termini della questione dichiarando la specie stessa molto autofertile, il che non è; ma a
codesta nostra concezione ipotetica può facilmente opporsi che il granoturco e le altre specie, che pur si
affievoliscono attraverso l'autofertilizzazione mentre traggono grande vigoria da una impollinazione incrociata, sono in
effetto nettamente autofertili15. Nel caso della
Beta vulgaris il declinare del tipo è in dipendenza della sua
progressiva epurazione? Dovremmo sentirci fortemente inclinati ad ammetterlo, nella considerazione che l'affievolimento fu
da noi, in realtà, soprattutto registrato ad una terza generazione e non nelle sole discendenze di soggetti
autoimpollinati,
ma ancora nelle discendenze di
coppie16
o gruppi costituiti di soggetti molto uniformi, cioè
in presupposto "praticamente" puri, il che è stato accertato
anche nel mais. In altre progenie, non di meno, malgrado l'apparente uniformità
dei soggetti, la diminuzione del vigore non si palesò neppure ad una terza
generazione: in questo caso la discendenza non è ancora epurata o qualche
altra causa interviene? E l'affievolimento (o degenerazione in significato darwiniano)
è progressivo, o ad una data generazione si arresta? Come si comportano
i discendenti di progenie degeneri incrociate con discendenze egualmente degeneri,
od incrociate con individui normali? Siamo col Baur nel ritenere il fenomeno ancora
e parecchio in ombra, e i quesiti or ora affacciati dovrebbero attendere, con
altri, da ulteriori ricerche la loro soluzione.
15) Come conciliare, nel caso del mais, l'intolleranza della specie per l'autofertilizzazione da un lato e la "mancanza di mezzi" della stessa specie per evitare l'autoimpollinazione dall'altro? Secondo G.N. Collins (1919) il fatto dovrebbe portarsi ad avvalorare l'ipotesi che il mais sia di origine ibrida.
16) L'incrocio fra bietole in coppia derivate da una stessa madre rappresenta quella che per gli animali è un'unione tra consanguinei a più stretto grado di parentela.
7-Il vigore degli ibridi od eterosi. Nostre osservazioni sulle bietole
L'influenza dell'incrocio sul ringiovanimento dei tipi- il motivo dominante che agitò la mente di Carlo Darwin non ha potuto mai essere misconosciuta, neanche da coloro che non accettarono le teorie e le concezioni del Darwin sul divenire dell'evoluzione17. Se è vero che non tutte le piante sono in natura eterogame, non si può togliere valore ad un fatto, che assurge quasi a valore di legge, e cioè che "la fecondazione incrociata non può essere eguagliata dall'autofecondazione", in quanto è notorio che anche nelle piante, in cui l'autofecondazione è la regola (tra le più studiate: il grano, l'avena, il pisello, il tabacco) l'incrocio o l'ibridazione tra tipi diversi determina nel prodotto un maggior vigore e una maggior forza di accrescimento di quello che non mostrino di possedere i due tipi che hanno contribuito ad originare l'ibrido. Il fenomeno è soprattutto appariscente negli ibridi di prima generazione. Varie delle più importanti specie coltivate rispondono anzi all'incrocio con così manifesto vigore dell'ibrido, da portare perfino selezionatori e studiosi del problema del miglioramento delle piante a considerare, come vedremo, se non fosse il caso di utilizzare il metodo a scopo commerciale.
Lo stimolo, che accompagna l'incrocio o che dall'incrocio risulta, sia nelle piante sia nel regno animale, venne chiamato "effetto stimolante dell'ibridazione" o "vigore dell'ibrido", "stimolo dovuto a eterozigosi", ecc.; nel 1914 G.H. Shull proponeva il termine di "eterosi", termine oggi, senza eccezione, accettato. E anche qui, per seguire la consueta procedura, ci fermeremo su quelle poche constatazioni che possono avere punti di riferimento con il problema che ci interessa e che può meglio illuminarlo, senza addentrarci nel labirinto delle ipotesi per chiarirne il meccanismo, argomento che pure egualmente esulerebbe dallo scopo del nostro lavoro (cfr. Jones, 1917-1919; East, 1918; ecc.)18.
17) Né deve essere qui obliato il nome del nostro Federico Delpino, delle cui geniali concezioni riconobbe la grande importanza e la portata lo stesso Darwin (More letters, Ed.Murray II). J.P.Lotsy spinge poi il suo assunto sino ad affermare (1916) che tutti i gruppi vegetali nel periodo della loro più grande vigoria e lussureggiante vegetazione sono in condizioni di ibridismo e nel loro ultimo e degenerato stadio sono specie purificate od omozigotiche.
18) Si ammette generalmente che il vigore dell'ibrido si debba alla associazione in un solo individuo di un grande numero di fattori favorevoli che erano presenti rispettivamente nell'uno e nell'altro dei sue genitori e rispettivamente trasmessi gli uni dall'altro, gli altri dall'altro. Si obietta che se si potessero allora accomunare in un unico individuo, a condizioni di purezza, tutti i fattori favorevoli rispettivamente propri dei tipi cui appartengono i due genitori, la fortunata ricombinazione dei caratteri non dovrebbe ridursi col processo di autoimpollinazione. A tale obiezione contrappongono Jones e Hayes (1917) che i caratteri sono quasi sempre ereditari a gruppi e che quindi non è possibile di raggiungere uno stato di accomunamento capace di mantenersi. Sullo stesso argomento scrive M.C. Coulter (1918): "Secondo East, gli ibridi sarebbero vigorosi in conseguenza della loro condizione eterozigotica . Ciò virtualmente significa dire che gli ibridi sono vigorosi perché sono ibridi. Eterozigosi fu una più accurata e scentifica espressione del fatto riferentesi al vigore degli ibridi, ma non fu una spiegazione". D'altra parte East osserva che il vigore degli ibridi di prima generazione è un fatto, non una teoria.
Per il granoturco, dopo le prime osservazioni di C. Darwin (1876) sono da registrarsi ricerche numerosissime, tra le quali meritano di essere particolarmente citate quelle di G.W. Cluer(1892) di E.M.East (1909), di G.N: Collins (1909-1917), G.H. Shull (1910), Di Hayes ed East (1911). Di H.K. Hayes (1912), di Hartley e Brown (1912), di Jones e Hayes (1917), ecc. L'entità dell'incremento varia tuttavia grandemente nei differenti ibridi, anzi in certi casi l'incrocio non reca alcun beneficio19. "La differenza nel grado di vigore osservato nella combinazione tra varietà scrive G.N. Collins, 1917 sembra essere in correlazione con la distanza del tempo da che gli stipiti originari sono stati separati. Gli stipiti, che sono geograficamente divisi da grandi distanze, normalmente esibiscono il più grande incremento di vigore quando sono incrociati, mentre gli stipiti della medesima o di finitime regioni, per quanto palesino cospicue differenze morfologiche, generalmente recano un minore incremento nel vigore della prima generazione dell'incrocio"20. Per il caso nostro, ma sempre in riferimento al granoturco, valga specialmente il sapere che il vigore dell'ibrido è incomparabilmente maggiore se si procede ad un incrocio tra progenie previamente sottoposte ad una più o meno prolungata autofertilizzazione. Secondo le ricerche di East e di Hayes (1912), il prodotto medio può superare del 250 per cento il peso raggiungibile dalle piante genitrici. Anche G.H. Shull ottenne da certi ibridi cinque volte più prodotto che non dagli stipiti parenti. I cumulativi "dannosi effetti" di cinque anni di atutofertilizzazione scompaiono in un anno come risultato dell'incrocio (Shull, 1910). Alla seconda generazione però il vigore dell'ibrido ed è anche codesto un rilievo degno della massima attenzione diminuisce più o meno grandemente21.
19) "Mentre alcuni incroci di prima generazione sono più produttivi di ciascuno dei parenti osservano Hartley e Brown altri si appalesano intermedia in produttività tra i due parenti, ed altri infine meno produttivi dei parenti".
20) Va, poi, opportunamente ancora aggiunto a tale proposito
che nel granoturco il processo di ibridazione, oltre che determinare una più
alta vigoria e una maggior produttività della generazione derivata dal
seme, provoca anche un effetto diretto ed immediato sul seme stesso, cioè
ne fa aumentare il volume e il peso insieme: all'incremento del volume e del
peso dei singoli semi corrisponde evidentemente un prodotto più elevato
in peso del raccolto. Collins e Kempton hanno voluto verificare sperimentalmente
se una credenza, comune appunto tra gli agricoltori americani (cioè a
dire che, seminando due varietà a righe alterne in un dato appezzamento
si ottiene
una più alta produzione rispetto a quella, che si consegue se lo stesso
appezzamento sia investito solo con l'una oppure con l'altra varietà),
fosse conforme al vero: e in undici prove i semi derivati da fiori fecondati
con polline da altra varietà eccedettero i semi derivati da fiori fecondati
da polline della stessa varietà, con pesi variabili in percentuale dal
3 al 21 (cfr.Collins e Kempton, 1913; L. Carrier, 1913). Ulteriori ricerche
di D.F.Jones (1918) confermarono pienamente le conclusioni di Collins e Kempton:
l'aumento dei pesi dei semi derivati dal processo di incrocio raggiunse persino
il 55%: Però in altre piante è il fenomeno inverso che può
occorrere. G.F. Freeman e K. Sax ottennero, indipendentemente, da due tipi di
grano, semi molto ridotti di volume e in apparenza striminziti quale risultato
immediato dell'incrocio. Anzi tali constatazioni costituirebbero un argomento
contro la spiegazione, che di solito viene avanzata, per interpretare il fenomeno
nel granoturco.
21) "La spiegazione della diminuzione del vigore negli ibridi di seconda generazione scrive H.K. Hayes è esattamente la medesima con cui si tende a esplicare l'apparente deterioramento quando il mais si sottopone a forzata autoimpollinazione. Entrambi i fenomeni sono dovuti a ricombinazioni di caratteri, che portano ad ottenere individui del tipo puro. Nel processo di autoimpollinazione l'apparente deterioramento è più marcato, perché la percentuale di questi individui è evidentemente molto più grande" (Hayes, 1912).
Anche il tabacco, per quanto si comporti normalmente come pianta autogama, palesa negli ibridi di prima generazione, benché non in tutti i casi, un grande vigore. Tra gli sperimentatori, che considerano il problema sotto l'aspetto commerciale e che quindi si preoccuparono di determinare quali tipi avessero potuto dar luogo, nell'incrocio, ad ibridi di prima generazione da potersi mettere in cultura ogni anno, va citato T. Houser (1912), i cui rilievi furono successivamente confermati anche da altri studiosi e recentemente da J.B. Norton (1917). Da eguali risultati vennero seguite indagini su altre piante pur esse normalmente autogame, quali il pomodoro (Wellington, 1912; Hayes e Jones, 1917)22, il cotone (Cook, 1917) ecc.. Nel caso delle piante autogame la fecondazione incrociata avrebbe due funzioni: combinazioni di caratteri ereditari e stimolo allo sviluppo (East 1909). Anche le cucurbitacee reagiscono proficuamente allo stimolo della eterozigosi (Hayes e Jones, 1917).
Da aggiungersi ancora che per le piante, le quali si propagano di consueto per tubero, rizoma, talea, e simili, il vigore dell'ibrido dovrebbe permanere nel tipo teoricamente senza limite.
Né sarebbe possibile dimenticare i rilievi segnalati, anche in lontano passato, su piante arboree. Secondo East e Hayes, il decantato vigore del famoso noce, prodotto per incrocio da Lutero Burbank, si deve unicamente attribuire ad un semplice fenomeno di eterosi (cfr. Heterozygosis in evolution, ecc.); nella stessa memoria gli autori deplorano poi che non si sia sufficientemente battuto sul concetto relativo all'importanza che dovrebbe avere, negli impianti forestali, l'uso di ibridi di prima generazione. E si lasci che a nostra volta ci sorprendiamo che nulla si sia tentato ancora nel paese nostro, almeno per il granoturco23.
22) La vigoria si è mantenuta, negli incroci di Hayes e Jones, sino alla quarta generazione. Gli AA. considerano ad ogni modo che, come per il tabacco, si possa sfruttare commercialmente, per la capacità di più alti rendimenti, almeno il seme di prima generazione.
23) Non si tratterebbe, come tosto si intuisce, di risolvere un problema nel campo vero e proprio dell'ibridazione, problema destinato a isolare tra le discendenze di disgiunzione quella o quelle in cui più si riconoscano fusi i caratteri voluti, ma di stabilire quali varietà, nel processo di incrocio, diano ibridi in prima generazione a più alto vigore e quindi più produttivi. Per prepararsi il seme necessario, occorrerebbe seguire il metodo della semina delle due varietà in righe alterne in modo da avere, asportando a tempo debito le infiorescenze delle piante di una delle due varietà, i fiori delle spiche di quest'ultima esclusivamente fecondati dal polline delle piante dell'altra varietà: solo il seme di queste spighe, derivato appunto da un processo di incrocio, dovrebbe adoperarsi. E poiché la vigoria si perde già alla seconda generazione ed anche perché alla seconda generazione i caratteri si disgiungono e si avrebbe un seme mosaico commerciale poco apprezzato, ogni anno si dovrebbe ricostruire il seme ibrido. Allo stesso ordine di concetti va riferita la pratica zootecnica di valorizzare i soli meticci di prima generazione.
Nostri rilievi sulla barbabietola.- Per quanto sembri inverosimile, la letteratura non registra per la barbabietola alcuna osservazione specifica! Si parla, come dicevamo, vagamente della necessità del ringiovanimento o del rinsanguamento per attenuare le dannose conseguenze dell'autofertilizzazione; ma il rilievo non corre più oltre. Eppure il vigore dell'ibrido si manifesta con una frequenza non insolita, e a noi è stato già possibile di assodare ripetutamente il fatto e raccogliere numerosi elementi. Tanto più manifesto e tanto più cospicuo è poi il fenomeno, quando le piante di prima generazione rappresentano il prodotto di incrocio di una bietola coltivata con un soggetto derivato dal tipo selvaggio o spontaneo.
L'influenza del sangue "selvaggio" nel propinare inusato vigore agli ibridi è, del resto, fenomeno notissimo. Le costatazioni da noi compiute sugli ibridi derivati dalla bietola coltivata, impollinata dalla forma selvaggia, o viceversa, trovano la loro analogia in recenti incidentali rilievi di A.B. Stout (1917) su alcuni ibridi di cicoria (Cichorium intybus): i soggetti originatisi dall'incrocio della forma coltivata (rossa di Treviso) con la forma spontanea palesarono un rigoglio nell'accrescimento e uno sviluppo complessivo molto più notevoli, sia del tipo spontaneo sia del tipo coltivato cresciuti nelle medesime condizioni. Malauguratamente, però, quanto alla barbabietola, se il maggior rigoglio, che il sangue della forma spontanea determina nel tipo coltivato e che consente agli ibridi di conservare un vigoroso fogliame anche nei più scabrosi periodi dell'estate, permette di far registrare, a parità di peso delle radici, ricchezze molto più elevate nell'ibrido rispetto al tipo coltivato, lo stesso sangue selvaggio induce una tale "radicosità" nel fittone da rendere la pianta pressoché inutilizzabile dal punto di vista industriale. E' possibile accomunare i due caratteri in un unico tipo? O si tratta di fattori forzatamente incombinabili?24.
Un deciso maggiore vigore si può constatare però non di rado anche nei casi di incrocio tra soggetti appartenenti a separate discendenze del tipo comune coltivato; e d'altra parte non dovrebbe accadere altrimenti se si debba lo stimolo per eterozigosi contrapporre antinomicamente alla diminuzione di vigore per processo di autofertilizzazione. Rilievi in corso con materiale abbondante e forme specializzate ci porranno in grado di recare in argomento un contributo degno del tema?
Riportata ad ogni modo la questione sulla vera strada, che avrebbe dovuto essere per l'innanzi battuta, facendo cioè rientrare il problema della cosiddetta "degenerazione per autofertilizzazione" della barbabietola nel quadro generale dei fenomeni legati a condizioni di omozigosi od eterozigosi, i termini "degenerazione", "ritorno ai tipi primitivi", "rinsanguamento", ecc., perdono la loro empirica veste per lasciare adito a ricerche destinate a costrurre su terreno meno incerto.
24) La questione sarà discussa nella seconda parte del nostro lavoro.
LA BARBABIETOLA DA ZUCCHERO
E IL PROBLEMA DELLA SELEZIONE
1.- Selezionisti e antiselezionisti
Non sarebbe possibile di precisare le condizioni che portarono al graduale arricchimento in zucchero delle barbabietole e porre le basi per un eventuale ulteriore incremento degli attributi del tipo; né sarebbe, inoltre, concesso di definire la portata della concezione secondo la quale, sospendendo il processo di selezione, la barbabietola degraderebbe bruscamente o più o meno rapidamente, senza considerare la nostra pianta quale elemento integrale di un tutto più complesso e più vasto.
In fondamento, il dibattito tra selezionisti e antiselezionisti verte, come è notorio, su questo quesito: allorché tra i discendenti di un tipo si scelgano, per un determinato carattere o attributo, da una parte i soggetti che dalla media deviino in senso positivo o massimale e dall'altra quelli che dalla media stessa si stacchino in senso negativo o minimale, si riesce ad ottenere dei sotto-tipi con medie inferiori alla media originaria per i minimali e con media superiore alla media originaria per i massimali? E può la successiva selezione, nell'un senso o nell'altro, avere effetto progressivamente cumulativo? Sono i fattori ereditari (unità ereditarie), determinanti le espressioni di un carattere, modificati od alterati attraverso il processo di selezione? E circoscrivendo nell'ambito della pratica applicazione, può la selezione offrire all'uomo la possibilità di migliorare un tipo, provocando in esso alterazioni che permettano di ottenere o "creare" nuove varietà o nuove razze rispondenti a un determinato fine?
Non è compito nostro di soffermarci qui, sia pure a grandi tratti, sull'abbondantissimo materiale che la letteratura dell'argomento consentirebbe di segnalare. Sinteticamente va rilevato che dal complesso delle dottrine e dei fatti appare come il pensiero dei biologi abbia esso stesso fluttuato e a sua volta abbia subito spostamenti sensibili: nel breve periodo di pochi lustri, molt'acqua è stata gettata sulle dottrine degli antiselezionisti ad oltranza ed altra acqua su quelle dei più strenui assertori delle virtù della selezione.
Come gli antiselezionisti spiegherebbero l'efficacia della selezione.- Secondo gli antiselezionisti, i "miracoli" della selezione, i successi effettivamente registrati in conseguenza della selezione, andrebbero esclusivamente ricercati nel fatto che, operando su varietà impure, si giunge, con la selezione, ad eliminare gradualmente le razze o biotipi di qualità non desiderate agli scopi che si mira di conseguire. "Gran parte degli esperimenti di selezione metodica scriveva Jennings nel 1910 hanno consistito nell'espediente di isolare e ricombinare differenziazioni preesistenti, permanentemente ereditarie, offrendo risultati che furono interpretati come rivelazione della legge della evoluzione progressiva in atto, mentre in realtà ciò non è". Gli effetti favorevoli della selezione sono, in atri termini, meramente apparenti. Se si fosse proceduto o si procedesse a una preventiva separazione dei biotipi sino dall'inizio del lavoro, il successo si sarebbe ottenuto o si otterrebbe in un tempo incomparabilmente più breve; anzi, teoricamente, d'un salto. Dopo, la "plasticità" del tipo più non risponde: ogni ulteriore lavoro selettivo è destinato all'insuccesso. La selezione ha semplicemente operato od opera come un crivello.
Se così non fosse, si soggiunge, come si potrebbe spiegare che non tutti i tipi e non tutti i caratteri di un tipo rispondano alla selezione, il che pure è confermato ed ammesso dagli stessi selezionisti?1
Insomma, solo una brusca comparsa di qualche individuo, staccantesi dal tipo e capace di trasmettere ereditariamente il nuovo o i nuovi caratteri, sposta l'equilibrio delle razze2. Ma in questo spostamento di equilibrio la selezione non entra in alcun modo: ché, anzi, una selezione, che volesse prefiggersi di modificare in un senso o in un altro il nuovo o i nuovi caratteri, non potrebbe essa a sua volta ad alcun successo.
Gli argomenti dei selezionisti. Esistono in effetti linee pure? Come spiegare l'origine delle piccole specie?- Perché dovremmo riguardare i fattori ereditari come inviolabili quando tutto è in continua variazione negli organismi? Non è il periodo, a cui furono limitate le prove di W. Jahannsen per i fagiuoli (1903,1913), di Jennings per il Paramaecium (1908-1910) un periodo esageratamente breve, risibilmente breve, a paragone di quanto accade o può accadere in natura attraverso l'opera di più generazioni? La graduale evoluzione e quindi la efficacia della selezione non sono esse rese evidenti dalla paleontologia e dalla distribuzione geografica dei tipi vegetali e animali?3
1) Si ammette, inoltre, dagli antiselezionisti, che certe fluttuazioni, che dai fautori della efficacia della selezione sono considerate quale espressione di un unico fattore o di una sola unità ereditaria, costituiscano invece la risultante o la somma di diversi fattori agenti o nello stesso senso (fattori detti genericamente fattori modificanti). La selezione avrebbe l'unico ed esclusivo ufficio di determinare un diverso orientamento o una diversa combinazione dei diversi fattori multipli agenti in cooperazione: così anche l'alterazione o cangiamento della entità ed estensione della pigmentazione nei topi di Castle, dichiarata dal Castle alterazione in atto, non sarebbe dovuta che al formarsi di ricombinazioni di ciò che esisteva o ad una segregazione di fattori multipli che vanno appunto disgiungendosi nel processo di selezione. In Drosophila (ampelophila) vi sarebbero sette gradazioni di colore dell'occhio, dal bianco al rosso, ciascuna ereditaria secondo la formula mendeliana; non basta: per una sola gradazione (colore eosina) è stata accertata la presenza di sette fattori modificanti! Intervengono dunque condizioni sottilmente differenti per ogni singola sfumatura di colore, condizioni che per sé non producono effetti, ma che portano, in combinazione, a modificare la gradazione.
2) Vi è, infine, una scuola che non accetta neppure la teoria mutazionista: le così dette mutazioni non sarebbero che forme di disgiunzione di individui gameticamente impuri." Ogni variabilità non può essere che indice di eterozigosi" (Lotsv,1916).
3) " La trasformazione è materia di migliaia e centinaia di migliaia di anni: per un osservatore vivente tutte le cose viventi possono essere ingannevolmente stazionarie; invisibili flussi o maree di cambiamenti genetici in una o in altra direzione possono osservarsi solo attraverso lunghissimi periodi di tempo: le variazioni discontinue o mutazioni o salti, cui il biologo assiste, possono essere semplicemente increspature sulla superficie di codeste maree" ( Osborn, 1912).
W.E. Castle, le cui ricerche erano state destinate a
determinare l'eredità nelle serie delle variazioni continue in animali
a riproduzione biparentale, scriveva (1916): "La selezione può modificare
gradualmente e stabilmente un carattere; il selezionatore, secondo la direttiva
che più gli piaccia di prendere, può intervenire così da
alterare in atto il fattore ereditario del proprio materiale; le variazioni
quantitative si raggruppano attorno a medie, la posizione delle quali può
essere modificata da una selezione gradualmente ma permanentemente ripetuta;
la selezione come fattrice
di evoluzione può essere dunque risollevata a quel posto importante cui
l'aveva innalzata la stima di Darwin, un agente cioè capace di produrre
continui e progressivi cambiamenti nelle razze"4.
4) Ripigliando le sue memorie a intonazione polemica, il Castle nel 1917 diceva:" I mutazionisti affermano che nulla abbiamo all'infuori di variazioni brusche che possono sporadicamente apparire e che sono l'effetto di una nuova combinazione di caratteri preesistenti. Coloro che differiscono da essi, e che essi chiamano selezionisti, sostengono che la selezione può compiere ben più che un mero isolamento di variaizoni: io mi confesso un aderente a questa ultima, per quanto oggi un pò impopolare, tesi. Io la sostengo non perché Darwin la sostenne; non semplicemente perché paleontologi, sistematici e studiosi della distribuzione geografica in genere parteggiano per essa; non perché de Vries e Johannasen l'hanno attaccata, ma perché i fatti derivati dall'esperimentazione, e quali io li giudico, la provano".
"L'opposizione alla concezione della plasticità dei fattori ereditari scrive R. Goldschmidt (1918) è preminentemente basata su un terreno aprioristico. Le lunghe controversie, derivanti dal desiderio di interpretare le risultanze del Castle, pare abbiano avuto costantemente quale oggetto il punto di partenza: che è assurdo, cioè, ammettere che una selezione di variazioni quantitative abbia qualche cosa di comune con i caratteri del plasma germinale". Dalle sue analisi genetiche l'A. è invece portato ad affermare che in effetti la selezione "può cambiare la quantità di un fattore e anche i caratteri somatici determinati dalle differenze quantitative nei fattori, sino a che il limite fisiologico sia raggiunto".
E a riguardo della concezione di linea pura, Harris osserva:" La chiave di volta della teoria della linea pura è l'assunto che la selezione sia inefficace, eccetto che quale mezzo per separare genotipi già esistenti: se la chiave di volta non è salda, l'intera teoria crolla irrimediabilmente". Secondo Castle, la linea pura dei biologi è un assunto del tutto immaginario. "Io dubito molto, egli osserva, se una linea pura abbia mai potuto essere realizzata in alcuna razza attuale di animali o di piante. La differenza tra linea pura teorica e purezza effettiva di progenie è come la differenza fra il cerchio ideale matematico e un cerchio reale descritto anche dal più abile disegnatore"(1914). Sullo stesso argomento osserva inoltre F.M.Root:" Sono le linee pure realmente pure? Se nessuno può negare l'esistenza di diversi biotipi (e in natura per ciascuna specie, il loro numero va oltre l'immaginazione), come si sono essi originati? A quanto risale la loro esistenza? Possono nuovi ceppi o nuove razze scaturire da quelli esistenti, e, se così è, come? Se una specie fu trovata consistere in un numero di linee pure, diverse l'una dall'altra per minori caratteri di costituzione genetica, perché non ammettere che le linee pure siano a loro volta costituite da un numero di individui differenti l'uno dall'altro per caratteri ancora più minuti e similmente, non di meno, ereditari? Ciascun individuo eredita nei grandi tratti la costituzione della sua specie, in più minuti particolari quelli della sua linea pura, in ancora più minuti particolari quella del suo genitore, dal quale può a sua volta differenziarsi per altri punti egualmente trasmissibili" (1918)5. Parimenti per R.W. Hegner (1919) la formazione delle varie discendenze in certe forme minori appare come un vero caso di evoluzione, che si osserva in laboratorio allo stesso modo come occorre in natura. Avviso analogo esorimeva anche A.R. Middleton (1915), secondo il quale le numerose razze, più o meno differenziate per caratteri ereditari, che si riscontrano in tutti gli organismi inferiori, dovrebbero essere prodotte dalle diverse condizioni di ambiente.
5) Il Root propone anzi il termine di fluttuazione genetica o micromutazione alle caratteristiche minute di natura ereditaria, riservando il termine di mutazione propriamente detta alle differenze ereditarie di cospicua importanza.
La portata pratica delle discussioni, e deduzioni.- Facciamo una distinzione fra ipotesi e discussioni, che si attaccano al problema di natura dottrinale od astratta, e questione pratica o di applicazione. Può bensì essere interessanti di afferrare il meccanismo che presiede alla graduale modificazione di un carattere per selezione e conoscere il meccanismo può anche significare possibilità di dominare un decorso di fenomeni di precisare le condizioni più propizie per accelerare un determinato processo (il che si tramuterebbe, come si comprende, in un vantaggio pratico di portata immensa): pur tuttavia, in fatto di applicazione immediata, poco importa di sapere se le modificazioni ereditarie indotte per selezione in un dato organismo siano dovute alla effettiva alterazione graduale e in atto di un dato fattore o alla segregazione e ricombinazione di diversi fattori preesistenti ed egualmente capaci di intervenire, direttamente o indirettamente, nel determinare la modificazione ereditaria di un dato carattere.
Sta però che ricerche sperimentali hanno già fatto giustizia sommaria di tutto un fascio di credenze e di aforismi intorno ai cosiddetti miracoli della selezione, credenze e aforismi scaturiti da falsa o inesatta percezione dei fenomeni naturali e più legati a "espressioni di opinioni" che maturati attraverso effettive osservazioni6.
6) Alcuni dei capisaldi, che si riferiscono al significato, portata e confini del processo di selezione, sembrano, in verità, ancor oggi così negletti o ignorati da molti di coloro che si propongono di migliorare una determinata razza di piante o animali, che si assiste al ripetersi dei medesimi errori, al perpetuarsi delle medesime illusioni, allo stesso spreco di tempo e di energie, di cui potevano essere scusati gli studiosi di oltre mezzo secolo fa.
Nella grande maggioranza i geneticisti sono d'accordo nell'ammettere principalmente:
1°) che i successi registrati dai selezionisti debbono, almeno nella quasi totalità dei casi, essere ricercati nel fatto che si è operato non su razze pure, ma su mescolanze;
2°) che, in conseguenza, un lavoro basato sul sistema della "selezione in massa" è incomparabilmente più lento di quello che si appoggi sul metodo della selezione individuale o genealogica;
3°) che la separazione dei varii biotipi, che compongono una comune varietà commerciale, si può effettuare con una assai grande facilità (teoricamente di un salto) nelle piante che si riproducono col processo di autofecondazione e nelle piante (o animali) che si moltiplicano per via asessuale, che non nelle piante per le quali la riproduzione si compie con un processo di fecondazione incrociata o negli animali a riproduzione biparentale;
4°) che, comunque, un determinato effetto in una determinata direzione è incomparabilmente più facile all'inizio del lavoro e che frattanto la "plasticità", vera o presunta, di un tipo si ritrova confinata entro limiti, al di là dai quali non è possibile di conseguire con la selezione un qualsiasi ulteriore progresso;
5°) che il limite, oltre il quale non è possibile di conseguire un ulteriore perfezionamento di un carattere, va ritenuto coincidente col momento in cui un tipo ha raggiunto la sua più alta omogeneità, almeno rispetto a quel determinato carattere in causa;
6°) che solo un brusco passaggio di equilibrio (mutazione) del tipo stesso, raramente verificabile in atto, permetterebbe un profittevole ulteriore intervento del selezionatore.
2.- Il progressivo miglioramento della barbabietola da zucchero
I progressi, conseguiti dal tempo in cui le prime analisi di A.S. Marggraf accusavano un contenuto del 5 per cento di zucchero, hanno una storia che fu giustamente detto avere avuto del romanzesco. Orbene: se la barbabietola rappresenta in effetti una delle più meravigliose conquiste del cosiddetto processo di selezione, ci sia consentito, per incominciare pur su questo tema, di dire il senso di sorpresa e di stupore che si prova allorché si constata il concorde silenzio che su di essa mantiene la grandissima parte degli studiosi che si occuparono del problema della selezione sotto l'aspetto generale7.
7) Indarno, ad esempio, abbiamo cercato un solo accenno alla barbabietola nelle "letture" di H.S. Jennings (1917) e W.E. Castle (1917) pubblicate sotto gli auspici dell'Accademia delle scienze di Washington e corredate da larga bibliografia; e si osservi che uno dei due conferenzieri, il Castle, va annoverato, come si ripete, tra i più strenui propugnatori dell'efficacia della selezione!
Noi dobbiamo evidentemente riportarci al centro ove la barbabietola fu l'oggetto di un lavoro ininterrotto di miglioramento, cioè a dire nella media Europa. P.Schubart (ref.Briem, 1909) offre le seguenti cifre medie accertate per la Germania per il periodo 1838-1908:
Per l'epoca anteriore al 1838 mancano elementi positivi: le bietole del 1807 registrano un contenuto del 6-7 per cento, ricchezza che si mantiene pressoché stazionaria per un trentennio.
La scelta delle radici madri porta seme si compiva, all'inizio, in base ai caratteri esteriori, quali la forma e il peso; poi venne la scelta basata sul peso specifico delle radici immergendo queste in soluzione di sale comune (o di zucchero) e tenendo soltanto i soggetti affondati in soluzione a determinata densità, oppure la scelta era basata sul peso specifico del sugo estratto da una piccola parte di polpa in zucchero determinata col polarimetro. Data memoranda nella storia della selezione della barbabietola è segnata dal 3 novembre 1856, in cui Luigi de Vilmorin, riportandosi a sue precedenti indagini (1850)8, presenta all'Accademia delle scienze di Francia una comunicazione nella quale propugna il metodo della selezione indivuduale o per genealogia, principio altrettanto larga quanto produttrice di conseguenza di enorme portata.
8) Già nel 1850 luigi Vilmorin diceva: "Tutto ciò che io ho potuto osservare fino ad oggi sulla questione della trasmissione, per eredità, dei caratteri nei vegetali, mi fa pensare che è necessario d'individualizzare il più possibile le osservazioni. Così ho preso l'abitudine di raccogliere esaminare a parte il seme di ciascuno degli individui controsegnati di prima scelta; ed ho sempre notato che, fra questi individui, ve n'era qualcuno che dava un migliore rendimento degli altri e che io finivo per adottare come tipo unico di miglioramento".
Ma ai riguardi del nostro assunto, meritano di essere
soprattutto riprodotte, per l'alto interesse che offrono, queste cifre offerte
da B. Schulze su analisi eseguite a Breslau dal 1887 al 1908: da esse appare
in forma suggestiva, naturalmente con le variabilità da annata ad annata
in dipendenza dei rispettivi andamenti meteorologici, il progressivo guadagno
conseguito col lavoro di selezione:
H. Briem (1909) offre cifre non meno degne di rilievo:
Lo stesso Briem, per il triennio 1906-1908, fornisce altri dati pure meritevoli di citazione:
Coordinando le cifre delle due tabelle di Briem, ne esce un grafico che costituisce, per i fautori dell'efficacia della selezione, una brillante dimostrazione dell'azione cumulativa della variazione nella direzione massimale, secondo lo schema di R. Goldschmidt, e cioè con il simultaneo movimento degli interi gruppi quasi a ondate nello stesso senso; l'intero poligono di variazione si è mosso cioè definitivamente nella direzione della selezione.
Senonchè le statistiche degli ultimi anni segnano una stasi, che non può affatto stupire lo studioso dei problemi dell'eredità.
3.-La faticosa ascesa: come può essa spiegarsi di fronte agli altissimi titoli registrati pur anco dai primissimi selezionatori?
Dal punto di vista dottrinale si affaccia la domanda: la selezione ha potuto compiere le mirabili gesta semplicemente isolando e mettendo in valore attributi preesistenti, oppure il biologo ha assistito ad una delle più suggestive dimostrazioni di un effetto cumulativo per opera della selezione, al cambiamento in atto di una o più unità ereditarie?
Poiché lo studioso dei problemi della selezione non può trascurare, per le sue induzioni, il comportamento degli estremi, deve essere ancora una volta, ai riguardi del contenuto in zucchero della barbabietola nei primi tempi del suo sfruttamento industriale, rettificato un assunto, vorremmo dire una leggenda, che pur oggi corre per la maggiore. Quando, invero, si dice che le bietole accusavano, ai tempi di Marggraf e Achard, e lungo il periodo di parecchi lustri dopo, titoli bassissimi, si espongono dati che si riferiscono alle medie, anzi alle grandi medie. Ma già nel 1811, in cui la media non segnava, appunto, nella Europa centrale, se non lo scarsissimo contenuto del 6-7 per cento, erano stati segnalati soggetti con il 16.2 e persino col 18.2 per cento di zucchero (Briem, 1894); Oetken, 1915)9. E Luigi Vilmorin, che nel 1851 dichiarava di essersi trovato in presenza di una radice col 14 per cento e di molti soggetti col 13 per cento mentre altri individui del medesimo lotto accusavano appena il 7 per cento, alcuni anni dopo, nel 1856, segnalava per certe progenie la estrema ricchezza del 21 per cento. Balling nel 1859 registrava una saccarazione del 21.2 (Briem 1894).
9) Accennando a tali altissimi titoli al tempo di Achard e mettendoli in correlazione con quelli da noi registrati per la Beta maritima L.(cfr. nostra Memoria,1913) W.Oetken, dichiara che le nostre cifre (14 per cento) non debbono per nessuna guisa sorprendere, né trovarsi inopinate. Profittiamo per fare qui brevissimamente rilevare:1° che non è possibile di raffrontare un titolo zuccherino, riscontrato in bietole vegetanti nell'Europa media con quello di bietole vegetanti nella vallata padana, in quanto, anche a parità di razze, nel primo caso le piante possono immagazzinare molto più cospicue quantità di zucchero (se Marggraf avesse analizzato ai suoi tempi le bietole prodotte nella vallata padana, avrebbe forse registrato appena il 2-3 per cento); 2° che il nostro assunto era sostanzialmente quello di dimostrare che il tipo selvaggio vegetante lungo la costa occidentale dell'Adriatico, tipo sul quale noi abbiamo portato prevalentemente il nostro esame, non dovrebbe aver nulla di comune con la forma o le forme dalle quali si originarono le bietole note con la denominazione di foraggere od ortensi, che segnano, anche per i piccoli pesi, titoli bassissimi.
Ora, quando ci si trova a riguardare cifre come codeste e si pongono a raffronto con le medie generali accusate dalle bietole nella medesima epoca, e si passi quindi a considerare che occorre trascinarsi ad oltre quarant'anni più innanzi per vedere registrate medie che vi corrispondono, è giuocoforza di chiedersi quali cause possano essere intervenute a rendere l'ascesa così lenta e così faticosa, in particolar modo dopo che il metodo della selezione genealogica andò generalizzandosi! Quelle bietole estremamente ricche del 1811, e a maggior ragione quelle, ad ancor più alti pregi, del Balling e del Vilmorin, non fanno esse l'impressione di una avanguardia che si muova con una celerità e una snellezza incomparabilmente maggiori che non il grosso dell'esercito; di una avanguardia, i cui movimenti siano fortemente inceppati o neutralizzati dalla non armonica agilità della massa?
Se, invero, gli estremi delle variazioni (titoli bassissimi in contrasto con titoli altissimi), accertati nel periodo iniziale, fanno ancora e viepiù riconoscere che si operava su di una mescolanza disordinata di forme minori in una specie tipicamente eterogama, come può esplicarsi, alla stregua delle attuali conoscenze in materia di selezione, che gli spostamenti delle medie non siano risultati recisi e bruschi quando, coll'introduzione del metodo genealogico, il lavoro del selezionatore andò orientandosi verso l'esame delle qualità ereditarie delle discendenze da soggetti che presentavano i più cospicui attributi?
Né potrebbe qui invocarsi, benché altri
elementi di fatto manchino a suffragio, la così detta legge delle fluttuazioni,
secondo cui "gli estremi sono assorbiti dai medii", in quanto nel
caso speciale le deviazioni degli estremi dalle medie erano così enormi,
così paradossali, da non potersi, vuoi i soggetti a più alto titolo,
vuoi quelli a più basso contenuto in zucchero, riguardare per nessuna
guisa come "estreme fluttuazioni" di un tipo omogeneo; sibbene come
estreme fluttuazioni di diversi aggruppamenti di una popolazione. Le discendenze
degli individui a più alti titoli avrebbero dovuto, come si ripete, accusare
medie ben più alte di quelle apparse effettivamente, anche ammessa una
Fig. 4 - Schema di Jennings rappresentante una popolazione di Paramaecium
caudatum (ingrandimento circa 43 volte), scomposto nelle otto distinte razze
che la costituivano (ogni linea orizzontale rappresenta una singola razza).
L'individuo corrispondente per grandezza alla media della sua razza è
contrassegnato da una croce posta sopra di esso; la media dell'intero lotto
è data dalla linea X-X.
selezione "in massa" basata sul procedimento della graduale eliminazione
delle razze o biotipi meno pregevoli secondo lo schema di Jennings o di Lang:
una volta introdotto poi il metodo della scelta in base alla ricchezza individuale
e applicato il principio di destinare alla produzione del seme soltanto i soggetti
a più alte ricchezze, la separazione tra le razze "nobili"
e le razze "volgari" avrebbe dovuto compiersi, se non bruscamente
come accade per le piante autogame, almeno attraverso un numero di generazioni
incomparabilmente minore di quello che nella realtà fu richiesto.
Due cause potrebbero, a nostro avviso, avere preminentemente influito in senso limitante o inibitore:
a) Nel mettere a fruttificare le madri in massa il selezionatore, partendo dal falso convincimento, ancora oggi qua e là radicato, che i soggetti di qualità superiore giungessero a perfezionare i soggetti meno buoni, può avere, poste a fruttificare accanto bietole ad alto pregio e bietole meno elette. Dato, invece, che i soggetti meno pregevoli potevano rappresentare estreme fluttuazioni di forme inferiori, cioè, risubire l'inquinamento di quelle inferiori, e il selezionatore, suo malgrado, si trovava nella condizione di rifare da capo, e di volta in volta, una parte più o meno notevole del proprio cammino.
b) Adottando il metodo delle culture in genealogie, il selezionatore può avere classificate, quali discendenti da una determinata madre, delle bietole provenienti bensì dal seme effettivamente raccolto sulla stessa madre, ma derivante, in parte più o meno cospicua, da un inaspettato processo di fecondazione incrociata per contaminazione di polline estraneo di polline estraneo di soggetti inferiori o senz'altro volgari10. La parziale oggi accertata autosterilità della barbabietola permette di dare forte consistenza a codesta congettura!
10) Specialmente nei tempi passati era facile trovare
(e non di rado anche attualmente) culture di bietole foraggere da seme non lontane
da bietole da zucchero egualmente in seme. Mentre è facile riconoscere,
ai caratteri esteriori, i tipi ibridi quando è dominante il colore rosso
o giallo su quello bianco, non è mole volte possibile discernere una
radice ibrida da una zuccherina pura allorché si verifica il caso della
dominanza del recessivo (bianco sul rosso o giallo): non è che l'analisi
che permetta allora di svelare la natura ibrida dei soggetti; ma poiché
l'analisi non si compie mai sul materiale destinato alla produzione del seme
commerciale, un numero più o meno cospicuo di individui con "sangue"
volgare può portare a sensibili abbassamenti dei titoli delle bietole
da fabbrica. A maggior ragione il supposto trova su che appoggiarsi se a non
eccessiva distanza dalle zuccherine siano collocate a fruttificare bietole foraggere
o semizuccherine a "pelle" e "polpa" bianca.
Fig. 5 - Schema di Lang rappresentante un fenotipo
(razza impura o popolazione) scomposto nei diversi biotipi (linee o razze pure)
che lo costituiscono.
Si potrebbe obiettare che anche gli estremi massimali andarono a loro volta
spostandosi nella voluta direzione, così che, ad esempio, il 1905 e il
1908 portarono ad accertare titoli estremi precedentemente sconosciuti; si potrebbe,
inoltre, osservare che anche la struttura anatomica delle radici andò,
col processo di selezione verso i più alti titoli, parimenti modificandosi11,
mentre nello stesso tempo la bietola subì un progressivo affinamento
in modo da perdere sali e divenire più pura e quindi più rispondente
alle necessità industriali.
11) La struttura delle odierne barbabietole scriveva H.Briem, 1909 è tutt'altra cosa da quella del passato: il tessuto delle radici è andato gradualmente modificandosi col processo dell'alta selezione, e le differenze appaiono in modo manifestissimo". Lo stesso rilievo fecero molti altri sperimentatori, ma per brevità non vi accenniamo.
Senonchè si può contrapporre: i più alti titoli e il cambiamento di struttura delle radici debbono considerarsi quale un semplice responso della pianta a un graduale isolamento di biotipi superiori, cioè ad una più alta epurazione dovuta al successivo perfezionarsi dei metodi selettivi, oppure la conquista è il risultato di un effetto cumulativo attraverso ad un grande numero di generazioni?12. Se Luigi de Vilmorin avesse potuto servirsi di metodi molto più rapidi, quali sono quelli odierni, di analisi individuale, e quindi avesse potuto portare il suo esame, anziché su sole 2000 radici (1886), su alcune decine di migliaia di soggetti in derivazione da determinati capostipiti, in quell'anno stesso delle sue più classiche indagini avrebbero potuto rivelasri estremi massimali anche più trascendenti del 21 per cento? Se, sino dall'inzio del secolo scorso (ai tempi di Achard), anzi sino dai tempi di Marggraf, fossero stati conosciuti i sistemi che si basano sulla rapidissima scelta individuale e sulle separazioni di progenie, la "conquista" avrebbe potuto essere immediata o quasi? Avrebbe potuto il Marggraf stesso assistere personalmente al rapido maturarsi del "prodigio"?13.
Oppure il miglioramento o il nobilitamento del tipo doveva necessariamente, fatalmente, compiersi soltanto attraverso un lento e penoso succedersi di generazioni?
Vi sono lacune che indarno il nostro pensiero si sforza di colmare.
12) Il caso della barbabietola trova il suo riscontro, per quanto in veste meno classica, in quello che si riferisce alle ricerche di L.H.Smith (1908) (precedute da indagini di C.G. Hopkins) sul granoturco, destinate a ottenere razze ad alto contenuto in proteina, a basso contenuto in proteina, ad alto contenuto in olio, a basso contenuto in olio: il lavoro di selzione, intrapreso nel 1897 e durato sino al 1906, permise di portare i tipi rispettivamente a 14.26 e a 8.64 per il percento in proteina (più proteina rispettivamente e meno proteina, con un punto di partenza de 10.92) e i tipi per il percento in olio a 7,37 e a 2.66 (più olio rispettivamente e meno olio, con il punto di partenza del 4,70); le razze andarono dunque, come si vede, sempre più divergendo, così che dal punto di vista applicativo i risultamenti non avrebbero potuto essere più appariscenti e brillanti. Efficacia della selezione? "L'effettivo guadagno conseguito", scriveva al riguardo G.H.Shull (1911) , "può portare, come è naturale, alla conclusione che le fluttuazioni siano state ereditarie; ma si tratta di un ordine di fatti fondamentalmente distinto: è la presenza di una mescolanza di diversi tipi che una qualunque selezione permette di fissare parzialmente". Da un raffronto delle tabelle offerte dallo Smith F.M.Surface (1911-1913) deduce a sua volta che solo certe progenie hanno manifestato una tendenza cospicua a produrre i tipi aventi i caratteri desiderati: nel lotto selezionato per un più alto contenuto di proteina tutte le spiche dopo la non generazione costituiscono la discendenza della medesima spica originaria. "Certo rimane conclude il Surface che i metodi usati portarono agli effetti che si desideravano, ma non si può dare molto valore alle ricerche per il modo con il quale furono condotte". Lo stesso Smith (in collaborazione con H.L.Rietz), un decennio dopo (1917), dichiarava che ulteriori divergenze nella composizione di due gruppi a serie antagonistica non erano state più notate, malgrado la continuata selezione.
13) A proposito delle ricerche di Smith, osserva E.M.East (1912)che, portando il proprio esame su un numero molto maggiore di soggetti di quello che non abbia fatto lo Smith, egli ebbe in una sola generazione un aumento del contenuto in proteina comparabile a quello ottenuto alla stazione dell'Illinois in tre generazioni. Per la stessa serie di considerazioni, East estende la sua critica alle risultanze delle prove di W.E.Castle sul Mus rattus: una volta preso come punto di partenza un carattere in condizioni di fluttuazione, se il Castle avesse seguito un numero di soggetti molto più grande, si sarebbe forse trovato in una sola geenrazione in presenza di varianti altrettanto estreme quali quelle avute soltanto attraverso molto più numerose generazioni.
4.- A quale massimo può giungere la ricchezza di una barbabietola?
Il valore ereditario delle bietole a estreme ricchezze.
Quale limite estremo può raggiungersi nel contenuto in zucchero delle radici, supposte le condizioni più eccezionalmente propizie in cui interni attributi e condizioni esteriori agiscono di conserva?
Nel 1908, annata favorevolissima nell'Europa media ad un cospicuo trasmigrare di zucchero nelle radici, J.Peklo trovava in Boemia bietole col 25 per cento di saccarosio, ed un soggetto fu analizzato che segnò il 27.3, e, siccome l'analisi venne effettuata solo dopo l'insilamento invernale, presumibilmente la stessa radice avrebbe dovuto accusare oltre il 28% se si fosse esaminata nell'autunno all'atto dell'escavo (cfr. Briem, 1909, a). Il Pritchard (1916) trovava a Madison bietole col 26 per cento e un esemplare gli accusò il 30 per cento. E già dicemmo di bietole 34% segnalate ad Aulard nella California.
Senonchè vi sono delle armonie e delle coordinazioni di processi che non possono spezzarsi. "Sino a quale massimo sia possibile aumentare il contenuto delle bietole in zucchero osservava H. Briem nel 1909 non è facile predire, in quanto i confini non possono essere segnati dalla volontà o dalle cure del selezionatore, ma da una forza superiore, cioè dalla natura e dalle sue leggi. E' questione di concentrazione di succhi e di equilibri".
Il problema non è stato a tutt'oggi completamente elucidato, almeno, i lavori che la letteratura registra risalgono a un periodo relativamente remoto allorché la barbabietola non presentava, come oggi, una struttura così "plasmata alle nuove funzioni" (Briem) in dipendenza dell'opera del selezionatore. Certo è che i cambiamenti quantitativi possono persino condurre, come dice il Goldschmidt, ad impossibilità fisiologiche, e quindi perfino all'anomalo od abnorme.
Ma quale allora il valore ereditario dei soggetti ad
estrema ricchezza? Riferendosi a barbabietole col 26 e più per cento
di zucchero, H. Briem, sempre nel 1909, scriveva: "Tali bietole denotano
disturbi di natura diversa, per es. un disturbo nella circolazione dei succhi,
in conseguenza della mancanza di grosse cellule parenchimatose immagazzinanti
l'acqua o in conseguenza di altre cause analoghe. Non si possono dunque considerare
queste radici come appropriate alla selezione, e conviene gettarle". Allo
stesso modo si esprimeva J.Möller nel medesimo anno. "La casa Khun
(Olanda) scrive de Vries- preferisce le bietole ad alte, ma non straordinarie
percentuali. I più alti titoli segnati dal polarimetro non danno la prova
che ci troviamo realmente in presenza dei migliori rappresentanti
della razza "(1912). Altrettanto sentimmo ripetere da altri selezionatori.
E' necessario però qui ricordare che non può per nessun modo attribuirsi al solo ed esclusivo motive delle trascendenti ricchezze il fatto per cui le discendenze delle bietole estremamente ricche accusano medie normali o mediocri: i soggetti ad altissimo contenuto in zucchero danno, cioè, discendenze di media ricchezza, non perché aberranti o anomale, ma perché sono estreme fluttuazioni di un tipo medio. Vi sono stati persino degli sperimentatori che, nel mettere in correlazione gli attributi di una bietola con quelli della sua progenie, non hanno dato il voluto peso all'influenza dei rispettivi decorsi delle stagioni; non vi sono cioè neppure chiesti se la madre non potesse essere l'esponente di una estrema variazione massimale in un annata eccezionalmente favorevole al processo saccarogenico, e se la discendenza non avesse potuto invece costituirsi in una annata poco propizia all'immagazzinarsi dello zucchero nel tessuto radicale: quasi pacificamente ammettendosi che una bietola, una volta giunta a segnare un dato titolo, dovesse generare una discendenza, se non migliore, almeno uguale, non mai attributi inferiori, e come se gli attributi di una discendenza potessero essere presegnati dalle qualità di una madre.
5.- La barbabietola da zucchero può oggi considerarsi non più suscettibile di ulteriore perfezionamento?
Per quanto l'attuale "nobilitata" barbabietola da zucchero non possa assolutamente definirsi in significato genetico una "razza pura" e tanto meno si possa, come vedemmo, per la medesima parlare di "linea pura", ci troviamo oggi in presenza di una forma che ha "completata la sua evoluzione", di una "razza specializzata", non più modificabile con processo di selezione, per cui la quantità di zucchero capace di accumularsi nella radice debba esclusivamente ritenersi in dipendenza delle condizioni esteriori e non del tipo? L'espressione del carattere "contenuto in zucchero" è giunta a quel limite per cui a determinate condizioni di ambiente si ottengono le medesime medie e si registrano le medesime variazioni tra gli estremi tanto nelle discendenze di individui dalla media staccantisi nella direzione massimale quanto nelle discendenze di soggetti devianti dalla media nel senso minimale? Quale differenza intercorre, in altri termini, tra le qualità ereditarie di soggetti, che accusano all'analisi ricchezze trascendenti, e il valore delle bietole, che il selezionatore inesorabilmente condanna come quelle altrimenti capaci di denobilitare il "sangue" delle razze inscritte nel suo libro d'oro? Si tratta delle medesime differenze che passano tra una spica lunghissima ed una spica cortissima di una linea pura di grano, tra un fagiuolo di peso eccezionalmente grande ed un fagiuolo di piccolo peso di una linea di Johannsen, tra un Paramaecium di grande mole ed uno di piccola mole di una delle razze di Jennings, cioè differenze che, anche in una razza fissata o in una razza omogenea, rientrano nella categoria delle variabilità o fluttuazioni assolutamente non ereditarie? Oppure, per contrario, ammessa un'azione cumulativa nel fattore o nei fattori ereditari, la "plasticità" del tipo può fare concepire speranze di ulteriori perfezionamenti? Oppure la possibilità di ulteriori miglioramenti degli attributi del tipo non può intravedersi che attraverso bruschi spostamenti o mutazioni?
Il tema non ha avuto, negli ultimi tempi, malgrado la sua altissima importanza pratica, quella larga trattazione e discussione e, ciò che più vale, quel largo contributo di sperimentazione che meritava. Nel 1904 E. Proskowetz scriveva: " Si può affermare che i confini della facoltà ereditaria siano così lati da far ammettere come del tutto naturale che possa ottenersi un aumento nel contenuto in zucchero della radice senza scapito della quantità di prodotto". H. Briem, trattando alcuni anni dopo la stessa questione, diceva (1909):" E' da presumersi che la barbabietola sia suscettibile di ulteriore miglioramento, sia per il contenuto in zucchero, sia per la quantità di raccolto per ettaro". Pressappoco lo stesso parere esprimeva più tardi H. Cron (1912). Nel 1915 E. Schribaux osservava:" La barbabietola è ancora lontana dalla sua ricchezza massima" ma "l'ascesa progressiva del tenore in zucchero è oggi giorno poco marcata". Senonchè chi prospetta il problema dal punto di vista genetico e in base a rilievi sperimentali è F.C. Pritchard (1916), secondo il quale "il costo dell'analisi delle cosiddette radici madri costituisce un assoluto spreco di danaro (an absolute waste of money)", onde più che la selezione continuata, l'isolamento delle mutazioni offre solo la possibile promessa di miglioramento della barbabietola.
Ciò che sarebbe sinora risultato dalle nostre prove. Siamo, nel principio, pienamente d'accordo col Pritchard nel ritenere gli odierni soggetti ad alto titolo quali estreme fluttuazioni di un tipo omogeneo e quindi di dubbio valore ereditario allorché soprattutto si pongano a fruttificare in mescolanza. Il gran cumulo di dati nel triennio 1914-1916, che trovano il loro posto nelle apposite tabelle allegate alla presente memoria, ne costituivano già nel nostro conto la prova e il documento. Fu, anzi, il complesso delle nostre osservazioni che ci indusse, sino dal 1915-1916, ad incoraggiare nel paese nostro la produzione di seme bietola con la scelta dei soggetti basata sui semplici caratteri esteriori.
Casi di cosiddetti insuccessi con l'impiego di seme di superélites erano del resto già registrati anche in Italia. G. Mori (dati non pubblicati) non otteneva, ad esempio, da un nobilissimo seme, fornitogli a prezzo enorme da una nota casa della media Europa, radici che si scostassero, per contenuto in zucchero, dalle bietole comuni di altre umili marche14. Abbiamo, anche, la profonda convinzione che un numero di casi ed una serie di analoghe cifre potrebbero essere raccolte a scopo di studio (uno studio del più alto valore!) se i selezionatori di professione rendessero nota soltanto una parte delle loro delusioni e delle loro intime amarezze di indagatori! Il che va a dare, almeno per certi punti di vista, consistenza a quello che potremmo chiamare il paradosso di Pritchard, e cioè che la spesa sostenuta per l'analisi non è che un reale spreco di denaro.
14) Ci comunicava parimenti V. Peglion di essere stato incaricato nel 1919 della prova di un tipo "superélite": l'analisi delle radici derivate da detto seme non rivelò alcunchè di superiore. T. Valbusa, egualmente nel 1919, ebbe a fare analoghe constatazioni sulle discendenze di bietole ricchissime da lui stesso analizzate in Romagna (dati non pubblicati).
Nessuno può nondimeno mettere in dubbio che in
ogni campo a barbabietole si osservano bietole sporgenti, soggetti saliti a
seme il primo anno, soggetti a testa estremamente appuntita, radici legnose,
teratologiche, ecc. Ora, o la presenza di questi soggetti devianti o abnormi
indica che, malgrado la continuata selezione, il tipo non ha ancora raggiunto
il voluto limite di omogeneità o di costanza, oppure si tratta di forme
mutanti o di diversi equilibri che assume la pianta a determinate condizioni:
nell'un supposto o nell'altro, dato che si tratta di caratteri che, come è
anche risultato dalle nostre indagini, sono pressoché sempre trasmissibili
(non si tratta qui, di semplici fluttuazioni senza valore ereditario), la eliminazione
delle forme stesse si rende necessaria.
Tutto sta frattanto nello stabilire se per questo scopo e allo stato di perfezionamento cui è pervenuta la barbabietola, non potesse bastare una semplice scelta di base a caratteri morfologici, oppure se un'analisi per separare le bietole più ricche da quelle meno ricche, per far produrre seme solo alle prime, non sia in effetti strettamente necessaria.
D'altra parte, è il Pritchard un mutazionista nel senso di non ammettere un ulteriore progresso se non attraverso un brusco passaggio di equilibrio del tipo? Ma poiché si tratta di un attributo, quale è quello della facoltà di trasmettere il carattere in causa, che si rivela solo attraverso una discendenza (dice il Pritchard: "le mutazioni non sono necessariamente distinguibili per caratteri morfologici dagli altri individui della varietà"), non si può non riconoscere nell'analisi individuale il mezzo e il metodo per giungere alla necessaria separazione dei tipi.
Possibile scelta di altre vie? Pur ammesso che non fosse dato, anche per quelle supreme leggi segnate da condizioni di equilibrio, cui accennavamo dianzi, andare al di là di determinati limiti estremi, il selezionatore non potrebbe orientare il suo lavoro in modo da ridurre praticamente al minimo le deviazioni dalle medie? Quanto più fissa è una razza, si dice, tanto più gli estremi si avvicinano alla media; e se si potessero avere titoli elevati non solo con soggetti a piccolo peso ma ancora con soggetti a grande peso, la media generale di un lotto automaticamente si eleverebbe; e invero noi stessi avemmo l'opportunità di ciò verificare ripetutamente.
E non potendosi aumentare la capacità di immagazzinare saccarosio al di là di un determinato massimo percentuale, gli sforzi del selezionatore non dovrebbero tendere ad esaltare nella pianta la facoltà di accrescere il proprio peso, in modo da aversi, a parità di contenuto zuccherino delle radici, un più elevato prodotto e quindi una più grande quantità globale di zucchero per ettaro? Alcuni selezionisti affermano che lenti cambiamenti di grandezza e di dimensioni possono sempre sperarsi con la graduale selezione, anche a prescindere dagli incroci15. Nel 1919 analizzammo cinquemila bietole del peso superiore a due chilogrammi, prescegliendo da esse i cinquanta soggetti di più alta ricchezza, che saranno seguiti con tutta cura. E allorquando poi il problema della selezione proceda con quello culturale, possano avverarsi le profezie di Giorgio Ville, che in una conferenza tenuta a Parigi nel 1899 esclamava:" due obiettivi io vado perseguendo: 1000 quintali di radici e il 22 per cento di zucchero"?
15) Riferendosi alle razze animali, dice il Castle (1912):" quando noi consideriamo quali estreme differenze di dimensioni esistono tra i cani, possiamo a stento dubitare che i limiti delle variazioni in grandezza siano state effettivamente raggiunti nella gran parte delle nostre razze".
Per concludere. Poiché, in applicazione, occorre togliersi dal terreno delle teorie e delle supposizioni, sul quale la fantasia e la poesia trovano facile ed abbondante alimento, sarebbe vana e infantile illusione perseguire ulteriori notevoli risultati, se non altrettanto brillanti e decisivi come quelli del passato. Riallacciandoci alle considerazioni esposte trattando la questione dal punto di vista generico, riporteremo qui, a mò di chiusa, due pensieri ancora di H. de Vries, l'uno apparentemente in opposizione con l'altro: "a un dato istante si perviene a un limite, raggiunto il quale, non centinaia d'anni di continui sforzi nella stessa direzione sarebbero capaci di aggiungere alcunché in più degli effetti precedentemente registrati"; "per debole che sia una variazione, essa non è giammai trascurabile quando diviene ereditaria".
Or come si potrebbe accertare se il selezionatore della barbabietola da zucchero sia decisamente pervenuto alle sua colonne d'Ercole, segnantigli un inesorabile nec plus ultra?
6.- La questione della "brusca degradazione" e del "ritorno al tipo primitivo" in mancanza di selezione.
Dato, e, se si voglia, non concesso, che non sia oggi sperabile un ulteriore miglioramento del tipo, alla selezione non dovrebbe essere almeno commessa la grande e parimenti importantissima funzione di mantenere il tipo stesso al livello cui lo ha portato la graduale opera di perfezionamento?16
16) Anche per le razze o linee appartenenti a specie normalmente autogame si ammette dai più che la selezione, se pur non capace di perfezionare un tipo, abbia il prezioso ufficio di conservarlo. Non tutti i genetisti sono però di questo avviso. C. e H.Hagedoorn, riferendosi alle constatazioni di Ph. Vilmorin, riguardanti la sorprendente fissità di alcuni tipi di grano attraversoo una cultura in selezione di cinquant'anni (cfr.Ph. de Vilmorin, 1911) osservano (1913;1914):La maggioranza delle persone opina che, non appena la selezione cessa, la varietà incominci a degenerare: l'opinione è soprattutto alimentata e sostenuta da parte dei commercianti di seme, secondo i quali non solo una ininterrotta selezione migliorerebbe gradualemente la varietà, ma permetterebbe inoltre di conservare alla varietà i suoi pregi e le sue caratteristiche. Per nessun rispetto invece, secondo gli AA., la selezione, anche se lungamente continuata, è capace di effettuare un cambiamento; non solo, ma una razza ad accertata purezza originaria non "degenera" in mancanza di selezione; né persino una selezione in altre direzioni potrebbe farla "degenerare". Gli Hagedoorn recano però gli stessi una opinione, non un contributo sperimentale.
Interrompendo per una o due generazioni il lavoro di selezione, la barbabietola degrada rapidamente o bruscamente?
Sospendendo del tutto il processo selettivo o sospendendolo per una lunga serie di generazioni, si ha senz'altro un "ritorno al tipo primitivo o originario?".
Vediamo alcuni pareri riferiti a date non soverchiamente lontane:
J. Costantin (1906). " Per mantenere questa pianta di grande cultura a così alti gradi di perfezionamento, i selezionatori devono essere sempre sul qui-vive. Alla minima trascuranza, alla minima cessazione del lavoro i risultati acquisiti possono svanire. Noi non ci troviamo di fronte se non a tipi nobilitati progressivamente e non a forme cambiate bruscamente. L'agronomo dovrà essere costantemente sulla breccia, accanito nel suo lavoro di ricostituzione delle specie create da lui, che la natura tende a distruggere e a far scomparire".
H. de Vries (1907): "I caratteri della barbabietola rimangono in dipendenza della selezione. Se la moltiplicazione per una o due generazioni senza polarizzazione è consentita od imposta dalla necessità della pratica, la mancanza di selezione per più di due generazioni distruggere pressoché tutti gli effetti dell'intero sistema". Alcuni anni dopo (1912) lo stesso autore scriveva:
"La barbabietola da zucchero, la più antica pianta coltivata sottoposta a selezione, non è affatto affrancata dalla necessità di una continua selezione, senza la quale non si manterrebbe costante, ma degraderebbe con grande rapidità".
H. Briem (1908):"Non appena cessasse la selezione, la pianta ricadrebbe o tornerebbe al tipo primitivo od originario" (l'autore ripetette a parecchie riprese il medesimo concetto).
L. Blaringhem (1912):" E' la scelta ripetuta ogni anno, accompagnata da qualche accorgimento culturale, che mantiene il tenore medio in zucchero di una razza al 15 per cento, mentre la razza stessa, abbandonata a sé, fornirebbe appena il 5-6 per cento".
N. Bernard (1916):"La barbabietola da zucchero costantemente selezionata per un mezzo secolo passava da 8 per cento di zucchero a un tenore medio del 15 per cento. Codesto resultato non è acquisito che a prezzo di una selezione rigorosa incessantemente effettuata nella grande cultura".
F.J. Pritchard (1916):"E' corrente credenza che le bietole da zucchero deteriorino in qualità allorché la selezione sia tralasciata, ma non vi sono prove che ne offrano la dimostrazione assoluta. Un abbassamento graduale per un numero limitato di anni non è necessariamente l'indice di un permanente deterioramento, poiché possono intervenire a provocare il fenomeno le circostanze esteriori indipendentemente dagli attributi delle progenie: in fatto la percentuale in zucchero può abbassarsi per due o tre anni consecutivi, ma poi rialzarsi ancora sotto favorevoli condizioni". "Se la bietola deteriorasse per mancanza di selezione, già il seme commerciale dovrebbe produrre radici più povere rispetto al seme delle madri scelte e analizzate, dato che tra l'una e l'altra generazione ve n'è una intermedia che non si sottopone a selezione". L'A. cita i risultati di una prova, dalla quale appare che la media ottenuta dalle bietole provenienti da seme cosiddetto commerciale, non solo non è stata inferiore, ma persino superiore a quella ottenuta dalle radici provenienti da seme di madri analizzate della stessa progenie (15.5 per cento contro 15).
F.S. Harris (1917):"La produzione di seme bietola capace delle più alte ricchezze domanda una costante selezione. Se fossero messe a fruttificare insieme tutte le bietole di un campo senza distinzione, e ciò per un certo numero di anni, è logico inferire che si andrebbe incontro ad un rapido deterioramento del tipo". "Per la bietola il buon seme può ottenersi soltanto mercé un grande cumulo di cure e con un lavoro sistematico". " Il processo di selezione intensiva, compiuta relativamente in un periodo molto breve, non ha potuto permanentemente fissare nelle bietole il desiderabile alto contenuto in zucchero". " Il fatto che la bietola attuale deriva da una pianta a contenuto zuccherino relativamente molto basso, rende instabile il carattere e, se la selezione non è continuata, il deterioramento occorre rapidissimamente".
E. Saillard (1917):" L'osservazione mostra che si può ottenere un seme accettabile partendo da buoni semi commerciali anziché da seme di élite. Ma è bene aggiungere che non converrebbe continuare queste riproduzioni lungamente, anche se si trattasse delle migliori varietà zuccherine". "Non si può giammai dire che una varietà di bietola è permanentemente fissata: l'atavismo tende sempre, infatti, a riprendere i suoi diritti. E' un fortuna, del resto, che la bietola non sia una pianta fissata, perché la variabilità rende anche possibili i miglioramenti". Lo stesso A. nel 1918:"La riproduzione che non comporta alcuna analisi di selezione, alcun controllo della potenza ereditaria, può certamente essere praticata senza troppi inconvenienti durante una o due generazioni, se si parta da un buon seme commerciale ben fissato dalla selezione; ma se la si continua più a lungo, essa condurrebbe fatalmente a una retrogradazione di ricchezza e di rendimenti". Parere analogo è espresso nel rapporto che il Saillard presentò, insieme con E.Schribaux, alla Commissione del seme di barbabietola del Ministero di Agricoltura di Francia.
Vi sono, dunque, autori che parlano di una degradazione lenta verso un tipo di minore ricchezza; vi sono coloro che accennano ad una rapida e brusca degenerazione; vi sono, infine, correnti, secondo le quali, sospendendo la selezione, la bietola tornerebbe al tipo primitivo. Altri, per contrario, negano che, sospendendo la selezione, il tipo degradi.
La tesi del ritorno al "tipo primitivo" alla luce delle dottrine genetiche.- Tre sono le possibilità in causa:
1° La odierna barbabietola zuccherina non è che il tipo nobilitato della barbabietola da cui inizialmente si procedette: nella massa, dotata di prodigiosa plasticità, la selezione ha permesso di esaltare in sommo grado un attributo originariamente incospicuo. In tale ipotesi il ritorno senza selezione al tipo primitivo va ammesso come naturale. Il "ritorno" dovrebbe poi verificarsi in progressione molto più rapida praticando sul tipo odierno una graduale selezione nel senso minimale.
2° La forma attuale si è originata attraverso ricorrenti bruschi passaggi da tipi più poveri a tipi meno poveri; e il selezionatore è intervenuto semplicemente per separare mano mano e man mano conservare i tipi rispondenti ai suoi fini. Il deterioramento, senza selezione, dovrebbe in questo caso verificarsi attraverso bruschi passaggi da tipi più ricchi a tipi meno ricchi. Non intervenendo, però, qui il selezionatore a separare e a mantenere soltanto i tipi meno ricchi, la massa, costituita insieme da tipi più ricchi e da tipi meno ricchi in mescolanza, potrebbe giungere al tipo originario soltanto attraverso un numero di generazioni incomparabilmente più grande di quello occorso per il passaggio dalla forma originaria alla forma odierna e soltanto ammettendo che la comparsa, per mutazione, di tipi meno ricchi da tipi più ricchi procedesse con un ritmo molto più celere del reciproco e che i tipi meno ricchi esercitassero un prepotere o una azione sempre più soverchiante: la quale ipotesi dovrebbe apparire, dal punto di vista naturale, pressoché insostenibile.
3° La selezione non ha agito in sé, ma indirettamente portando alla graduale eliminazione o "crivellatura", dalla mescolanza originaria, dei tipi di minor pregio. La mancanza di selezione non potrebbe mai, in tale ipotesi, far tornare la barbabietola al tipo originario, a contenuto zuccherino estremamente basso, in quanto i tipi volgari più non esistono nella popolazione. Se "bietola primitiva"17 significhi appunto, il che sembra nel pensiero degli autori, il tipo sul quale portarono il loro esame Marggraf e Achard18; nessuno può affacciare il dubbio che non si trattasse di un ibrido ipercomplesso, nel quale la selezione ha evidentemente agito nel senso di separare forme in graduale e metodica disgiunzione. L'uomo, senza avvedersene, ha compiuto, oltreché una analisi chimica, una vera e propria analisi genetica, allontanando l'uno dall'altro i componenti dell'ibrido: il selezionatore di barbabietole ha inconsciamente fatto del mendelismo prime del Mendel stesso; e ne è uscito appunto (curandosi il selezionatore di seguire solo la direzione massimale) il tipo zuccherino, che fu l'oggetto di ulteriori e graduali epurazioni o "perfezionamenti".
17) Per "bietola primitiva" potrebbe anche
intendersi bietola spontanea o selvaggia: avremo occasione di tornare espressamente
su questo tema per dimostrare che
l'interpretazione in tale senso va recisamente esclusa.
18) Basterebbe porre bietole foraggere e ortensi a fruttificare con zuccherine, e fra loro poi i rispettivi ibridi per ricostituire in una o due generazioni quella che presumibilmente doveva essere la barbabietola di Marggraf e Achard. A suo tempo renderemo note osservazioni in corso.
Accettando l'ultima ipotesi (e non vi sono argomentazioni per non doverla accettare) parlare di "ritorno alla forma primitiva" senza selezione significa un effettivo non senso.
Confidiamo che le osservazioni, da qualche anno avviate su larga base sperimentale, ci consentano di recare, a riguardo della degradazione senza selezione, ed ancora specificatamente ai riguardi del problema del cosiddetto ritorno al tipo primitivo, una risposta non del tutta imprecisa.
7.-Nostri esperimenti di "selezione in massa"
Contrari, per assoluta questione di principio, al metodo della così detta selezione in massa, iniziati i nostri lavori quando era possibile pensare a un'opera tranquilla e lenta di un decennio senza che il paese reclamasse dalla Stazione nostra del seme, ci chiedemmo nel 1916 se non valesse comunque il merito di tentare, con una prova in grande, di sottoporre a preciso controllo il metodo stesso; e, profittando di un cospicuo contributo straordinario concessoci dall'on. Raineri, allora Ministro per l'Agricoltura, volemmo metterci nelle condizioni più favorevoli per il buon successo dell'esperimento.
Perciò su una superficie di ettari 40 circa di cultura, in tenimento "Tassina" dell'ingegnere L. Nagliati (Rovigo), lungo il periodo 2-21 settembre , nel quale il personale dell'azienda procedeva con febbrile alacrità all'escavo delle bietole da spedire in fabbrica, dislocavamo una nostra squadra addestrata che, parte escavando per suo conto, parte scegliendo dal materiale già estirpato, procedeva ad una prima separazione di circa 150 mila soggetti, su cui il nostro personale tecnico faceva nuove e più rigorose eliminazioni riducendo il materiale a 50 mila e, successivamente, a 30 mila soggetti. Questi venivano quindi passati in soluzione salata (cfr. prospetto capitolo VIII), che ci permetteva di separare circa 4500 bietole tra affondate e verticali. Aggiungendo alle verticali ed affondate un numero pressoché uguale di galleggianti ed oblique di forma bellissima, portavamo in laboratorio circa 9 mila individui: dopo l'esame dei quali non conservammo, per la prova di fruttificazione in massa, se non circa il 10 per cento del materiale migliore.
Or diremo che, per quanto da un lato il concetto dottrinale ci portasse a riguardare quel materiale con un certo scetticismo, era pure in noi, da un altro lato, così radicata la persuasione che "qualche cosa nel tutto volgare" doveva trovarsi a noi di fronte (quegli ottocento soggetti, meravigliosi per forma e veramente "superiori" per contenuto in zucchero, non rappresentavano la più eletta forma parte di parecchie centinaia di migliaia di bietole?), da sentirci indotti a proteggerle contro eventuali grandinate con una rete metallica, per la quale sostenemmo una spesa di otto mila lire : così che il seme, dalle stesse derivato, lo chiamammo per distinzione "seme di sotto rete".
Il 1918 misuravamo le qualità ereditarie del
seme di "sotto rete" in diverse condizioni di terreno e in serie ripetute:
ma accanto vi ponemmo, caso per caso, altri tipi e tra questi naturalmente il
seme derivato dallo "scarto" delle stesse bietole Tassina, che nel
1917 avevamo posto a fruttificare in una campagna discosta dalla nostra sede
parecchi chilometri.
Bietole madri del 1916 fruttificanti nel 1917 sotto
rete e perifericamente protette da groso filtro di saggina.
Resultati? Il seme delle bietole innalzate agli oneri dello speciale riparo
non palesava qualità superiore a quello delle bietole di scarto. Lo steso
identico comportamento fu accertato inoltre in una più larga prova del
1919, i cui dati hanno permesso di costruire i due grafici assai dimostrativi
della tavola allegata ("Selezione" inefficace).
Senonchè, operando nel 1919 su altre masse, la differenza tra il comportamento delle serie massimali in confronto alle serie minimali apparve evidentissima, come risulta dagli altri due grafici riprodotti in contrasto sulla stessa tavola. Il materiale dal quale partimmo nel secondo caso non era "omogeneo", e su esso la selezione ha agito "per eliminazione"?
8.-Il valore in atto del metodo genealogico nelle razze pure od omogenee
Il principio della selezione individuale, in una razza costante o a caratteri altamente fissati, non ha, non può avere la importanza che esso ha allorché si opera su una razza o in una mescolanza di tipi. Invocare oggi frattanto i successi prodigiosi conseguiti e segnalati da Luigi Vilmorin per decantare, come si fa ancora da qualche studioso, le virtù della selezione genealogica è impostare un problema senza conoscere il significato e la portata dei valori sui quali si è chiamati ad agire. Ma se seguire nondimeno le discendenze di singoli individui significhi possibilità di rivelare fortuitamente eventuali intime tendenze a deviazione dal tipo la sola arma della quale possa servirsi il selezionatore.
Tanto più si impone poi il metodo genealogico quando il selezionatore è portato ad operare su una pianta in un ambiente diverso da quello del suo centro di lunga cultura. Sia che le razze locali derivino invero da un semplice processo di separazione e di diffusione di biotipi preesistenti e preadattati (nel nostro caso soggetti capaci di continuare a vegetare con un certo rigoglio anche nei momenti più critici del periodo estivo), sia che esse derivino da spostamenti di equilibrio determinati dal mutamento di ambiente, sia che si ottengano per processo di incrocio, non è concepibile di ottenere razze locali se non attraverso il processo genealogico.
A differenza, però, di quanto accade per altre piante, il problema nella barbabietola fortemente si arruffa in conseguenza delle due condizioni di fatto sulle quali già abbiamo portato il nostro esame: difficoltà di stabilire se quella, che va normalmente considerata la discendenza di una determinata barbabietola, sia effettivamente costituita di individui derivati dalla stessa madre autoimpollinata; possibilità di affievolimento o "degenerazione" del tipo senza lo stimolo della eterozigosi. Procedere in un pelago irto di cotanti scogli richiede accorgimenti e cautele che rendono quanto mai pericoloso il cammino.
E ad ogni caso, nella grave difficoltà di stabilire quale o quali dei soggetti prescelti dopo l'analisi costituiscano delle estreme fluttuazioni e quale o quali nascondano invece un eventuale attributo, nuovo o preesistente, trasmissibile, e affinché quindi un ulteriore lavoro di selezione o di separazione offra una qualche probabilità di successo, non può intravedersi altro metodo che quello di ricorrere allo studio comparativo delle discendenze del più grande numero possibile di soggetti: il che vedremo tra poco.
9.-Metodi e procedimenti non più giustificati dalle attuali conoscenze nel campo della genetica
Il concetto della esclusione dei pesi minimi e il valore delle tabelle di riferimento peso a ricchezza. Vi è la consuetudine di escludere dal privilegio di aspirare all'onore dell'analisi i soggetti che abbiano un peso minore di un minimo prestabilito (400-500 grammi). Evidentemente si parte dal presupposto che le bietole di scarso peso non possano dare una discendenza ad alta produttività; e siccome il seme, se deve riuscire di gradimento ai fabbricanti di zucchero, non deve neppure suscitare diffidenze e prevenzioni nei coltivatori, che amerebbero di sapere il seme derivato da bietole di grande mole, nessuna casa oserebbe dichiarare di essere partita da madri di minimo peso, sotto pena di avviarsi ad un successo commerciale.
L'osservazione dimostra come si possano ottenere discendenti a peso normale da soggetti di minimo peso, e viceversa (non di rado, anzi, e lo accertammo noi pure ripetutamente, si hanno delle progenie con tendenza al nanismo da soggetti relativamente molto pesanti). Già lo aveva dimostrato anche Briem (1911): soltanto, mentre il Briem ne dava la dimostrazione, la casa Wohanka, di cui egli era direttore tecnico, seguiva la corrente per evidenti ragioni commerciali. Se non pare ad ogni modo che sussista alcuna correlazione tra peso delle madri e peso dei discendenti, non noi diremo con questo di partire da madri di minimo peso: ci sia nondimeno lecito di affermare che, anche in tale questione, più che dal responso dell'indagine la pratica venne dettata da una discutibilissima concezione empirica.
Ed uguale giudizio va esteso alle cosiddette tavole di riferimento, per cui il valore di una barbabietola analizzata, cioè il suo posto in graduatoria, viene stabilito in base al rapporto peso a ricchezza: in altri termini, quanto meno pesante è un soggetto, più elevata è la ricchezza che da esso si pretende per includerlo nella categoria delle madri di prima scelta, mentre soggetti di forte peso vengono passati alla stessa categoria, anche se di titolo relativamente più basso. Per quanto spesso sussista, come vedemmo e come è notorio, un certo antagonismo tra peso e ricchezza, pur tuttavia, trattandosi di caratteri non qualitativi ma quantitativi, un incasellamento e una classificazione delle madri, con i criteri che trovano il loro esponente nelle tabelle di riferimento, si appalesano del tutto arbitrarie. Vari studiosi, compreso recentemente E. Schribaux (1915), fecero oggetto di loro critiche il sistema, che noi non adottammo mai, neppure all'inizio del nostro lavoro. Il concetto dello studio dei soggetti per famiglie o discendenze appare il solo razionale; ed accade allora di osservare che in certe discendenze le bietole presentano un medesimo contenuto in zucchero con pesi diversissimi.
Soggetti più ricchi sopra vento. Il convincimento
che le bietole palesatesi all'analisi più ricche di zucchero siano capaci
di trasmettere pressoché stabilmente il loro carattere, porta ancor oggi
molti selezionatori a disporre sul campo le bietole, destinate a produrre il
seme cosiddetto d'élite, in modo che le più ricche si trovino
sopra la direzione del vento dominante nella plaga, e le meno ricche sotto vento.
Si ammette che così il polline delle bietole migliori, trasportato meccanicamente
nella direzione del vento a fecondare gli ovari di gran parte delle bietole
a minori pregi poste sotto vento, giunga a "perfezionare" quest'ultime.
Anche a prescindere dalla questione se si verifichi la dominanza pressoché
assoluta di un vento e che si debba ridurre quasi a zero l'intervento degli
insetti
nel trasporto del polline, le possibilità sono due:
1° Tanto le bietole meno ricche quanto quelle più ricche rappresentano fluttuazioni di un medesimo tipo, sono cioè fenotipicamente diverse ma genotipicamente identiche, e allora è indifferente mettere i soggetti più ricchi sopra vento e sotto vento, perché esse hanno le medesime qualità ereditarie.
2° Le bietole della massa appartengono a biotipi differenti, cioè a diversa attitudine ereditaria; ma allora può darsi che tra le bietole sopra vento vadano a trovarsi estreme fluttuazioni massimali dei biotipi meno pregevoli, e tra le bietole relativamente più povere vadano a trovarsi soggetti rappresentanti estreme fluttuazioni minimali dei biotipi superiori, nel qual caso in atto dovrebbe verificarsi l'opposto di quanto si suppone: le bietole apparse più povere dovrebbero cioè "perfezionare" gli attributi di un certo numero almeno di quelle palesatesi più ricche.
Metodo della fruttificazione in piccoli gruppi. Vi sono selezionatori che mettono a fruttificare in gruppi le sette o le cinque "migliori" bietole. Il metodo, chiamato anche, impropriamente, metodo delle piccole famiglie, trae origine dal concetto che è opportuno mettere a sé gli individui ad altissimi attributi "aventi il medesimo peso e la medesima ricchezza". Indirettamente qualche selezionatore vuole con detto sistema ovviare ad una eventuale degenerazione temibile con il processo di autofertilizzazione. Anche qui si dimentica che individui coi medesimi caratteri esteriori (stesso fenotipo) possono comportarsi assai diversamente dal punto di vista ereditario (distinti genotipi). Un procedimento, che ha dei punti di analogia con quello oggi in voga, era sconsigliato dallo stesso Luigi Vilmorin sino dal 1850!19.
19) Scriveva appunto Luigi Vilmorin:" Robinet aveva proposto di stabilire dei gruppi di un certo numero di radici in base a caratteri comuni, quali la nuance dei picciuoli, dell'epidermide, ecc.: poi, dopo avere analizzati una metà di questi caratteri, avrebbero dovuto servire per la riproduzione le radici appartenenti ai gruppi palesatisi a media più elevata. Io credo che questo procedimento avrebbe l'inconveniente di diminuire d'assai le probabilità di pervenire allo scopo propostoci" (1850, 1886).
Fruttificazione in massa degli individui derivati da una stessa madre. Anche ammesso di considerare i soggetti in discendenza di una determinata madre come assolutamente derivati da un processo di autoimpollinazione, rimane il fatto che la bietola, da cui si origina la progenie, poteva essere un ibrido, nel qual caso la generazione si presenta più o meno complessamente disgiunta. Noi abbiamo potuto accertare ripetutamente che i discendenti di una stessa madre, messi a fruttificare in tanti sottogruppi, a caratteri e attributi apparentemente simili, danno a loro volta discendenze o linee di sangue a caratteri e comportamenti distinti. Mettere a fruttificare tutti insieme i soggetti derivati da una bietola isolata può frattanto significare ricombinare ciò che poteva essere stato opportuno e conveniente separare.
In rigore, anche ciascuno dei discendenti di una madre isolata dovrebbe essere posto a sua volta a fruttificare isolatamente, e il procedimento dovrebbe essere seguito per un certo numero di generazioni. Nella applicazione è tuttavia possibile di trovare formule di compromesso, che permettano di conciliare le concezioni teoriche dei genetisti con le necessità del selezionatore.
Analisi in massa dei discendenti di una data madre. Abbiamo vista adottata la procedura presso alcune case di selezione. Le qualità di una progenie si determinano analizzando 20, 30 o più soggetti in massa, con prelievo di un cilindro di polpa per ciascun soggetto; si conservano per ulteriori riproduzioni soltanto le progenie che hanno accusato titoli medi più elevati. Con questo metodo, per il quale non si raccolgono che medie empiriche, al selezionatore possono sfuggire individui che potrebbero essere più atti a far raggiungere gli scopi che egli stesso si prefigge, e si ricade negli inconvenienti or ora specificati.
Lo studio delle discendenze di individui posti con altri a fruttificare in massa. E' suggerito il metodo soprattutto allorché si pongano a fruttificare in massa le bietole a piccoli gruppi; ma abbiamo veduto adottato lo stesso principio anche nel caso in cui la fruttificazione si effettui in una massa di più centinaia di soggetti. Or è possibile concepire lo studio delle singole discendenze di individui sottoposti al più disordinato processo d'incrocio e apprezzare le qualità dei soggetti che dai medesimi derivano? Il sistema, alla stregua delle basi fondamentali della genetica, è, come si comprende, un non senso se almeno non venga opportunamente integrato con altri accorgimenti.
Curve di variazione dei discendenti di una stessa madra. L'esame comparativo dei soggetti in derivazione da una stessa madre, compiuto non solo per il tenore in zucchero e per il peso, ma ancora per altri caratteri secondari, quali il contenuto in sostanze azotate, ceneri ecc. ha portato vari studiosi a fissare in grafici le riscontrate variazioni ed a costrurre, con le registrate cifre, curve o poligoni di frequenza o di variazione. A prescindere dalla questione che le curve si riferiscono in ogni caso a determinazioni compiute in un dato istante e che curve diverse e forse non nella stessa direzione si sarebbero tracciate se le analisi si fossero compiute un certo tempo prima o un certo tempo dopo, le "curve" costituiscono una vana opera per due altri motivi: 1° la discendenza, pur derivante da un soggetto autoimpollinato, può essere una discendenza disgiunta; 2° i soggetti derivati da una determinata madre possono essere, e per lo più sono, il risultato di un processo di incrocio. i valori che ne risultano sono dunque delle entità, che, nella fattispecie, sono assolutamente non raffrontabili20.
20) Delle curve di variazione si è fatto, in verità, anche e più che mai negli ultimi anni, un eccessivo uso ed abuso.
Propagazione asessuale e plastica delle grandi madri. Si è data anche molta importanza, nel mondo dei selezionatori, ai metodi di moltiplicazione asessuale, destinati a far ottenere la maggior quantità possibile di seme da una determinata madre: al punto che esiste anche una interessante bibliografia sui procedimenti suggeriti e adottati.
Anche qui si dovrebbe partire dal supposto che le qualità
ereditarie di una madre fossero nettamente prevedibili; ma poiché, come
abbiamo ripetutamente osservato, gli attributi di un individuo non si rivelano
che attraverso la sua discendenza, e la dottrina genetica e la sana pratica
insegnano che nella quasi totalità dei casi i soggetti ad altissimi attributi
non trasmettono il loro carattere e danno anzi discendenze mediocri, occorrerebbe
evidentemente, per non correre il rischio di avere compiuto un lavoro indarno,
procedere al frazionamento o ad una moltiplicazione per innesto o per talea
di un grandissimo numero di soggetti, il che appare praticamente difficilissimo.
Alcuni dei più serii selezionatori tedeschi e boemi, da noi interpellati,
risposero definendo il metodo quale un'attrattiva per i novizi.
Aggiungasi che l'applicazione di qualcuno dei sistemi suggeriti richiede la
perdita di un anno, e allora tanto e più vale avere il seme dalla madre
stessa. Per nostro conto riteniamo che l'opportunità del frazionamento,
o di qualsiasi altro metodo capace di aumentare la quantità di seme ottenibile
da una bietola, abbia la sua vera e logica ragione d'essere non per individui
presi dalle masse, ma per soggetti di determinate discendenze manifestatesi,
attraverso alcune generazioni, a pregi presumibilmente superiori.
Le suesposte considerazioni si estendono a quei soggetti di "alto allevamento" dei quali i selezionatori prendono la plastica che va ad ornare il museo degli stabilimenti. Noi abbiamo la profonda convinzione che la grandissima maggioranza delle riproduzioni plastiche trovantisi nelle collezioni delle case selezionatrici corrispondono a individui, le cui discendenze furono abbandonate per la loro mediocrità; e se qualcuno delle plastiche si riferisce effettivamente ad un soggetto a discendenza eletta, ciò non fu che la conseguenza del caso, ché le vere qualità si svelarono soltanto dopo una o due generazioni. Una maggiore fortuna avrebbe potuto certo arridere ai primi selezionatori; ma non sembra che gli stessi abbiano pensato di ritrarre dal vero i loro capostipiti.
10.- Sarebbe possibile, per la barbabietola un "experimentum crucis" di selezione?
Agli effetti della impostazione del problema in sé, la barbabietola offre indubbi punti di contatto con il mais: entrambe le forme sono eminentemente eterogame; entrambe affievoliscono il loro vigore quando si sottopongono ad autofertilizzazione. Orbene: anche ammesso un numero molto limitato di unità o fattori genetici, e pur accettato che si tratti di una forma autofertile (il mais, almeno, dalle osservazioni di vari indagatori dovrebbe presumersi molto più autofertile della barbabietola) e pur ammesso, infine, che con le più grandi cautele sia dato di escludere nelle discendenze ogni possibilità di contaminazione per polline straniero, si affaccia grave il quesito: se l'affievolimento del tipo segue il processo di autofertilizzazione, uno stato di omozigotismo sarebbe in effetti raggiungibile?
Per il granoturco G.H. Shull osserva: "Mentre è probabile che nessuna delle mie progenie, derivate da processo di autofertlizzazione, abbia raggiunto, una condizione di assoluta purezza, parecchie delle medesime sono divenute così quasi pure, che le loro varie relazioni possono essere usate a dimostrare che esse si avvicinano ad una purezza - limite". Supposto dunque che si possono ottenere anche nelle barbabietole soggetti " quasi puri" o "praticamente omozigoti"21, occorrerebbe allora seguire separatamente discendenze per caratteri massimali e discendenze per caratteri minimali; ma poiché lo studio di un carattere, quale quello che corrisponde alla quantità di zucchero immagazzinabile nelle radici, è così fortemente esposto a variazioni o fluttuazioni in dipendenza delle circostanze esteriori, le quali gravano nella contingenza come un elemento eminentemente perturbatore, il problema, già arduo in impostazione, sembra offrire, per la tecnica dell'impresa, difficoltà pressoché insormontabili.
21) Noi non abbiamo in verità mai compreso perché gli AA. parlino di soggetti "teoricamente" omozigoti e di soggetti "praticamente" omozigoti. Per uno studio teorico del problema non sarebbe concepibile di partire da soggetti che non fossero teoricamente omozigoti.
11.- Il problema del miglioramento della barbabietola corriferito alle nostre osservazioni
Noi ci troviamo, all'inizio del nostro lavoro, in quel periodo in cui più ferveva la disputa tra selezionisti e antiselezionisti. E se il dibattito s'imperniava particolarmente sul quesito se la selezione fosse, o meno, efficace nelle razze pure, dato che la barbabietola da zucchero poteva, per il lungo lavoro di perfezionamento cui era stata sottoposta, considerarsi una razza omogenea o costante o fissata e quindi praticamente equivalere ad una razza pura, non si trattava per noi di giungere coi nostri rilievi a dare appoggio all'una piuttosto che all'altra dottrina, ma avanti ogni cosa verificare i fatti. "Prima guardare i fatti, poi trarre le conclusioni da essi".
Lungo otto anni di osservazioni, vari contributi, di cui taluno importantissimo, uscivano sulla selezione considerata sia dal punto di vista generale sia da quello speciale; ma se tornassimo sui nostri passi, non ci sentiremmo di modificare di una linea l'impostazione fondamentale del nostro lavoro, salvi gli inevitabili perfezionamenti nella parte esecutiva. Come avemmo ripetutamente occasione di affermare, noi non sappiamo ancora dire quali sieno il valore e la portata del nostro lavoro per la grande pratica; e nell'accingerci a ricapitolare, guardiamo ai nostri rilievi per quello che nel fatto possono pesare.
La necessità di seguire le discendenze del massimo numero di soggetti.- Si trattasse di "affinare" o "perfezionare" un tipo, si trattasse di profittare di giuochi di ricombinazioni di fattori multipli, si trattasse di isolare qualche eventuale biotipo meglio rispondente alle nostre condizioni di ambiente, si trattasse di afferrare infine qualche forma mutante o micromutante; fossero meglio in grado di trasmettere i propri caratteri gli individui non troppo devianti dalla media o potesse qualche soggetto, presunto quale estrema fluttuazione massimale, essere invece capace di ingenerare una discendenza a più alti attributi: occorreva in ogni caso non solo tentare il problema con l'adozione del metodo genealogico, ma seguire separatamente le discendenze del più grande possibile numero di individui.
Aggiungasi che, per evitare le conseguenze di eventualità sinistre, maggiori sono le probabilità di salvare una parte del materiale quanto più grande è il numero di individui a disposizione.
Naturalmente vi è un limite, imposto dalle condizioni
di fatto, oltre il quale uno sperimentatore, malgrado la più grande copia
di mezzi di cui possa disporre, non può procedere, e codesto limite è
assai più strettamente segnato per la segnato per la barbabietola in
paragone alla gran parte delle piante usuali, dato che, anche astrazion fatta
dalle gravi difficoltà che si infrappongono a seguire in genealogia una
pianta eterogama, non solo occorre confrontare le varie discendenze con saggi
in punti diversi di un campo e ogni progenie deve porsi nelle stesse condizioni
delle sue sotto discendenze e possibilmente per più anni di seguito,
ma ancora perché si tratta di tipi da analizzarsi contemporaneamente
e contemporaneamente raffrontarsi per tutti i più peculiari caratteri.
Ma poiché non sarebbe concepibile non curare insieme altri studi destinati
a elucidare questioni in ombra e intimamente legate al problema cardinale, così
una parte dell'attività dell'esperimentatore è fatalmente assorbita
dalla indagine in campi contigui ma facenti col campo maggiore un tutto indissolubile.
Di fronte, frattanto, alle due necessità, quella che si appoggia sui
fondamenti
della genetica e che porta ad aggrapparsi alla legge dei grandi numeri, e l'altra
correlata al complesso delle cause limitatrici, occorre caso trovare un forzato
termine d'intesa, che va a detrimento della vastità della indagine a
procrasticare una deduzione. Ecco perché noi non possiamo per principio
accogliere il pensiero di quegli indagatori che vorrebbere opporsi, in ricerche
del genere, ai così detti "doppionismi"22.
22) Se opporsi ai "doppionismi" significhi impedire che scarsi mezzi sieno a loro volta suddivisi, non v'è chi non debba essere d'accordo. Se però s'intenda semplicemente impedire che due o più studiosi lavorino simultaneamente, anche in centri prossimi e similari ma con adeguati mezzi attorno a un determinato problema, noi riteniamo allora l'impostazione del ragionamento assolutamente falsata: opporsi ai doppionismi può in tal caso nuocere più che giovare alla causa del problema e alla sua soluzione; e non già perché i ricercatori, operanti nello stesso campo, debbano sentirsi dalle reciproche competizioni stimolati a intensificare l'attività loro, ma perché il materiale, su cui essi lavorano, può essere genotipicamente diverso, perché gli orientamenti del cervello possono essere diversi, perché, infine, per la legge dei grandi numeri, le possibilità del successo vanno ad essere fortemente aumentate.
Il metodo della fruttificazione in coppie come mezzo di rapida epurazione dei tipi.- Le considerazioni e i rilievi, che abbiamo esposto lungo la trattazione del nostro lavoro, ci dispensano dalla necessità di soffermarci soverchiamente su questo tema. Riteniamo, invece, che non sia più il caso di argomentare per dimostrare che il metodo della fruttificazione in coppie di soggetti derivati da una stessa madre e offerenti caratteri morfologici ed intimi attributi similari, rappresenti, per piante eminentemente allogame e scarsamente autofertili, il metodo più logico e geneticamente più razionale e più sicuro che permetta di giungere, nel tempo più breve e sulla strada più dritta, alla epurazione dei tipi.
Ecco qui ricapitolati i moventi che ci hanno portato a stabilire il principio, dal quale siamo partiti per il nostro lavoro:
1° Necessità di seguire le discendenze del più grande numero di individui e quindi impossibilità di ricorrere al metodo dell'isolamento spaziale (a sua volta non scevro da pericoli).
2° Estrema difficoltà, anzi impossibilità di garantirsi da reciproco scambio di polline tra soggetti in fruttificazione posti accanto, anche se tutti isolati e secondo i metodi praticamente più consigliati.
3° Necessità di considerare la discendenza di una madre come costituita da una mescolanza di tipi, non soltanto in cui i soggetti derivati da una barbabietola sieno il prodotto di un incrocio (sospettato o meno) con altre bietole che le fiorirono più o meno d'accanto, ma anche nel caso in cui i medesimi costituiscano la diretta e assoluta derivazione dalla madre autoimpollinata; in quanto la bietola poteva parimenti essere un ibrido, donde la diversa costituzione genetica dei discendenti.
4° Irrazionalità, se non assurdità, del procedimento di mettere a fruttificare tutti insieme i discendenti di una madre, metodo che porta in ogni caso ed inevitabilmente a ricombinazioni di quanto poteva essere stato opportuno di separare.
5° Facile constatazione che tra i discendenti di una determinata madre si trovano soggetti che presentano pressoché identici caratteri esteriori di forma e di peso ed eguale contenuto in zucchero, donde possibilità di abbinate soggetti, almeno fenotipicamente, gemelli.
6° Possibilità che una serie di combinazioni in coppia giunga ad accumunare individui genotipicamente identici.
7° Anche accettata la concezione della quasi assoluta autosterilità della specie, la coppia risponde alla condizione minima richiesta per assicurare la interfertilità dei due individui che compongono la coppia stessa.
Il sistema equivale, come già dicemmo, a quello della riproduzione fratello X sorella, onde la proporzione degli eterozigoti tende allo zero man mano che aumenta il numero delle generazioni.
La concezione tecnica trova la sua più brillante conferma nel responso dei fatti, per la estrema facilità colla quale si giunge con detto metodo a separare i più svariati biotipi, compresi alcuni delle serie recessive e devianti; e le tabelle che accompagnano questa memoria lo dimostrano in forma suggestiva. Così che logicamente noi abbiamo fatto del metodo il caposaldo della procedura del nostro lavoro23.
23) La fruttificazione separata e dislocata di qualche centinaio di coppie presenta in atto difficoltà non lievi, onde è richiesta la vigilanza costante di numeroso personale durante tutto il periodo di vegetazione. Le vaste estensioni di culture a mais e la grande abbondanza di filari d'alberi costituiscono fortunatamente eccellenti filtri vegetali, mentre le contaminazioni per opera dell'uomo si escludono procurando che il materiale non venga più avvicinato dall'inizio della floricoltura in poi (nei casi eccezionali si affida il compito a persone diverse). Nella plaga in cui operiamo è poi pressoché sconosciuta la cultura di bietole foraggere ed ortensi portaseme.
Dobbiamo qui chiederci ancora una volta se, trattandosi di operare su una razza omogenea, il metodo, pur buono nella sua impostazione, giovi agli scopi che oggi un selezionatore di bietole si proporrebbe, permetta cioè di agire ulteriormente sul tipo nella voluta direzione massimale. Certo è che se il principio fosse stato applicato, anche con individui genotipicamente incerti, dai primissimi selezionatori, il successo poteva conseguirsi in un tempo forse enormemente più breve.
Certo è che se il principio fosse stato applicato, anche con individui genotipicamente incerti, dai primissimi selezionatori, il successo poteva conseguirsi in un tempo forse enormemente più breve.
Mescolanza, alla semina, del materiale proveniente da progenie diverse? Il diverso comportamento, nettamente appalesatosi, da annata ad annata, di numerose delle "razze" da noi separate, porta a chiedere logicamente se non convenga ricorrere al metodo di ragionate mescolanze come mezzo per opporsi, col minore scapito, alle influenze dei non prevedibili cambiamenti di regime da annata ad annata. Si tratterebbe anche qui, come in altri casi, di sostituire a razze "specializzate" delle razze "passe-partout" costituite da una preordinata mescolanza.
Discendenze in tipi epurati od incroci fra tipi diversi dopo epurazione? E' un lato del problema sul quale il troppo breve numero di generazioni, che sinora abbiamo avuto la possibilità di seguire (in un ottennio un massimo di quattro, dal 1912), non ha potuto essere da noi ancora chiarito. Sino a quale limite può spingersi l'epurazione senza determinare l'affievolimento del tipo? Si possono stabilire condizioni per le quali gli attributi di certe discendenze rimangano stabili e si possa agire con costante successo e separatamente su una o più salda ragione di imporsi?
La forza di questo dilemma scaturisce dalla serie degli
argomenti già svolti (cap.V) e da quanto appare già
dimostrato per il granoturco.
Fu per ciò che pensammo ad un'altra prova, che avrebbe dovuto costituire per noi l'extrema ratio. Poiché la barbabietola si presta in modo speciale ad essere bipartita ed è possibile ottenere seme da ciascuna delle due metà, prendemmo, la primavera del 1919, le bietole delle discendenze sempre apparse migliori attraverso tre generazioni, e le dividemmo a metà: così avevamo uno stesso materiale nettamente diviso in due. Le metà di ciascuna discendenza furono poste a fruttificare separatamente, discendenza per discendenza; le altre metà furono poste a fruttificare tutte insieme e con una certa regolare alternanza per uno scambio il più intenso di polline.
Le risultanze, che andranno a registrarsi nel 1920, permetteranno di chiarire così anche codesto importantissimo lato del problema. Il quale tuttavia, come si comprende, nel caso della barbabietola si complica, dato che non si tratta soltanto di considerare il tipo per quanto concerne la sua facoltà di rendimento in peso, ma ancora per quel che riguarda l'attributo del contenuto in zucchero; e una previsione di quanto possa seguire a un processo d'incrocio, particolarmente accogliendo l'ipotesi di un intervento in causa di una serie di fattori multipli, non è, in dottrina, assolutamente ammissibile.
Comunque, i dati del 1920, integrati da copiose altre cifre del 1919, che non hanno potuto trovare posto in questa prima Memoria, dovranno riguardarsi per nostro conto come definitivi o a chiusura del ciclo della parte sperimentale propriamente detta. Nessuna via, additata dalle odierne nostre conoscenze, fu, osiamo credere, obliata; ma se per l'applicazione ne valesse il merito o meno, dirà soltanto il responso della grande prova. "Le cose sono quelle che sono, non quello che sembra debbano essere".
LE DIFFICOLTÀ DELLA SPERIMENTAZIONE
E LA BARBABIETOLA DA ZUCCHERO
Già in due nostre Memorie del 1913-1914 avevamo recato un modesto contributo sul tema, riallacciandoci alle conclusioni dei più autorevoli sperimentatori che si erano precedentemente occupati dell'argomento. Dopo d'allora uscirono altri importanti lavori sempre con il vecchio e monotono monito, sempre con gli stessi concetti prudenziali. Non riporteremo se non il pensiero di pochi.
Pritchard (1916,a), occupandosi del problema della sperimentazione con le bietole, insiste nel concetto della necessità delle ripartizioni di un tipo campione, al quale riferire i tipi di cui si vogliano stabilire le qualità culturali e industriali. In altra memoria (1916,b) l'autore torna sull'argomento con altri copiosi dati, dimostrando che si possono avere, in uno stesso campo e con uno stesso seme, delle differenze persino del 2 per cento di zucchero e mettendo in guardia frattanto contro facili deduzioni che si facciano derivare da esperienze non rigorosamente compiute.
L.D. Batchelor e H.S.Reed scrivono (1918):" La mancanza di uniformità tanto nei caratteri fisici quanto in quelli chimici del suolo è uno dei più importanti fattori che provocano variazioni nella produttività delle piante. Una superficie apparentemente uniforme può giacere su un sottosuolo eterogeneo. Differenze possono occorrere che, anche non evidenti alla più oculata ispezione, sono facilmente misurate alla pesatura dei prodotti".
A.C. Arny e H.K. Hayes (1918) si occupano della questione dell'influenza dei sentieri sulle produzioni delle parcelle sperimentali, sulla distanza a cui le piante possono considerarsi soggette agli effetti dei bordi, sui limiti di aumento di prodotto dovuti all'effetto marginale e sulla grandezza delle parcelle in rapporto alla stessa causa di errore. Analoga questione, relativamente alle bietole, era già stata affacciata, come è noto, da C. Schneidewind (1914), mentre della questione sotto l'aspetto generale si era occupato C. Barber nello stesso anno.
A. Wiancko e coll. (1918), a proposito di esperienze di varietà in genere, considerano, in massima, sufficientemente probativa una prova in triplo; altrettale parere aveva espresso E. Zaleski (1912) in riguardo alle prove con la barbabietola.
Certo è, ad ogni modo, che a tutte le difficoltà di valutazione dei risultamenti derivanti dalle comuni esperienze, in cui si tratta semplicemente di stabilire differenze in funzione di un elemento facilmente e senza discussione accertabile qual è il peso, si aggiungono ancora più gravi le difficoltà nella interpretazione e valutazione delle risultanze di ricerche sulla barbabietola da zucchero, per le quali è necessario di far intervenire nel computo non solo la quantità di raccolto, ma ancora la sua qualità.
E se l'esperimento deve avere per fine di mettere in luce, rispettivamente, la superiorità o l'inferiorità di determinati tipi in confronto, perché la superiorità (o la inferiorità) di un tipo fosse assoluta occorrerebbe che la linea, che lo rappresenta in un grafico, seguisse, pur nelle sue fluttuazioni, un percorso a sé; le variazioni tra gli individui di un tipo dovrebbero costantemente oscillare attorno ad un centro distinto dalle masse degli altri tipi. Ora la necessità di sperimentare in modo da escludere il maggior numero possibile di fattori di ineguaglianza (enunciazione, in particolare quanto i tipi da sottomettere a prova si elevino a parecchie centinaia, ostacoli che possono apparire, come altri che abbiamo già considerati, insorpassabili.
1.- Variazioni entro uno stesso tipo in condizioni ritenute praticamente uniformi
Delle indagini di saggio, che andiamo effettuando dal 1912, riportiamo alcuni bei dati più tipici.
Variazioni tra individui presi nel loro insieme in
righe contigue. Nel 1918, in un grande appezzamento a terreno apparentemente
molto uniforme (uniformità desumibile anche per il generale portamento
dei raccolti delle annate precedenti) seminato nello stesso giorno, da una unica
squadra, sotto il nostro diretto controllo, isolavamo, al momento della raccolta
(settembre), due riquadri, l'uno a nord e l'altro a sud, distanti l'uno dall'altro
circa 180 metri, entrambi costituiti da 19 righe, le une formanti il seguito
delle altre. Piante per metro lineare quattro, il che rivela
un investimento molto regolare, dovuto anche all'influenza dell'adottato metodo
di seminare a postarella, con il quale, anche con pesi medi relativamente molto
modesti, si possono registrare sempre, com'è noto, le più alte
produzioni. Riga per riga volemmo accertare, oltre che il numero e il peso,
anche il numero di soggetti fittonanti e di soggetti radicosi. Le determinazioni
del saccarosio medio delle bietole appartenenti alle singole righe, furono eseguite
prelevando un campione da ogni soggetto, rimescolando accuratamente la polpa
derivante e facendo 10 polarizzazioni per ciascuna polpa complessiva. Il saccarosio
venne parimenti determinato, caso per caso, sul sugo.
Variazioni tra individui presi nel loro insieme oppure singolarmente considerati con prelievi in piccoli riquadri di un campo. Come diremo fra breve, abbiamo la consuetudine di alternare, con il materiale, delle varie discendenze, un tipo unico di seme, che ci costituisce lo "standard" o il "campione". Nel 1916 e 1917 abbiamo adoperato un seme Klein Wanzleben originario; nel 1918 un seme russo. Si tratta di occupare alternatamente, in ogni parcella, sei righe con seme di quell'unico e determinato tipo. La raccolta si fa di consueto, per ogni campione, in tre tempi come per buona parte del materiale di selezione.
I rilievi su soggetti dello standard, sia nel
corso della vegetazione, sia la momento della raccolta e dell'analisi, se sono
sempre molto interessanti per parecchi punti di vista, nel caso speciale palesano
delle variazioni che vanno assolutamente al di là di ogni logica supposizione.
Nel grafico sono registrate le variazioni da punto a punto dei titoli medi (per
brevità omettiamo di riprodurre i dati delle variazioni individuali).
Ora riferendoci ai sistemi abitualmente in uso per l'accantonamento del "materiale da selezione" (scelta preliminare, per caratteri morfologici, di un numero più o meno cospicuo di bietole da grandi masse escavate e accatastate in pieno campo; trasporto, diretto o previa permanenza in silos, al laboratorio per le analisi e ulteriore scelta e conservazione dei soggetti accusanti più alto contenuto zuccherino), può avere un forte fondamento il dubbio che i soggetti, palesatisi più ricchi e tenuti per selezione, in non piccola parte altro non siano e ad altro non corrispondano se non a quelle bietole, che, trovantisi casualmente raggruppate in condizioni di terreno eccezionalmente propizie, abbiano potuto accumulare una maggiore quantità di saccarosio nel loro tessuto radicale. A prescindere frattanto dalla serie di altre considerazioni, che portano ad attribuire uno scarso valore ereditario agli individui rappresentanti fluttuazioni più o meno estreme di un carattere quantitativo, vi sarebbe un altro argomento a dimostrare che le bietole, trattenute come meritevoli del privilegio di miglioratrici o perpetuatrici del tipo, in nulla possono e debbano, per intrinseci attributi, differire da quelle eliminate come materiale volgare.
Deduzioni e ammonimenti derivabili dai suesposti dati. Piper e Stevenson, riferendosi alla tecnica sperimentale in genere, scrivevano nel 1910: "La grande variabilità che esiste nei terreni, anche in quelli apparentemente molto uniformi, fa senz'altro dubitare sulla attendibilità di gran parte dei dati sinora pubblicati su esperimenti in pieno campo". Le differenze, che sono nettamente risultate anche nelle nostre prove, portano ad avvalorare il crudo giudizio.
Abbiamo già osservato che le differenze, che si riscontrano tra le odierne "varietà" commerciali di bietole, rientrano, nella generalità dei casi, nel quadro delle differenze che non eccedono o eccedono di poco l'errore probabile, e che quindi i varii tipi, in effetto, praticamente si equivalgono. Se, nelle nostre prove, con determinazioni compiute riquadro per riquadro, ci fossimo trovati di faccia anziché ad un unico tipo, a tipi diversi, avremmo potuto naturalmente sentirci trascinati verso la formulazione delle più recise deduzioni: appare, invece, come la più grande cautela e la più grande prudenza s'impongano allo sperimentatore come condizione senza la quale le resultanze registrate perderebbero il necessario valore probativo.
2.- Procedura da noi seguita
Dopo una serie di rilievi preliminari, ci siamo orientati verso procedure che si differenziano caso per caso, secondo i problemi che ci stanno di fronte.
Semina in riquadri contigui e semina a righe alterne. Il primo sistema noi lo preferiamo per uno studio dei caratteri delle progenie in prima generazione, in quanto è agevole di osservare in blocco e raggruppati i vari soggetti appartenenti a una medesima famiglia, ed insieme è più facile d'istituire raffronti tra progenie diverse. Seminiamo invece a righe, cioè una sola riga, per ogni tipo, ma in serie ripetute, per le prove che vorremmo dire di secondo controllo.
Distribuzione del tipo campione o "standard". Ogni cinque o se progenie nel caso della semina in riquadri contigui di più righe, intercaliamo lo standard. Questo metodo, accoppiato all'altro della ripetizione delle progenie in punti diversi dell'appezzamento, concede di portare il riferimento a elementi similari e quindi rigidamente comparabili, per cui, se una speciale vigoria vegetativa o, per contrario, la mancanza di vigoria si manifesti in una famiglia e in un determinato riquadro, si guarda non soltanto il medesimo tipo negli altri riquadri, ma ancora il "campione" nei punti viciniori ove esso è ubicato. Non sarebbe però per noi possibile di seguire il concetto di Pritchard, di porre cioè lo standard alternato metodicamente con ogni famiglia, dato il grandissimo numero dei tipi in osservazione, onde si dovrebbe occupare uno spazio complessivo esageratamente grande e si ricadrebbe così per altro verso in altri non meno gravi inconvenienti; e poi occorrerebbe che anche le progenie fossero a loro volta alternate col campione in modo che una progenie formasse, per così dire, da standard allo standard.
La stessa considerazione vale allorché si tratta di eseguire il saggio comparativo righe alterne; in questo caso, noi consideriamo il tipo - campione come se fosse uno dei tipi in raffronto, in modo che, se i singoli tipi vengono, ad es., ripetuti dieci volte, anche il campione viene ripetuto dieci volte.
Attenuazione dell'influenza marginale. Ad evitare
l'influenza esageratamente favorevole dello spazio dei sentieri sullo sviluppo
dei soggetti che si trovano ai bordi, dato che non si tratta di compiere accertamenti
di quantità
Un appezzamento con materiale di "selezione" in confronto.
o in blocco (nel quale caso sarebbe consigliabile di ricorrere a parcelle non
soverchiamente minuscole: cfr. Schneidewind, 1914); tenuto conto, inoltre, che
l'investimento di grosse parcelle non sarebbe possibile, sia in vista della
eventuale relativamente ridottissima quantità di seme, sia per il pochissimo
spazio globale disponibile; considerata infine l'opportunità di analizzare
tutti i soggetti in derivazione delle singole discendenze, abbiamo pensato,
nelle prove destinate ai primo raffronti, se non fosse stato opportuno di mettere
tutt'attorno ai riquadri, e quindi anche come separazione tra i riquadri stessi,
un tipo di bietola colorata, la quale avrebbe dovuto essere però approssimativamente
della stessa forma, avere la stessa espansione di fogliame e raggiungere presso
a poco lo stesso peso del tipo di tipo zuccherino. La bietola che, al riguardo,
abbiamo riconosciuto meglio corrispondere, è quella nota nel commercio
delle sementi con la denominazione di rossa foncè di Whyte, il cui fogliame
a colore rosso intenso non può trarre in inganno neppure il meno intelligente
operaio. A buon conto, all'atto dell'escavo del materiale da selezione, eseguito
naturalmente sotto la diretta sorveglianza del tecnico, le bietole di bordura
e di separazione vengono lasciate in terra.
Nelle prove di pieno campo, invece, l'una riga fa, come si comprende, da separatrice all'altra, escluse le due righe con cui incomincia e termina l'appezzamento, investite o con un tipo colorato o con la bietola di standard.
Con tutte codeste cautele si giunge il più possibile a evitare che una parte dei soggetti si ingigantisca per favorevoli influenze marginali, per quanto le fallanze, che fatalmente sempre si registrano, non permettano di eliminare del tutto l'inconveniente.
3.-Accorgimenti diversi
L'investimento di un campo, in prove come quelle che ci interessano, deve effettuarsi in modo da mettere in conciliazione la più grande celerità del lavoro con la più assoluta esattezza. Una squadra di personale addestrato, e i cui singoli componenti abbiano mansioni e funzioni nette e specifiche, permette di risolvere, con la voluta precisione, il non facile compito.
Ogni operazione viene eseguita forzatamente a mano, ma per l'esecuzione di ciascuna delle operazioni stesse, è sempre disponibile un personale doppio di quello strettamente necessario, sia per il cambio, sia per eventuali sostituzioni: alla distribuzione di ogni serie o di ogni gruppo di materiale, per il quale s'imponga il più stretto raffronto, deve essere però sempre adibita una stessa squadra di operatori.
La uniformità dell'investimento compatibilmente con le cause avverse, normali o impreviste, che possono sopraggiungere dopo le semine viene assicurata con la determinazione preventiva della facoltà germinativa dei singoli lotti di seme, la quale si rileva con sufficiente approssimazione sacrificando caso per caso dieci o venti glomeruli.
Una equidistanza praticamente assoluta si ottiene poi con la semina a postarella, a buchette effettuate mediante vanghette a tre poste, con le quali si regola anche in modo perfetto la profondità dell'interramento dei glomeruli.
Nelle semine con tipi diversi in righe successive ed alterne occorre, inoltre, evitare possibili reciproche influenze dei singoli tipi in righe adiacenti, reciproche influenze già segnalate da alcuni sperimentatori per altre piante, come ad es. da E.G. Montgomery (1913) e da Hayes ed Arny (1917). Una discendenza a debole vigoria iniziale può essere appunto sopraffatta da due contigue entrambe fortuitamente più vigorose, come può il minore vigore della prima determinare esso medesimo un più forte sviluppo delle viciniori, le quali verrebbero così a trovarsi manifestamente in condizioni di privilegio, quasi come le righe marginali: onde si potrebbe essere indotti a falsi apprezzamenti. Una alternanza, studiata in modo da mettere i tipi in successione sempre diverse, consente di eliminare una delle tante possibili cause di errore.
SUL RAPPORTO TRA PESO SPECIFICO DELLE BIETOLE
E LORO CONTENUTO IN ZUCCHERO
1.- La portata del procedimento
Il metodo di passare le bietole in un bagno di sale per separare e conservare le più specificamente pesanti risale al periodo innanzi al 1850, e si deve ai produttori selezionatori tedeschi. In Germania il procedimento si adottava in quell'epoca anche nella cernita delle patate; e dello stesso metodo si servì parimenti L. Vilmorin nei suoi primi lavori di selezione (1851 e 1856). Il Vilmorin perfezionò più tardi il sistema, sostituendo, al metodo dell'immersione delle intere bietole nel bagno salino, la immersione di cubetti di polpa (tolti dalle singole bietole) in soluzioni di cloruro di sodio o di zucchero a diversa densità, oppure determinando, con processo speciale, la densità del sugo spremuto da cilindri di polpa egualmente estratti da ciascuna barbabietola.
L'introduzione dei metodi di determinazione diretta dello zucchero (1863 circa) fece cadere in abbandono ogni procedimento basato sulla determinazione, diretta od indiretta, della densità. Tratto, però, la letteratura ha continuato a registrare lavori in argomento: tra gli altri vanno segnalati i rilievi di Vivien (1876), di Vibrans Marek (1885), Lang (1908), Plahn Appiani (1909,1911,1912), Schribaux (1915).
A parte il metodo di determinazione della densità, effettuata su una certa quantità di succo della radice, metodo che ha trovato una forma geniale di perfezionamento nella lettura dell'indice di rifrazione del sugo stesso mediante il refrattometro, occupandoci noi qui esclusivamente del sistema di determinare il comportamento delle bietole quando siano immerse in soluzione acquosa più o meno densa (di cloruro di sodio o di calcio, oppure di zucchero o di melassa), diremo che dopo una serie di osservazioni preliminari ci siamo fermati sull'impiego di una soluzione di cloruro di sodio, non tanto per l'economia della spesa (ché si tratterebbe di un elemento di uscita trascurabile), quanto perché, compiendo noi il lavoro di scelta nel periodo estivo, una soluzione di zucchero o di melassa facilmente si altererebbe o sarebbe altrimenti necessario aggiungervi qualche antisettico, mentre non vale di complicare quando se ne può fare a meno; né è il caso di osservare che una soluzione zuccherata o melassata richiama facilmente vespe, mosche e simili. L'accusa che viene mossa all'impiego della soluzione di cloruro di sodio (che cioè le radici perdono, a contatto della soluzione, dell'acqua) non può avere fondamento quando si consideri che la durata dell'immersione non si protrae oltre i tre quattro minuti; non solo, ma avendo la consuetudine di praticare alle radici, dopo tolte dalla soluzione, un doppio lavaggio, le radici stesse non palesano in seguito il minimo segno di sofferenza o deterioramento.
La tecnica sulla quale noi ci siamo affermati è la seguente:
a) taglio netto delle foglie sino a un centimetro circa sopra l'estremità della testa;
b) lavaggio accurato delle radici in acqua prima dell'immersione;
c) passaggio delle radici nella soluzione salata nel più breve periodo dopo l'escavo, o altrimenti conservazione del materiale in cumuli al riparo dal sole, con protezione di tele e periodiche aspersioni;
d) lavaggio doppio e accurato, immediatamente dopo il passaggio, delle radici che si stabilisce di conservare.
La densità della soluzione per le bietole di prima cernita si regola con saggi preliminari in
modo che delle bietole, che si debbono far passare, l'8 -10 per cento vadano a fondo. Saggi di controllo con comune densimetro si fanno giorno per giorno e periodicamente lungo la giornata. Una più concentrata soluzione di cloruro di sodio si tiene sempre a portata di mano per eventuali correzioni della densità.
A norma del loro comportamento nella soluzione, le bietole vanno separate e classificate in:
Galleggianti (G)
Oblique (O)
Verticali (V)
Affondate (A)
Noi impieghiamo grandi recipienti di lamiera zincata della capacità di quattro a cinque ettolitri, di sezione circolare o rettangolare, dell'altezza di circa un metro e con liquido all'interno sino a quattro quinti circa dall'orlo. Le bietole vanno poste nella soluzione in numero non superiore a 10 12 per volta, avendo la cautela di tenerle discoste alquanto l'una dall'altra. L'operazione è molto più spiccia e più semplice di quanto a primo aspetto possa ritenersi: con una squadra addestrata di donne e un operaio capo, intelligente e bene impratichito nel lavoro, si possono passare e lavare in dieci ore tremila barbabietole. Operiamo di solito in campagna, sotto tettoie trasportabili.
Noi siamo tanto persuasi della bontà del metodo (specialmente per rendere meno ingombranti e lunghe le operazioni di laboratorio e, ciò che forse ha maggior peso, per giudicare grosso modo, sino dal momento dell'escavo, il valore delle progenie o del materiale in confronto) da considerarlo per nostro conto parte assoluta e integrante della procedura del nostro lavoro. I rilievi, che avremmo modo di compiere portando il nostro esame attraverso lo spazio di diverse annate su parecchie decine di migliaia di soggetti, sono di ordine diverso.
2.- Proporzione normale dei soggetti per categorie e rispettiva ricchezza in zucchero
Dato di preparare una soluzione di cloruro di sodio, per cui si intenda di separare un massimo di 6-8 per cento di soggetti affondati, di solito dal 60 al 70 per cento dei soggetti della stessa partita si comportano nella medesima soluzione come galleggianti, 15-25% come oblique e le rimanenti come verticali. Ecco alcune cifre riguardanti il passaggio di un materiale molto uniforme nel tenimento "Tassina" del cav. L. Nagliati presso Rovigo, nelle sue prime decadi di settembre, periodo nel quale si ebbero giornate a decorso regolarissimo, senza piogge o bruschi passaggi di temperatura:
Le bietole di altre prove, compiute negli stessi giorni con materiale prelevato in un grande appezzamento del sig. Ilario Bedendo (podere Carrare) si comportavano pressappoco nella stessa maniera.
Non riporteremo, per brevità, altre cifre nostre, preferendo di citare alcuni dati di un esperimento pure in grande nel settembre 1918 da G. Cecchetti, per la Sucrerie Raffinerie di Pontelongo, presso lo stabilimento di Bottrighe (RO):
Or quale la ricchezza in zucchero delle radici in rapporto al loro comportamento nella soluzione di cloruro sodico? E', come è chiaro, il nocciolo della questione.
Se noi facciamo passare in soluzione di cloruro di sodio
od analoga contemporaneamente radici di diverso peso, è logico presumere,
e ciò infatti accade, che si comportino come affondate in prevalenza
le bietole più piccole, che sono, normalmente, in una partita di materiale
omogeno, anche le più ricche in zucchero. Naturalmente un esperimento
compiuto in simili condizioni non ha un valore che molto relativo: basterebbe
limitarsi a portare al laboratorio i soggetti di più piccolo peso. Ciò
che invece evidentemente interessa, è di stabilire come varii, a parità
di peso delle
radici, il contenuto in zucchero delle bietole rispettivamente comportantisi
come galleggianti, oblique, verticali od affondate. Citeremo, per offrire un
esempio, alcune cifre relative a materiale del 1918, prelevate in una unica
giornata e in un grande appezzamento, vennero classificate in "grandi"
(peso gr. 1200 circa), "medie" (peso gr. 800 circa), "piccole"
(gr. 500 circa), "piccolissime" (gr. 300 circa); la soluzione adoperata
per tutte le categorie aveva la densità di 16 Brix. I dati del quadro,
da cui furono ricavati i relativi grafici (tavola allegata), debbono, come si
intuisce, interpretarsi come dati di riferimento e non nel loro significato
assoluto:
In grande maggioranza, dunque, le bietole che vanno a fondo in una soluzione a una determinata densità sono più ricche in zucchero di quelle che, nelle stesse condizioni e a parità di peso, si comportano come galleggianti od oblique; le bietole verticali si avvicinano, per la loro ricchezza, alle affondate. La conclusione non è però assoluta: costantemente l'analisi porta ad accertare basse ricchezze in bietole verticali e affondate, e alte ricchezze in bietole galleggianti ed oblique. Non solo: occorre di constatare anche che una stessa bietola non si comporta sempre in uno stesso modo.
Le pioggie autunnali poi, esercitando un'influenza molto diversa sulle singole bietole secondo il loro grado di "maturanza", turbano più o meno grandemente il rapporto normale intercedente tra comportamento in soluzione salata (o zuccherata) e ricchezze in zucchero delle radici, per cui le indicazioni desunte da un passaggio di bietole nel tardo autunno offrono elementi di giudizio alterati e imprecisi.
3.- Probabili cause delle discordanze registrate
Se costantemente si può accertare che non sempre esiste una correlazione tra il comportamento in soluzione di cloruro di sodio (o di altro sale) e il contenuto in saccarosio dei soggetti sottoposti al saggio, è possibile di spiegare il meccanismo del fenomeno? Noi ci siamo accinti a ricerche d'ordine vario, sottoponendo il materiale almeno a doppio controllo, sia per il passaggio nella soluzione sia per la determinazione del saccarosio nella polpa.
Le ipotesi che possono recarsi sono diverse, tanto nel caso di bietole comportatesi come galleggianti od oblique e rivelatesi ricche all'analisi, quanto nel caso di bietole comportatesi affondate o verticali o palesatesi, all'analisi, a debole contenuto in zucchero.
Per le bietole galleggianti e oblique palesatesi ricche:
a) Presenza di cavernosità interne. Queste cavernosità, situate normalmente lungo l'asse centrale poco al disotto del piano del colletto propriamente cospicue detto, si trovano, come è notorio, pressoché in tutte le bietole, ma sono particolarmente cospicue in quelle di grande peso: fu, anzi, per il timore di vedere falsati i risultati dalla loro presenza che il vecchio Vilmorin aveva finito per abbandonare il metodo del passaggio in bagno salato dell'intera bietola (1886). Le nostre osservazioni ci hanno però permesso di accertare che in una non indifferente parte dei casi la camera interna non ha una decisa influenza nel determinare il comportamento di un soggetto: se, infatti, la bietola si taglia a metà e quindi se ne apre la camera, le due metà si mantengono per lo più egualmente galleggianti.
b) Presenza, nel tessuto, di bollicine di gas macroscopicamente non percettibili. Non abbiamo ancora elementi che bastino a chiarire la questione, ma non sembra che si tratti di una causa da ascriversi tra le preminenti.
c) Altissima purezza del sugo, per cui la densità
(Brix) fortemente si approssima alla polarizzazione. A questo proposito rileveremo
che, sia operando col refrattometro, sia, per maggior esattezza, determinando
direttamente la densità del sugo delle singoli radici, certe bietole
comportantisi come galleggianti, ma palesanti un alto contenuto in zucchero,
hanno un quoziente di purezza che sorpassa quello abituale. Su l'argomento,
che trova il suo riscontro antagonistico nel caso di bietole comportantisi come
affondate ma rilevanti all'analisi una ricchezza relativamente
bassa, ci riserbiamo di tornare in apposita nota.
d) Presenza nella bietola di sostanze destrogire non eliminabili con i comuni defecanti. Il caso è eccezionale e può riscontrarsi solo allorché le bietole abbiano fortemente sofferto per il secco, per il gelo, ecc. neppure su questo lato della questione abbiamo dati sufficienti per pronunciare un giudizio.
e) Ripartizione dello zucchero, nella compagine della massa del tessuto, non obbediente alla regola comune, per cui la ricchezza segnata dal campione, corrispondente al cilindro di polpa asportato in diagonale secondo la ormai classica procedura, si allontana sensibilmente in più dalla ricchezza effettiva media dell'intera radice. Basti rilevare che certi soggetti vanno eccezionalmente a fondo capovolti anziché orizzontalmente e altri si mantengono verticali parimenti col fittone in su (noi le classifichiamo come verticali a rovescio). Le differenze possono raggiungere perfino i due gradi, come documenteremo con i dati che ci riserbiamo di pubblicare a suo tempo.
Per le bietole verticali e affondate palesantisi all'analisi non ricche:
a) Purezza eccezionalmente bassa del sugo, per cui la polarizzazione segna una ricchezza che molto si scosta in meno dal grado registrato dal densimetro immerso nel sugo.
b) Ripartizione irregolare dello zucchero, per
cui la ricchezza accusata dal cilindro campione è più bassa di
quella effettiva media della radice.
4.- Altri importanti rilievi e necessarie cautele
La constatata presenza di radici a basso contenuto in zucchero fra quelle comportatesi come affondate o verticali, e di radici ricche tra le galleggianti, fa sorgere a primo aspetto logicamente il dubbio che siano incorsi errori al momento del passaggio nella soluzione, e cioè che in numero maggiore o minore le radici comportatesi come galleggianti siano state per equivoco poste nel cumulo delle verticali o affondate, e viceversa; e il dubbio tende tosto a prendere più forte consistenza allorché si osserva che a un nuovo passaggio di controllo moltissime bietole palesano un comportamento diverso da quello registrato in un primo passaggio.
Orbene: è singolare che nessuno degli sperimentatori, che si sono accinti allo studio del tema, si sia preoccupato di compiere accertamenti su questo pur importantissimo lato procedurale. Saggi diversi con lo stesso materiale, in ore diverse della giornata e in giorni successivi, escludendo ogni presunta causa di errore per appassimento, riscaldamento, ecc., portarono costantemente a rilievi singolari e non di rado bizzarri.
Dalle nostre osservazioni è apparso che si ha un comportamento diversissimo da caso a caso, soprattutto secondo che le bietole s'immergano nella soluzione a "pelle" secca oppure bagnata. Basta che le bietole si lascino anche per pochi istanti in acqua o nella stessa soluzione salata perché il contegno si alteri, tornando quasi sempre le radici ad assumere il comportamento della prima immersione.
5.- Sommario
Rimanendo in ombra alcuni punti, che vale di chiarire con ulteriori indagini, possiamo oggi concludere:
1° Che resta confermata la portata pratica ed applicativa del metodo, sia come mezzo di prima separazione del materiale "da selezione", sia come procedura di orientamento per un giudizio di insieme, compiuto sul campo, sul complesso dei soggetti appartenenti a determinate progenie. In altri termini, il vecchio e primitivo sistema, per sé stesso certamente empirico e perciò generalmente abbandonato, va considerato come prezioso e razionale allorché sia integrato dalla determinazione del saccarosio con il metodo polarimetrico.
2° Che quando si opera su materiali in massa, un preventivo passaggio in una soluzione di cloruro di sodio (od analoga) permette di eliminare dal 70 all'85 per cento delle bietole, che, comportandosi come galleggianti od oblique, sono di una ricchezza quasi costantemente molto più bassa di quelle che nella stessa soluzione si comportino come affondate o verticali. Portando frattanto al laboratorio esclusivamente bietole affondate e verticali, si riduce di oltre tre quarti il lavoro analitico, con notevolissima economia di tempo e di spesa.
3° Che le indicazioni fornite dal comportamento in soluzione di cloruro di sodio (od analoga) non offrono, per la plaga considerata, una sufficiente precisione e una garanzia praticamente accettabile allorché l'esame delle bietole si compia dopo le pioggie estivo - autunnali, che provocano un abbassamento dei titoli in zucchero e un aumento di impurità in un rapporto non uniforme nelle bietole singolarmente considerate.
4° Che per ridurre al minimo possibile le cause di errore e di falsi apprezzamenti, occorre seguire determinate regole e circondarsi di speciali cautele (precisate nella parte espositiva).
L'ESAME ESTIVO E L'IMMEDIATO TRAPIANTO
DEL MATERIALE DA SELEZIONE
La opportunità del criterio di scelta delle bietole, compita nel periodo estivo corrispondente a quello della più intensa e propizia lavorazione in fabbrica, poteva trovare il suo ostacolo primo allora quando insorgeva il problema di conservare sino alla successiva primavera il materiale analizzato e prescelto. Il nostro procedimento, che consiste nel trapiantare in piena terra, dopo l'analisi, le radici presunte migliori, risolve il problema in modo altrettanto semplice quanto perfetto. (Cfr. nostra nota 1911).
Tecnica. La procedura del sistema richiede alcuni accorgimenti, che ci sono stati suggeriti dalla ormai lunga esperienza.
Innanzi tutto, se il trapianto non può, per qualsiasi motivo, effettuarsi immediatamente dopo l'analisi, è necessario provvedere a che le radici perdano il meno possibile del loro turgore. Noi avevamo fatto costruire in passato delle apposite casse rivestite internamente di lamiera o di tela impermeabile; oggi molto più semplicemente ci limitiamo a ricoprire temporaneamente i cumuli con una straterello (qualche centimetro) di sabbia un po' umida, ma ancora scorrevole, avendo la precauzione che nei cumuli (possibilmente non grandi:150-200 soggetti al massimo) le bietole periferiche abbiano il fittone verso l'interno.
Il trapianto si esegue in un appezzamento sotto mano, a 45-50 centimetri tra riga e riga e 25-30 sulla riga. Si praticano, colle consuete trivelle, dei fori più o meno grandi secondo la grossezza delle radici (segnati i punti di ubicazione, le bietole vengono distribuite sul terreno, per cui l'operaio trivellatore proporziona ad occhio la capacità della buchetta al volume del soggetto); introdotta la radice nel foro in modo che la sommità della testa rimanga al livello del terreno, vi si versa tutt'attorno della sabbia scorrevole1 che si comprime con la mano o con bastone a clava, in mancanza di stramaglia, con paglia od altro materiale leggero, al puro scopo di evitare un eccessivo riscaldamento del suolo. In caso di persistenza di tempo asciutto, sono richiesti altri innaffiamenti.
1) Se il terreno, cui su si trapianta, è per sé molto leggero, si può evidentemente risparmiare la sabbia: tutte le altre operazioni rimangono le medesime.
Un uomo e due donne, anche sospendendo il lavoro nelle
ore più calde, in una giornata possono trapiantare,
senza eccesso di fatica, 400-500 bietole. Il terreno richiesto per il trapianto
è assolutamente minimo, bastando, come è facile calcolare, un
decimo d'ettaro a contenere quasi diecimila barbabietole.
Trascorsa una decina di giorni dal trapianto, le bietole incominciano a germogliare, il ciuffo di foglie facendosi strada attraverso lo straterello di sparto, o dell'altro materiale di riparo, che noi abbiamo l'abitudine di lasciare poi lungo l'interfila.
La vigoria e l'aumento di peso delle bietole trapiantate. Il trapianto costituisce, come per altre piante, tale uno stimolo ad una rigogliosa vegetazione, che l'appezzamento, passati 30-40 giorni dal collocamento delle radici, rassomiglia ad un normale bietolaio alla fine di maggio in terra fertile dopo un lungo periodo di pioggia. La vegetazione si mantiene poi così lussureggiante sino al tardo autunno da destare un senso di vera sorpresa a chi non sia famigliarizzato col sistema; e che la vigoria debba attribuirsi allo stimolo derivato dal brusco passaggio d'ambiente, lo prova il fatto che, nelle stesse condizioni, bietole non escavate, sottoposte a medesimi copiosi innaffiamenti, palesano normalmente una vegetazione incomparabilmente meno rigogliosa.
La forte espansione del fogliame, che si mantiene da agosto in avanti, provoca, come si comprende, aumenti più o meno notevoli di peso delle radici, peso che può raggiungere e sorpassare il doppio di quello registrato al momento dell'analisi.
La quantità di zucchero aumenta essa pure notevolmente come zucchero totale; la percentuale si abbassa più o meno fortemente, salvo rare eccezioni (cfr. nostre memorie, 1913-1914, già citate).
Qual si sia però il comportamento delle singole
bietole dopo il trapianto estivo, specialmente per quanto riguarda il loro contenuto
in zucchero, nessuna intima modificazione può intervenire ad alterare
i loro attributi genetici: una bietola, qualunque sia il suo peso, qualunque
sia la sua ricchezza nel tardo autunno, viene da noi costantemente considerata
in riferimento al peso e al tenore zuccherino annotati al momento della analisi
estiva.
Le bietole trapiantate in agosto dopo l'analisi emettono
un fogliame vigorosissimo, che si conserva sino al tardo autunno; le radici
aumentano molto di peso più o meno deformandosi.
CAPITOLO X
LA CONSERVAZIONE INVERNALE DELLE BARBABIETOLE
NELLA BASSA VALLE PADANA
"Una delle maggiori e più gravi cause di insuccesso per chi si prefigga di selezionare la bietola zuccherifera della bassa valle del Po scrivevamo nel 1910 era dovuta a difficoltà esclusivamente pratiche. Le bietole da selezione che nei paesi della media Europa, raccolte il autunno e poste in silos, si conservano ottimamente durante l'inverno sino al momento d'essere sondate e successivamente trasportate nei campi per il collocamento a dimora (molte volte, anzi, si scoprono i silos in febbraio, si tolgono le radici, e si sondano mentre le migliori si ripongono nuovamente in silos in attesa del momento più propizio per il trapianto), insilate nella pianura padana, qualunque sia la diligenza nella formazione dei silos, si guastano normalmente in grandissima parte. All'atto dello scoprimento dei silos in primavera si è avuta spesso la dolorosa sorpresa di trovare sino all'80-85 per cento, ed anche di più, di radici alterate. Un solo inverno capriccioso può giungere a distruggere un lungo e paziente lavoro di parecchie annate! Fu, anzi per ovviare a così grave contrarietà dell'ambiente che I. De Vecchis trasportò il suo campo di selezione nell'altopiano del Fucino, che molto rassomiglia, per clima, alle plaghe dell'Europa centrale, giungendo così a risolvere con pieno successo, il problema".
Per noi, che dovevamo operare in un centro dove già gli sperimentatori erano stati duramente provati, il problema si doveva presentare come uno dei più preoccupanti. Mentre avremo occasione a suo tempo di riportare in extenso le cifre e i rilievi sulle nostre varie prove (tanto più che sperimentammo anche un sistema di conservazione in ambiente artificialmente mantenuto a bassa temperatura costante, a 3-6 centigradi, mercé un apposito piccolo impianto frigorifero), qui ci limiteremo Ad alcuni accenni per la pratica applicazione.
La conservazione delle bietole madri in silos. Abbiamo potuto sin dall'inizio dei nostri lavori stabilire che la causa preminente di alterazione delle bietole estirpate, lamentata dai precedenti sperimentatori, doveva ricercarsi nel fatto che l'estirpamento era stato compiuto troppo presto, cioè nella prima metà di ottobre: in tale caso, malgrado le cure più meticolose nei metodi di conservazione (insilamento dei soggetti ad un solo strato in verticale, imbottitura di sabbia, ecc.), giunti a marzo, in grandissima parte le bietole si rinvengono imputridite. Procrastinando, invece, nella nostra plaga l'escavo alla fine di novembre o ai primi di dicembre od anche, se la stagione corre mite, ad oltre la metà di dicembre (noi attendiamo i primi geli con tendenza allo stabile) le probabilità di una buona e perfetta conservazione sono incomparabilmente più grandi anche se le bietole siano riposte alla rinfusa senza interposizione di sabbia o terra, non è il metodo di insilamento in sé che influisce, nel senso che l'accuratezza o la meticolosità della disposizione delle bietole nel cumulo possa determinare o meno una buona conservazione, ma il momento in cui si tolgono le bietole dal suolo. Con l'escavo ed insilamento fatti ai primi di ottobre, le probabilità delle alterazioni stanno come 100 a 10; con l'escavo tardivo e termini nettamente si invertono.
E' nostro sistema, però, di collocare in ogni caso e per ogni qualsiasi evenienza le bietole stratificate con abbondante sabbia secca, sotto tettoie o in grandi stazioni, e con la precauzione, in più, di non mettere più di 3-4 strati e di ripartire il materiale delle singole discendenze o categorie in silos diversi. Abbiamo escluso, invece, risolutamente, il metodo di stratificare le bietole con paglia e la copertura con il medesimo od analogo materiale, in quanto le probabilità della lunga conservazione sono fortemente diminuite, come una lunga esperienza aveva già ammaestrato e come ebbero modo di constatare recentemente, ad esempio, anche J. Pelda (1918) in Boemia ed E. Saillard in Francia.
La conservazione invernale delle bietole madri in piena terra. L'esperimento comparativo di due annate ci ha indotto ad abbandonare in massima, per nostro conto, il sistema della conservazione delle radici in piena terra, malgrado che spesso le possibilità dei guasti siano ancora minori allorché le bietole si lascino in piena terra in quanto non accada quando si estirpino e si conservino stratificate con sabbia asciutta. Fu soprattutto il decorso dell'invernata dal 1913 al 1914 completamente deteriorati e disorganizzati, a nulla essendo valse le protezioni con terra o con paglia, pula, segatura, ecc. mentre le bietole stratificate in sabbia si salvarono nella proporzione dell'85-90 per cento. Anche ammettendo, frattanto, che le probabilità di una eccellente conservazione in piena terra si verifichino in 8, e, perfino, in 9 annate su 10, non potendosi stabilire, a priori, quale sia o possa essere la cattiva annata, un elementare concetto di prudenza suggerisce di non lasciare mai quella strada, che offre, sia pure con i suoi inconvenienti, l'assoluta tranquillità e sicurezza dell'esito. Tutt'al più consiglieremmo di dividere i rischi: di lasciare una parte del materiale in piena terra e di collocare l'altra parte in silos con stratificazione di sabbia. Aggiungeremo che le bietole in piena terra possono anche essere più o meno decimata dalle arvicole, ma la lotta contro i molesti roditori può compiersi con molta facilità mercé oculati trattamenti a dosi attenuate di solfuro di carbonio.
Conservazione dei "planchons" o portaseme commerciale1. Per le bietole destinate alla produzione di seme commerciale, il problema della conservazione si presenta molto più facile. Date le grandi masse del materiale sarebbe contrario ad ogni regola economica il pensare ad una conservazione impostata sui criteri che si seguono per la conservazione delle bietole madri. Non solo: le piccole bietole che formano i planchons sono incomparabilmente più resistenti al gelo che non le grosse radici, quali appunto sono le "madri": constatazione fatta da tutti i selezionatori e sperimentatori. Nell'Europa media e nordica gli Stecklinge escono quasi sempre incolumi da invernate i cui limiti estremi di temperatura hanno quasi dell'inverosimile2. Frattanto, il metodi di lasciare i planchons in piena terra durante l'inverno appare in massima il più consigliabile. Anche a tale riguardo noi abbiamo tuttavia preferito di seguire un concetto prudenziale; di procedere, in autunno avanzato, all'escavo di una parte almeno del materiale per praticarne la conservazione in silos fuori terra coi metodi e secondo i criteri già noti.
1) In sostituzione dei termini planchons, fingerlings, Stecklinge, non è stato sinora suggerito un corrispondente termine italiano.
2) Nell'invernata 1908-1909 si ebbero a registrare nella
Europa medio - orientale tre periodi di gelo: il primo dal 20 al 24 ottobre
con 10°C.; il secondo dall'1 al 17 novembre con 15°; il
terzo dal 24 dicembre al 18 marzo (due mesi e mezzo consecutivi) durante il
quale la terra gelò sino a 75 centimetri di profondità. Alla fine
di marzo le bietole gettarono vigorosi e sani germogli ed il raccolto che se
ne ottenne fu ottimo (Cfr. Plahn-Appiani, 1915). Non sempre e non dovunque però
la
resistenza è apparsa egualmente così grande: H. Cron (1912) ed
altri AA. accennano ad invernate nelle qual "gelarono" in non piccola
parte anche gli Stecklinge.
Sulla resistenza delle bietole alle basse temperature. A prescindere anche dalla sopravvivenza alle basse temperature, dovuta al comportamento specifico dei tipi, e, in un dato tipo, al comportamento dei singoli individui, uno studio sul problema del meccanismo della resistenza delle varie specie vegetali ai geli, sopra tutto in rapporto alla natura e alle condizioni di umidità delle terre e al giuoco in genere degli elementi esteriori, è ancora da farsi (cfr. Salmon, 1918, Harwey, 1918). Per le barbabietole in modo speciale si può assistere a reazioni le più disparate e contraddittorie, come è pure a noi occorso di verificare ripetutamente in dieci anni di osservazioni. Quali condizioni possono avere determinata la quasi totale alterazione, cui accennavamo poc'anzi, delle bietole lasciate da piena terra nel corso dell'invernata 1913 al 1914, mentre in altre annate, pur con andamenti non sostanzialmente dissimili, si ebbe a registrare una sopravvivenza pressoché completa?
Tutti gli sperimentatori si trovano in ogni modo d'accordo nell'ammettere:
1°) che le bietole foraggere ed ortensi, a succhi meno densi delle zuccherine p.d., soffrono assai più di queste le conseguenze del gelo;
2°) che le bietole più pesanti e più voluminose offrono generalmente una resistenza al gelo molto minore di quelle piccole e piccolissime (effetti analoghi sono stati constatati in molte altre piante);
3°) che le bietole, le quali sporgono più o meno da terra, offrono a loro volta, a parità di peso, minore resistenza di quelle a testa entro terra;
4°) che il rapido disgelo è incomparabilmente più pernicioso di un disgelo lento, donde gli effetti spesso deleteri delle gelate secche (condizione comune a tutte le piante)(3).
3) A proposito di bietole, meritano d'essere citate alcune osservazioni di F. Strhmer. Lo sperimentatore divideva nell'inverno del 1900 un certo numero di bietole, completamente gelate, in due metà: le une furono sottoposte ad un rapidissimo disgelo mercé un brusco trasporto in ambiente a 30 centigradi, mentre le altre si fecero passare nello spazio di tre ore da 3 centigradi a zero gradi, in altre quattro ore da zero a + 2.1 centigradi, in altre tre ore a 4.5 centigradi, e finalmente in altre 4 ore a 10.5 centigradi. Le prime presentavano dopo qualche tempo i tessuti disorganizzati con tutti i caratteri dell'alterazione per gelo, mentre le altre avevano l'aspetto assolutamente normale.
Ora, mentre non sembra difficile spiegare la minore resistenza dei soggetti sporgenti in confronto a quelli non sporgenti, in quanto i primi sentono assai più facilmente il giuoco delle brusche alternanze delle basse e delle (relativamente) alte temperature, in ispecie se a notti di gelo susseguono giornate serene, non è agevole compito stabilire le circostanze che portano le piante di piccolo peso ad opporre una così notevole resistenza alle basse temperature. E' generalmente ammesso dai fisiologi che la facoltà delle piante a sopravvivere all'azione del gelo sia proporzionata alla concentrazione dei succhi; ma la tesi, che si adagia su un presupposto teorico, non ha trovato sempre, anzi ha trovato assai di rado la sua conferma nei fatti (cfr., per le barbabietole, anche i recenti rilievi di E. Pantanelli, 1918). E' certamente ovvio l'ammettere che un tessuto a succo meno denso geli ad una temperatura meno bassa che non un tessuto a succo più denso, ed è facile dimostrarlo, con elementari saggi crioscopici, anche per le barbabietole allorché si prendano soggetti a ricchezza in zucchero e a densità fortemente in contrasto4; ma allorquando si passi a constatare che soggetti, appartenenti ad uno stesso tipo, pur offrendo densità e punto di congelamento sensibilmente eguali, presentano un grado di resistenza notevolmente diverso, e allorché al saggio crioscopico si accerta che il succo delle bietole piccole non ha il punto di congelamento più basso di quelle grosse, sfugge ogni possibilità di orientamento e i fatti devono prendersi per quel che sono5. Sono comunque semplici rilievi che noi abbiamo riportato, senza pretendere di entrare nel merito del problema in sé.
4) Osservisi però che, anche se in realtà si abbiano sensibili differenze tra punto di congelamento del succo delle bietole zuccherine e punto di congelamento del succo delle comuni foraggere ed ortensi, non potrebbe assolutamente la differenza del punto di congelamento permettere di spiegare la differente resistenza dei tipi quando le temperature minime scendano ad un limite sotto il quale congelano anche le bietole a succhi più densi, per cui entrambi i tipi vengono praticamente a trovarsi nelle stesse condizioni.
5) W. Bartos (1916) avrebbe trovato che dei soggetti, che presentano le giovani foglie con il cuore rossiccio, sono molto più resistenti di quelli centrali e picciuoli senza traccia di antocianina; il grado di resistenza sarebbe anzi direttamente proporzionale all'intensità della colorazione. Nostre osservazioni non ci avrebbero permesso di confermare i rilievi dell'autore.
Passando dalla resistenza opposta dalle radici a quella delle foglie, può dirsi che la barbabietola offra, tra le piante erbacee, un grado di resistenza parimenti dei più cospicui; mentre d'inverno, in pieno campo, pressoché ogni traccia di vegetazione è scomparsa, la barbabietola si presenta ancora verde e rigogliosa; ed è la forma spontanea che particolarmente spicca per colorazione intensa e lucentezza e per una esuberante vigoria di foliame là dove tutto all'intorno il terreno è brullo e bruciato, con un contrasto che ha del sorprendente.
SULL'ISOLAMENTO DELLE BIETOLE MADRI
Abbiamo veduto che nessuno dei metodi di isolamento, finora suggeriti per bietole che si pongano a fruttificare l'una a breve distanza dall'altra, può preservare le piante da un reciproco scambio di polline. Un assoluto isolamento non può ottenersi che attraverso lo spazio; ma non sarebbe possibile, come dicemmo, seguire con detto metodo se non un numero relativamente ristrettissimo di soggetti, il che contrasta in fondamento coi principi della eredità, per i quali un profittevole studio comparativo sulla trasmissione di un dato carattere non può effettuarsi se non seguendo le discendenze di un grande numero di individui.
Il problema della tecnica dell'isolamento celare doveva necessariamente richiamare l'attenzione, sia dei selezionatori propriamente detti, sia degli studiosi della materia ( Frölich, Lang, Kajanus, Fruwirth, Hillmann, Carrier, ecc.). "Oggetto della maggiore e più grave preoccupazione scrivevamo nel 1914 è stato sempre quello di dover sottrarre la pianta all'azione della luce solare. Tutti coloro che si sono occupati della questione hanno appunto lamentato come la clausura di una barbabietola in una specie di cella ingeneri nella pianta una sofferenza che si tramuta in un abbonimento di pochi e cattivi glomeruli. Si è frattanto suggerito di sostituire alla tela, parzialmente almeno, la carta oleata. Non v'è però chi non trovi pericoloso e imprudente di affidare la protezione ad un mezzo che, senza possedere una completa permeabilità alla luce, può essere facilmente rimosso o messo in condizioni di non servire; e se ciò accade nel periodo della più intensa fioritura, tutto un lungo e paziente lavoro di separazione può venire compromesso o senz'altro distrutto. Di qui l'idea di munire l'isolatore di un telaio cui applicare una lastra di vetro, attraverso il quale la luce passa a suo agio, e di riparare poi il vetro da eventuali fratture (per grandinate soprattutto) con una rete metallica".
Sullo stesso principio, che costituisce un deciso perfezionamento
nella tecnica (ché il nostro tipo si stacca completamente da quelli impiegati
dai precedenti sperimentatori), sono costruiti tutti i nostri isolatori, compresi
alcuni tipi di grande modello per piccoli gruppi.
Gruppo di isolatori a vetro, di piccolo modello.
Gruppo di isolatori vetrati per bietole individuate (file antestanti) e per
bietole in coppia (file posteriori).
Isolatori vetrati di grande modello per bietole presunte di qualità superiore.
Alcuni degli stessi isolatori raffigurati più in grande. (A destra un
isolatore aperto inferiormente mostrante una bietola a fioritura non ancora
iniziata).
Piccoli gruppi di isolatori separati da densi filtri di saggina.
Grandi isolatori per due o più bietole (non ancora protetti da copertura
vetrata). La saggina è, in entrambi i casi, in via di accrescimento.
Per ridurre il più possibile le conseguenze dello scambio di polline
seguiamo, come già rilevammo, il sistema di isolare tutte le bietole
in fiore anziché qualcuna soltanto in mezzo ad altre parimenti in fiore:
in certi casi, non solo poniamo anziché le singole bietole in isolatori,
ma interponiamo tra le une e le altre una parte di saggina (Sorghum vulgare
Pers.), di varie file, le une a piante diradate e le altre non diradate,
le quali, mantenendo discretamente distanziati gli isolatori, costituiscono
una barriera, che, nella pratica, col controllo sperimentale dell'alternanza
dei soggetti colorati e non colorati, può ritenersi bastevole.
Un grosso filtro perimetrale preserva, infine, le piante in isolatore da contaminazioni di polline di piante in fiore più o meno lontane.
Le obiezioni e i rilievi, d'ordine critico, che potrebbero recarsi pur contro l'insieme della tecnica da noi seguita, non sono poche, né di scarsa portata: noi stessi ce ne siamo affacciate diverse e di diversa natura. Occorre qui, però, guardare alla finalità del problema che ci sta di fronte: respice finem. Gli scopi precipui, che, al di sopra di ogni considerazione e ai riguardi dell'applicazione, interessa di conseguire, sono due: separare, sia pure grossolanamente, delle progenie; separarne e seguirne il maggior numero possibile. Nelle poche discendenza, che palesano alla prima generazione caratteri pregevoli o presunti tali, è facile, sia col metodo delle coppie, sia dei piccoli gruppi da collocarsi molto discosti gli uni dagli altri, in piena campagna, in mezzo a campi di granoturco ecc., procedere ad ulteriori epurazioni.
L'ACCORCIAMENTO DEL PERIODO VEGETATIVO DELLA BIETOLA
NELLA TECNICA DEI SELEZIONATORI
Nel 1911 G. Rath dava in Germania comunicazione di un suo metodo, che dichiarava di avere posto sotto la protezione di un brevetto, per la coltura estivo - autunnale delle bietole destinate alla produzione del seme commerciale1. Si tratta di seminare verso la metà di agosto con distanze di 75 centimetri tra riga e riga, mente sulla riga deve intercedere tra pianta e pianta uno spazio di 40 centimetri; le bietole si lasciano in posto durante l'inverno; in primavera si ha una vigorosa emissione di scapi, e la raccolta del seme è assicurata non meno di due settimane prima di quello che si possa sperare col consueto sistema. Il Rath garantiva una economia di spese non inferiore a 200 franchi per ettaro.
1) I planchons o Stecklinge derivati da semina estiva autunnale sono normalmente conosciuti col termine di Winterstecklinge.
Il campo dei selezionatori e degli studiosi dei problemi bieticoli veniva tosto messo a rumore; né mancarono le note polemico critiche, soprattutto destinate a mettere in rilievo che non si trattava affatto di un nuovo metodo (Briem rivendicava la priorità ad Achard!), del quale si elencavano insieme inconvenienti e pericoli (cfr. Plahn-Appiani, 1911,1912, 1914; Briem, 1912; ecc.).
Al sistema Rath si avvicina, per certi punti di vista, l'altro che consiste nel seminare le bietole dopo il grano in appezzamenti a 25-30 centimetri tra riga e riga, per trapiantare poi in primavera tutti o per gran parte i planchons in altri appezzamenti.
I vantaggi e gli inconvenienti del metodo. Tra i vantaggi che offre il metodo di semina estivo autunnale vanno annoverati:
a) possibilità di sfruttare il terreno per un normale raccolto di grano o di un'altra cultura, il cui periodo di raccolta coincide col giugno luglio;
b) possibilità di evitare il pericolo di guasti, che possono derivare da una cattiva conservazione in silos durante l'inverno (possibilità che si estende evidentemente a quegli altri metodi con i quali si lasciano le bietole in piena terra durante la stagione invernale);
c) possibilità, per i paesi meridionali come il nostro, di pronunciare con l'anticipo di un anno un giudizio su un determinato materiale, in quanto, avendosi il seme delle madri già maturo nella seconda metà di luglio, si possono ottenere, con una semina immediata, i planchons per la primavera susseguente.
Tra gli inconvenienti e i pericoli possono registrarsi:
a) eventualità che un periodo più o meno prolungato di secco dopo la semina non assicuri gli investimenti. Agli inconvenienti si ovvia scegliendo, per le culture estivo autunnali, dei terreni irrigui. Il pericolo di un insuccesso, in terre non irrigabili, si presenta con molto maggiore probabilità nei paesi meridionali che non in quelli settentrionali: nel 1917 le culture italiane furono particolarmente e crudamente provate, e il raccolto mancò anzi completamente in molti casi. Nell'Europa media e nordica può invece accadere (cause opposte: effetti analoghi) che l'eccesso delle pioggie dopo le semine, mantenendo fredda l'atmosfera e il terreno, non permettano alle piante di svilupparsi sufficientemente.
b) pericolo che l'accorciamento del ciclo ingeneri nelle
discendenze una predisposizione alla salita in seme il primo anno (prefioritura).
L'accusa è stata specificamente lanciata da C. Brendel (1911), ma il
Rath (1912) dichiarava che le sue prove gli permettevano di poterlo escludere.
La questione veniva ulteriormente sollevata da Plahn- Appiani (1911) e da Daverhuth
(1916), ma con più contributi di considerazioni che di ricerche. Nel
1915-1916 iniziammo una serie di prove mettendo a raffronto il seme di bietole
derivate da un unico lotto di glomeruli, che rispettivamente erano stati seminati
ai primi di marzo, alla metà di aprile, ai primi di agosto, alla metà
di settembre. I conteggi compiuti lungo l'estate del 1916 non ci consentirono
alcuna precisa conclusione, e ad ogni modo il numero di annuali non risultò
superiore tra le bietole derivanti da soggetti provenienti da semine precoci
rispetto a quelle in derivazione da soggetti ottenuti con semina tardiva (agosto)
e molto tardiva (metà settembre)21). Del resto nessuna prevenzione
dovrebbe aversi a codesto riguardo contro il seme di "Wintrrstecklinge"
se si debba trarre un giudizio dalle
constatazioni sinora compiute sul seme italiano3.
2) Un esperimento sul tema di cui si tratta non è fra i più semplici per impostazione ed esecuzione. Innanzi tutto occorre avere l'assoluta garanzia riguardo all'uniformità del materiale dal quale si parte; in secondo luogo, dovendo mettere i gruppi a fruttificare molto lontani gli uni dagli altri, non è difficile che o l'uno o l'altro si sperda, donde la necessità di prove in doppio o in triplo, con le inevitabili complicazioni.
3) Fummo anche ripetutamente richiesti del parere se l'abbreviamento del ciclo vegetativo, dato che le bietole portaseme che se ne ottengono sono più o meno molto piccole, possa sfavorevolemente influire sullo sviluppo, sul prodotto in peso e sulle qualità delle bietole della successiva generazione. Nessuna osservazione sperimentale controllata permetterebbe di dare consistenza a tale dubbio.
Conclusioni e deduzioni. Per il complesso delle esposte considerazioni normali il metodo già adottato come classico nella media Europa: di seminare cioè in primavera, a righe distanti 25 centimetri in file continue senza ulteriori diradamenti o diradando a 10 centimetri circa.
Dal punto di vista dell'economia della cultura, al danno
emergente della mancata possibilità di praticare, sullo stesso terreno,
una coltivazione di cereali a raccolta estiva, va contrapposto: da un lato il
beneficio di un completo investimento e quindi la possibilità di avere
disponibili, al momento dei trapianti, a parità di superficie investita,
un numero molto più ragguardevole di planchons; dall'altro lato
l'assoluta sicurezza dell'esito della coltivazione. A quest'ultimo riguardo
è opportuno ricordare che la scarsa superficie investita a bietole portaseme
nella primavera del 1918 in Italia si dovette prevalentemente alla perdita di
una buona parte delle colture di "semenzaio" compiute nella estate
dell'anno precedente: per contrario i "semenzai" per il 1919, cui
si provvide nella primavera del 1918, assicurano al trapianto materiale abbondantissimo.
Aggiungasi che il problema se l'accorciamento del periodo vegetativo non possa,
sia pure in eccezionalissime circostanze, determinare nelle piante una maggiore
tendenza alla annualità, non è ancora nettamente elucidato.
Stampa